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Mai più

Ho indugiato, forse troppo, prima di azzardare un giudizio su Mai più, anche perché autorevolissimi critici hanno presentato esaurientemente l’opera. È difficile per chi fa il poeta valutare serenamente la poesia degli altri. Però nel caso particolare, per uno che ha vissuto i momenti drammatici della seconda guerra mondiale, è inevitabile intervenire.

Tra l’altro in questi ultimi anni quando si parla di quei terribili eventi il tutto sfuma in retorica e in speciosi contrasti politici. Si parla dei luoghi delle stragi, a volte si dice del numero dei morti, quasi in astratto, forse per adeguarci a questo nostro tempo dove l’uomo è numero o confusamente più numeri concentrati nella stessa persona. La disumanizzazione.

Per chi non ha subito i bombardamenti a tappeto o i rastrellamenti dei tedeschi, la visione di quella storia è quasi virtuale e fin troppo ripetitiva. I racconti giornalistici e televisivi non riescono più a toccare i sentimenti e tutto si consuma in una sterile cronaca. È triste dirlo, ma è così. “Il vento soltanto | miete a mannelli le parole”. Ed ecco la voce della Poetessa che si inserisce decisa nel dramma e per quella dote innata nei poeti veri che spaziano tra passato, presente e futuro riporta a “Oggi | le loro grida il loro sangue” per entrare direttamente nel momento tragico: “Rabbrividisco | a dire della semina di morte”. Ma lo fa dire al frassino con la propria voce e con le foglie di questo lista a lutto “la curva della strada”. Poi la quercia presta le parole e Mariagrazia che entra in trance ed è scossa “com’esile fuscello | fulminata dall’eco sinistra | di quel mitragliatore”. E questo conosce soltanto la ferocia. La caduta della donna incinta strazia la Poetessa quando “il bimbo non nato | già moriva”. Ma ci sono i bambini nati che giocano attorno al castagno, ma “oggi il cavo del mio tronco | è ammutolito”. Si avverte il vuoto che lascia la tragedia dei piccoli innocenti e Mariagrazia è lì senza parole, testimone impotente.

Questo modo di entrare facendone parte a posteriori nel dramma di Sant’Anna di Stazzema è possibile solo a uno spirito eletto. L’interposizione quasi metonìmia tra essere umani e alberi, fatta di trasparenti metafore impressiona assieme all’interpretazione a fronte fatta da Luciano Ricci. Da sempre gli alberi sono stati amici dei poeti nei lori svariati significati. Questa volta sono coinvolti in un dramma spietato e Luciano li veste di un rosso particolare che non è il sangue versato, ma una sorta di luce proiettata in un buio assoluto, quasi in sintonia con quel grido dal profondo dell’anima: “Mai più!”.

Firenze, Natale 2011

Recensione
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