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Bonsai
Un nuovo piccolo mosaico della complessa
personalità di Zinna, nella raccolta di poesie Bonsai, il cui titolo
attira l’attenzione sulla determinante composizione iniziale, «Il prossimo tuo»,
dove, attraverso decisi blocchi di recriminazioni che divengono colpi d’ala
d’una inimitabile scioltezza versificatoria, vediamo circolare l’idea dominante
di un torto subito, di un furto... «Quando a me vengono | per un albero grande
mi compenetro rischio poi li vedo | tornarsene lievi nemmeno portassero via un
bonsai».
È poesia, a prima vista, del
dispetto, che velocemente plasma il variabile quotidiano, in uno spirito di
rivalsa che non manca tuttavia del distacco d’una sofferta diversità |
superiorità. Lo sgretolamento per una contrattualità non voluta ma incessante,
il contatto con quel prossimo tuo, il denaro contro l’educazione, la
sopraffazione camuffata da liberale, lo spettro ossessivo degli
irreversibili, coloro cioè con i quali non c’è dialogo alcuno, tanto son
calati ed immedesimati nella garanzia del pensiero collettivo, tutto ciò che
confluisce nell’immagine di un irrefrenabile e giornaliero rubare: e da tutto
ciò il poeta si sente braccato ed insidiato. Peggio ancora, è la sua propria
validità in un contesto socioculturale, che egli sente messa in discussione; ed
è la chiusura dei pochi spiragli verso altri più degni contenuti di pensiero e
di vita, quando incombe l’amaro obbligo di tanti rimpicciolimenti a meschine
contese. Bonsai palpita però di un’incessante tensione verso l’universale
negato, verso un’estasi superiore al dispetto. Urgenza di una conversione
intima, senza la quale persino i teneri ricordi d’infanzia, che hanno spesso
illuminato i versanti più amari della poesia di Zinna, emergono depauperati di
ogni dolcezza; persino il «Paladino-Poeta», personaggio «di ricorrenti
entusiasmi, di vitalistici impulsi», balza alla vista come un autoritratto
heideggeriano, con la propria joie de vivre incatenata alla coscienza
della sua Ultima Possibilità («Madonna Morte si innamorò di lui quand’era
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ancora bambino»; «Ha un limite l’amore per la vita – lo avvertì...»).
E in tale contesto d’affabulazione
regionale ecco brillare il tocco metafisico usuale al nostro Autore, di
un’invidia personificata, invidia della Morte verso il vitale, così come è
motivazione invidiosa, fra i viventi, l’impulso alla guerriglia contro il
prossimo: l’intera raccolta sembra porsi come dialogo sull’Invidia, quella degli
uomini contro l’Uomo, quella delle potenze arcane contro l’Uomo, quella del
Tempo, alfine, contro l’Uomo. E di rimbalzo, ogni istante della vita, ogni
slancio di poesia, sembra minacciato da una segreta tensione o aspettativa di
condanna, quasi fosse un furto nei riguardi di qualche Essere invisibile ma
sempre presente, percettibile come l’unico legittimo detentore della creatività.
Attraverso queste composizioni
graffianti il discorso dunque non è affatto scontato, né riduttivo, né uniforme
– sebbene Zinna si diverta talvolta a giocare con la metafora implicita in un
luogo comune (v. «Domina Domus»!) – ed è sempre un’esperienza avventurosa per il
lettore sentirsi proiettato nell’esplorazione di uno sviluppo così ricco di
contrasti, così ramificato, quale già si è manifestato in precedenti opere di
poesia, come nella singolarità della passione biografica per Ippolito Nievo.
Qui, un oggetto personale o sociale d’interesse, per es. la lingua,
letteraria o meno, diviene bersaglio dì’una revisione morale, il cui mezzo
stilistico è il sarcasmo o il divertimento verbale (v. «Seminario di linguistica
a Torre Makauda») ed il cui esito è la pregnante messa in scena di ciò che la
letteratura, oggi, ha fatto della lingua, ponendola come oggetto privilegiato,
se non unico, del poetare... Sicché, quasi a controbilanciare questa caduta
della funzione poetica, ecco la linfa, motivo esistenziale per la sua
inevitabilità nel biologico – cantare l’amore come umore è certo un
omaggio sia al contenuto in sé, oggi esorcizzato dal culto del segno, sia alla
piena comprensione della vicenda umana mutilata da tante tradizionali
repressioni.
Sempre fedele, dunque, al senso del
discorso poetico, Zinna sembra pensare che la poesia stia oggi attraversando una
problematica di saturazione dei rapporti con l’etica, simile a quella che portò
Huysmans a concepire il suo A rebours. La poesia di Zinna potrebbe
essere considerata anche sotto l’aspetto di una strenua lotta per districarsi
dai pericoli della indiscriminata reazione culturale, vale a dire l’eccesso di
sottigliezza e la conseguente vanificazione dei motivi più personali e profondi.
Da qui la peculiare ruvidezza di Bonsai, l’arte che sembra volersi
svincolare dall’arte, quel tono involontariamente sofisticato e intenzionalmente
dimesso, che, proprio per la sopravvivenza del senso profondo, raggiunge un raro
equilibrio. Questa tensione nell’alternarsi di ironia rabbia dolore trova
tuttavia uno scioglimento melodico nelle pagine dedicate a «Lisieux»: dove cede
alla percezione d’altri mondi d’intatta dolcezza. «Per una chiesa di una
metropoli del Sud» svela un modo molto personale di guardare al Divino nel
groviglio dei conflitti ideologici odierni: il Divino come presenza ed
immedesimazione dell’Astratto nel Concreto, della Sublimità nella «miserabile
turba», come duplice realtà di Potenza-Impotenza, specialmente percettibile in
quel patetico «se puoi» nel dialogo orante. Il Dio di Zinna non sarebbe dunque
più l’Ingannatore dei suoi sogni giovanili, né il lontanissimo, vago, cortese
Signore della sua maturità. Si potrebbe qui prevedere una svolta, inconscia
forse, verso una percezione del Divino che effettivamente viva «dentro»,
coinvolto nell’estrema miseria di tutti, e che al tempo stesso viva «fuori»,
oltre, come garanzia metafisica di ogni sforzo verso l’ideale purezza del cuore.
È forse dal concretizzarsi di una tale diversa visuale che Zinna può scoprire il
volto d’una «Teresa del Niňo
Jesus», «per caso», «una sera»: fatto a prima vista sorprendente per chiunque
ricordi, in Teresa di Lisieux, la sublimazione del persecutorio; di cui invece
non v’è traccia in Zinna. In lui troviamo piuttosto una conciliazione con la
Realtà Ultima, grazie alla mediazione di un Dio alla W. James, la cui sacra
impotenza terrena l’arte umana ha voluto adornare con «calici d’oro», «nicchie
d’alabastro», «lapislazzuli» e porre sui «gradini della separatezza e
dell’invito».
Sfiorarsi appena
l’un l’Altro attraverso il messaggio poetico, nell’attimo casuale che fa
brillare il mistero oltre il monotono e lungo crepuscolo delle meschinità, delle
energie rubate, del robusto tronco ridotto a «bonsai».
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Recensione |
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