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Veniero Scarselli,
nel contraddittorio e confuso panorama poetico contemporaneo, è un poeta di
straordinaria espressività e di forti tematiche che sorprende tutte le volte che
pubblica una sua raccolta poetica. Non è un poeta lirico, nel senso tradizionale
del termine, perché ha scelto la strada difficile e impervia del poema epico per
contrastare il vuoto e la superficialità di tanta poesia che altro non è se non
lo sfogo momentaneo di supposti sentimenti che non riescono a esplorare le
grandi domande dell'uomo contemporaneo stretto tra il nichilismo e le "passioni
tristi". Il poeta, invece, camminando controcorrente e rischiando, per così
dire, sulla propria pelle, fin dal suo esordio (1998), sembra aver fatto sua
quella fulminante espressione di Mandel'štam che affermava come la vera poesia
sia «un vomere che ara e rivolge il tempo, portando alla superficie i suoi
strati più profondi e più fertili». Così, da una voce poetica come la sua
impariamo, ancora una volta, lo stato di crisi di una civiltà quale è
la nostra che non sembra più avere nessuna direzione
e nessuna meta fuorché quella dell'immediato oppure quella di coltivare una
mitologia dell'effimero e del precario. Veniero Scarselli, infatti, ha dietro
le spalle una lunga esperienza di poesia — riconosciuta da premi prestigiosi
come il Premio Libero De Libero, il Rhegium Julii e il Premio Cinque Terre — a
cui si affianca, peraltro, quella del saggista vivacissimo e capace di cogliere
l'aria del nostro tempo in una personalissima sintesi tra le ragioni dell'anima
e quelle artificiose e stanche della cultura attuale. Sandro Gros-Pietro, presentando quest'ultimo suo
poema, che reca un titolo misterioso e inusuale, sgombra ogni equivoco allorché
scrive: «Scarselli si impegna a insegnare — o quanto meno a rammentare — quanto
sia esaltante (e artistico) per l'uomo il volo libero della fantasia, quali
spazi immensi di libertà e di dilatazione dell'essere siano raggiungibili
dall'uomo qualora si dimostri capace di superare i vincoli meccanicistici
dell'avere e di tutti i teoremi corollari che ne discendono» (p. 8). Di fatto, il poeta, nelle cinquanta stanze che compongono il poema, allude a una
rivisitazione del viaggio dantesco e in cui anch'egli è guidato da una moderna
Beatrice che illustra il complesso e accattivante funzionamento della Grande
Fabbrica di anime artificiali destinate a riempire d'Amore l'universo. In un
volo fantastico, ma estremamente concreto, Veniero Scarselli, unendo insieme
scienza, poesia e mito, fa sentire quanto sia urgente e profondo
quell'interrogativo sull'anima che la cultura contemporanea vuole a tutti i
costi ignorare privando gli esseri umani di una loro storia interiore e, quindi,
di una loro specifica biografia. E' difficile dire in pochi tratti la ricchezza
dello sforzo di immaginazione e di plasticità, compiuto da Scarselli in questo
poema, ma ciò che si può dire è il dono singolare di una sintesi tra memoria
personale-culturale e memoria cosmica che raggiunge una contemplazione del
destino umano di alto valore spirituale e, nel fondo, intriso di una profonda e
sofferta religiosità. In effetti, tutto il poema respira in una sottile
distinzione poetica tra individuo e persona: l'individuo come chiuso in una
monade fatta di ambizioni inconcludenti e di egoismo incontenibile, mentre la
persona è aperta verso le altre persone e verso l'immensità dell'universo.
Vive, cioè, la propria vita in comunione e non già in una solitudine disperata
e soffocante. Il risultato, sostenuto per di più da un linguaggio poetico
rigoroso è colto, fa pensare con prepotenza a quella felice espressione della
Dickinson: «Se mi sento fisicamente come se mi scoperchiassero la testa, so che
quella è poesia. E' l'unico modo che ho di conoscerla. Ce ne sono altri?» | |
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Recensione |
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