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Il mio pensiero poetante
Davanti al dramma della morte, che a lungo avveleno la sua vita (Pavana per
una madre defunta), e roso dal "terrore angoscioso" della estinzione dell'Io
individuale, Scarselli da sempre ha tradotto in forma poematica la sua
fantascientifica visione del mondo, che ne II mio pensiero poetante trova la
sintesi conclusiva.
L'anima umana, che al poeta si rivela spesso come una "monade" senza
finestre, a un mistero che nessuna filosofia è mai riuscita a decifrare. Turbato
dall'enigma di una materia che, attraverso una continua evoluzione diventa
autocosciente, un pensiero capace di pensare se stesso, — da buon biologo,
Scarselli cerca di definire l'Io — questo sentirsi carne che ci avvince e
condiziona (anima, psiche, coscienza, comunque lo si voglia chiamare) — come una
"struttura ordinata che vive, si accresce e riproduce secondo l'ordine imposto
dai legami chimici delle sue molecole". Egli si spinge ad ipotizzare che la
Morte e il Male "rappresentino un errore nell'assemblaggio molecolare del
Creato", ad interpretare la vita come "una sfida delle prime molecole biologiche
all'entropico disfacimento del mondo", a sognare infine l'avvento di
"incorruttibili anime artificiali", e a fantasticare su una "metafisica
ultratecnologica".
Siamo di fronte all'ennesimo attacco di stampo neo-positivista alla
metafisica tradizionale e alle religioni rivelate, le cui proposizioni non sono
sperimentalmente verificabili. Tutto e materia ("mater" di ogni cosa), senza
nessuna istanza — direbbe Horkheimer — di valenza etica che trascenda l'uomo e
possa spiegare la sua liberta.
Sospeso "tra la ragione che nega e il sentimento che spera", Scarselli
potrebbe dire di se, come il Caproni di Resa amissa, "Uno dei tanti anch'io / un
albero fulminato / dalla fuga di Dio". Eppure non si Imo non sentire qua e la —
ad esempio nel finale di Eretiche grida — una specie di palinodia, quasi la
nostalgia di una Luce divina pronta ad accoglierlo. "Nel mio delirio di figlio
abbandonato, / fa ch'io possa finalmente inginocchiarmi / davanti al tuo Mistero
/ come un'umile pagina bianca, e il mio cuore rigonfio di Te / possa chiederti
stupito: Proprio io / son colui che tanto a lungo hai cercato?"
Non mancano nella poesia di Scarselli momenti di intenso lirismo, come
quando, rifacendosi al Libro tibetano dei morti, egli prega l'amata di
sussurrare al suo orecchio di defunto parole guida, atte a facilitargli il
ritorno "nel grembo profondo dell'Essere", ad agevolargli l'incontro con la
"Luce materna di Dio" (Reminiscenze del nirvana buddista, la dove l'atman si
fonde col brahma?).
Penso che la scienza non possa dare nessuna risposta alle questioni
fondamentali che ossessionano la nostra mente. Forse soltanto la poesia è in
grado di gettare qualche Luce sull'enigma dell'uomo, enfatizzando il fascino di
un essere finito, capace di proclamare il proprio niente e, al tempo stesso, di
pensare e desiderare l'infinito.
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Recensione |
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