| |
Di Veniero Scarselli
conosco l'operare da quando, nel 1988, ricevetti il bel libro Isole e vele
(Forum) che salutai come opera originale. Poi nel 1990 lessi (anzi, tentai di
farlo!) Pavana per una madre defunta (Nce editrice) e una riflessione personale
s'impose. Per più ragioni non ebbi la forza fisica di terminarlo (figuriamoci
rileggerlo più volte, come impone il lavoro critico!...) e rifiutai d'unirmi al
coro (che già prevedevo positivo nei confronti di quel lavoro) di chi scriveva
d'un libro che dissacrava l'indissacrabile. Ma oggi che la vena poetica del
Nostro devia, torna a parlare sic et simpliciter di sesso-amore-morte in
termini fruibili per il mio gusto e la mia sensibilità; ora che il fastidio m'è
sopportabile, scrivo di questi Torbidi amorosi labirinti, in cui non posso (in
parte) non riconoscere l'umanità, tutti, tutti noi.
Certo: rimane di
Pavana la corposità d'un dettato che non
conosce soste nelle invenzioni oscene e si fa ripetitivo. L'ossessione è la
cifra di Scarselli e come taluni uomini ci tengono a dire il numero degli
amplessi consumati (o sognati?), ecco che lui produce un onirismo sessuale
prodigioso che si sfoga in poesia contaminandola. Ma ci sono, ne magma fluente,
e a volte (spesso) maleodorante, momenti di indubbia liricità, passaggi segnati
dalla grazia (poetica, ché l'Autore è fuori dall'altra per il tamburo battente
che continuamente usa a mò di grancassa); vi sono poesie che prendono e si
leggono e rileggono, perché il talento le ha rese compiute.
Ora, questo libro ridondante e malefico (che sia quella di
Scarselli una calcolata provocazione? Un disegno per tentare d'imporsi come
voce diversa e nuova nel quasi impossibile mondo della poesia ufficiale? Quel di
troppo che lui produce pare voler gridarlo...), questa raccolta ha pure altre
originalità: la mancanza, per l'Autore consueta, di titoli per le varie
composizioni (però giustificata nell'indicazione 'Romanzo lirico'); il fatto
che nell'indice siano annotati solo alcuni incipit (certo capitoli); la
monotematicità allucinata; la capacità scaltra di Scarselli di tenersi su una
linea ininterrotta di scoppi pirotecnici, di pseudo-variazioni sul tema.
Scarselli, insomma sa scrivere (e fa venire alla mente
l'omologo – in prosa – Moravia), ma forse non altrettanto sa (o vuole) usare il
segno della misura. La prima connotazione mi fa pensare a lui come a un collega
da sostenere; la seconda, m'irrita profondamente. Sorge una domanda che prende
quasi per esaurimento nel leggere Torbidi amorosi labirinti ed è la classica cui
prodest? (a chi giova, qui intendo, questo profluvio di versi vaginali?).
La risposta è nelle intrinseche ragioni stesse del poetare in
genere, e Scarselli (per brutale e scomodo che sia ammetterlo) produce pasta
incandescente, infernale che letterariamente erutta sulle pagine con indubbio
tecnicismo.
| |
 |
Recensione |
|