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A ritroso - Versi e prose - 2010/1985
Il titolo completo del libro, uscito nell’aprile del 2013 per i tipi de l’Obliquo, è A ritroso - Versi e prose - 2010/1985. Notiamo immediatamente che il riferimento temporale qui inserito non è, come è consuetudine fare nel caso delle opere antologiche o auto antologiche, 1985/2010.
La prima di queste tre parole sulle quali ritengo utile “indugiare” è ORIGINE. Il titolo del volume è chiaro: si va all’indietro, si procede da ora verso una “circostanza del tempo” che funge - vedasi Roland Barthes - da punctum; questo estremo sembra inoltre essere il “precipitato elettrico” dell’incontro dell’io con il mondo (finalmente coincidono, sono lì, in questa sorta di scossa originaria). Si ritorna all’indietro, dunque, cercando di raggiungere ancora e reiteratamente questo tempo (o istante) primordiale (in qualche modo anche lancinante) attorno al quale si tende a girare in modo concentrico. Per meglio esplicitare il “movimento” appena evidenziato, richiamo alla memoria quella definizione del Blues americano in cui si parla proprio di un ripetuto roteare come intorno ad una ferita (che sia la stessa ferita di cui al testo di pagina 226: «È una breve bramosia notturna, / un’incontenibile e rara urgenza / di raggrumare tutte le altrui paure / che mi fa scrivere di una ferita, / di un dirupo che a lungo scorgo / senza desiderare di scoprire, / di lasciarmi continuamente addosso / l’orlo socchiuso di una cicatrice.»?). In altre parole: cercare di non additarla, questa che rischia di divenire una vera e propria piaga, ma mai perderla di vista in un andare che osserva e che annota attentamente e che è soprattutto circolare. Si va all’indietro tanto che in calce all’epigrafe posta ad apertura del libro si trova scritto: Osimo, 12 settembre 1965 - Qui, adesso. Come se tutto fosse ricrollato nel momento della nascita del poeta. Questo incedere a ritroso non è nuovo né nel cinema, né nella musica (emblematica, a questo proposito e ad esempio, è la canzone di Bob Dylan intitolata All along the watchtower che per essere capita deve essere letta/ascoltata al contrario), né nelle lettere. Chiuderei questo excursus sul termine ORIGINE proprio con una citazione da un romanzo di Martin Amis, La freccia del tempo, uscito in Italia per Einaudi, nel 2010. Nel lavoro in questione si racconta la vicenda del protagonista dal letto di morte all’indietro, fino alla nascita dello stesso. All’inizio della storia si può leggere: «Il tempo è passato, ora, senza che fosse possibile seguirlo perché era dedicato alla lotta e con la sensazione di partire per un terribile viaggio.». La frase appena riportata offre l’immagine, riferibile anche all’opera di Danilo, del tempo che si disfa, che si ricompone e che si dedica, appunto, alla lotta, al riflettere, e al continuo ritornare, aggiungerei, attraverso la scrittura in versi. La seconda parola-chiave da me individuata è CROLLO, o collasso o, anche, caos. Il CROLLO delle borse mondiali, il CROLLO del muro di Berlino, quello delle torri gemelle a New York nel 2001… Sono immagini contemporanee che conosciamo bene e che ci “rimbalzano” contro con forza e di continuo. Anche in questa occasione faccio un riferimento tutt’altro che letterario, creo un collegamento, diciamo così, pop; rimando, cioè, ad un film del 2011, Source code (diretto da Duncan Jones e con Jake Gillenhaal come interprete principale), in cui un soldato ormai infermo torna indietro nel tempo, ripetutamente, agli istanti antecedenti un attentato. Ciò accade, ogni volta, grazie ad una speciale macchina e proprio con l’obiettivo di cercare di evitare il disastro: lo scoppio di un ordigno nucleare in un treno che viaggia verso Chicago. Si ripercorre il tempo a ritroso, nel film, per recuperare visioni passate, pezzi di memoria utili ad individuare l’attentatore e ad impedire a questo di agire. Al di là della finzione drammaticamente amplificata e necessaria alla migliore resa dell’opera cinematografica in questione, possiamo dire che sì, è così; che stiamo parlando di un fenomeno che comunque ci riguarda tutti. Di sovente, infatti, ci volgiamo a ciò che è stato e che ora non è più, la nostra mente spesso si sofferma sul passato più o meno recente e questo accade come a ricercare un inizio, come a scoprire un “lampo” d’avvio, un’ORIGINE prima, appunto, per gli avvenimenti ormai trascorsi. Il processo indicato pare servire quindi, e soprattutto, a decodificare le ragioni di un qualsiasi evento, di un CROLLO, in particolare; questa sorta di elaborazione quasi automatica, istintiva del pensare, però, è fondamentale - per il poeta nello specifico e per tutti noi in generale - perché anche solo raccontare, descrivere o meditare su quanto è venuto meno ha un senso già di per sé. Cerco di spiegare meglio la riflessione appena esposta facendomi aiutare da una citazione da Michaux. Michaux affermava: «Io scrivo perché ciò che era vero non sia più vero. Una prigione mostrata non è più una prigione». È come se dire una semplice cosa o parola sia già, solo dirla, un salvarsi da questa. Anche dire di un CROLLO, dunque, di un trauma o di un dolore primigenio, equivale a salvarsi da questo. Il percorso fin qui seguito mi conduce inesorabilmente, dopo ORIGINE e CROLLO, a trattare della terza espressione-chiave annotata che è SISTEMA. SISTEMA come organizzazione, come regola, come struttura fortificata che riesce in qualche modo a difenderci dall’impetuoso sopraggiungere di tutte le piccole e grandi contingenze della vita, da quello che è, in ogni caso, il fisiologico divenire del mondo. Questo SISTEMA lo scorgiamo, sin da subito e senza grandi difficoltà, dentro lo stesso “agire poetico” di Danilo: nella predilezione fortissima per l’uso dell’endecasillabo che spesso si affina nella quartina, nell’organizzazione, nella costruzione dell’impianto del libro che riprende tutti i lavori precedenti, li riaggiorna, in buona misura li riscrive anche, e li ridivide in una serie di sezioni che va dalla numero UNO alla numero NOVE (nove come la novena, la preghiera che si ripete per sequenze di nove; nove come i mesi di gestazione prima della venuta al mondo di una vita umana). Diremmo, in definitiva: un SISTEMA che cerca di arginare la veemenza del vivere; uno sbarramento contro il turbinio quotidiano dei frammenti e dei detriti di ogni esistenza (forse lo stesso di A heap of broken images di Eliot); un apparato che cerca di frenarla, questa impetuosità, di fatto (ri)componendola; il tentativo (o desiderio) di edificare un nuovo equilibrio utilizzando addirittura le “materie prime” del disordine. Ripartendo dalle tre parole-chiave è utile, ora, collegarsi ai testi del libro; è appropriato, voglio dire, indicare le connessioni, ovviamente esemplificative, tra questi stessi tre termini-cardine ed alcune delle liriche o parti di queste incluse in A ritroso. Troviamo l’ORIGINE già subito all’inizio, nel testo d’esordio della sezione UNO: «Di notte, ogni notte, è l’inverno. // Un vortice senza inizio né fine. / L’inizio che implode nella fine.» (pag. 21). L’ORIGINE è anche nella parte intitolata Radici e rami (dall’omonima e precedente raccolta del 2007, sempre edita da l’Obliquo), all’interno della sezione DUE. Già nel titolo appena ricordato, con particolare riferimento al vocabolo “radici”, si intuisce che si sta parlando di una o più origini. Il “quadro” in questione, però, può tranquillamente essere rovesciato; l’albero, infatti, immaginando di poterlo vedere senza la terra sulla quale è piantato, può essere osservato sia dal basso che dall’alto - da entrambi queste prospettive - senza che il risultato possa apparire, allo sguardo, diverso. Qui prende corpo, senza alcun dubbio, l’idea dell’ORIGINE che si palesa nel rispecchiarsi delle generazioni; padri e figli, cioè; meglio: i padri che si rispecchiano nei propri figli e viceversa. La prima quartina della sezione di cui si sta trattando recita: «Guardo mio padre guardarmi, / negli occhi parlarmi. // Guardo mio figlio guardarmi, / negli occhi ascoltarmi.» (pag. 69). La chiusura della stessa sezione, sempre per il mezzo di una quartina, dichiara: «Guardo mio figlio parlarmi, / negli occhi guardarmi. // Guardo mio padre ascoltarmi, / negli occhi guardarmi.» (pag. 83). Si noti come ad un piccolo “sussulto tellurico”, ad un impercettibile movimento dei versi e dei verbi - rispetto all’analogo e breve testo d’apertura - è affidato il compito di chiudere questo “cerchio” delle generazioni che tra loro come si riflettono, appunto. Alla parola CROLLO ho associato il brano che segue (che è in prosa come diversi altri nel volume e che, come molti di questi stessi, sembra essere comunque composto sulla base della misura dell’endecasillabo; come se questa dimensione fosse sottesa, come se si protraesse di quel tanto che serve a prendere le “fattezze” della prosa): «Percepirono all’unisono la sensazione di assistere alla caduta innaturale, al crollare imperfetto di un evento di là da venire. / Un’entità - forse la ragione pronunciata solo con lo sguardo - che sibila diritta verso il basso senza mai toccare il suolo; l’apparenza che crolla rimanendo infine sospesa tra materia e parola.» (pag. 53). Alla parola-chiave SISTEMA, infine, a quel tentativo (o desiderio) di edificare un nuovo equilibrio utilizzando le “materie prime” del disordine di cui in precedenza, ho associato le parti di liriche che seguono: «Vertigine pura e qui disumana / è fare del volto un altro orizzonte, / costruire lontano dentro il frastuono / l’occhio segreto del mondo di tutti.» (pag. 38); «Nudo si sdraia sul corpo di tutti / l’equilibrio perfetto saldato nel caos…» (pag. 41). Segnalo, in conclusione, un’ultima poesia; un testo che ritengo essere in grado, tra l’altro, di significare appieno la continuità che l’autore è riuscito a dare, nel corso di tutti questi anni, alla sua stessa voce. È anche doveroso rilevare, qui, come i dettagli inseriti e i verbi utilizzati appaiano assolutamente coerenti con la struggente malinconia dell’azione del ricordare. Interessante, poi, è il parallelo (quasi una trasfigurazione) tra la porta, tra la composizione e in particolare la foggia rettangolare di questa ed il corpo degli uomini, che forse è, insieme agli endecasillabi visivamente organizzati sulla pagina, la rappresentazione diremmo anche grafica della forma-sistema del poetare di Danilo. «Occorre, sul limite della sera, / lambire altre vene, accarezzarle, / sotto la superficie della pelle, / e quindi riporle, intatte, calde, / sopra le striature irregolari / delle porte che qui sono aperte. // Soltanto allora ci si accorge / che dei finti cardini ci reggono, / che solo ruotare ci è permesso / e ruotare è augurarsi ancora, / un’ultima, interminabile volta, / che il rettangolo aperto per noi, / sul muro sconnesso che ci precede, / si chiuda sempre con poca forza / lasciando un sottile spiraglio / per i ricordi perduti di domani.» (pag. 167).
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