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Natura morta
La natura del mondo e che cos'è la poesia
La poesia, questo mondo misterioso e in declino del quale pochi sanno
qualcosa e molti niente. Ma ci sono dei luoghi comuni da sfatare che riguardano
un’arte del tutto fuori dal consumo editoriale. Paolo Ruffilli vince la sfida
del pensatore (quasi di stampo ottocentesco) che cattura un pubblico indistinto,
perché l’autore non è incline al compiacimento. Non cerca l’empatia ad ogni
costo, ma la manifestazione della poesia.
Ha dato alle stampe una bellissima
raccolta che segna un bivio nella sua lunga ed apprezzata produzione. Intanto
perché Natura morta è un sunto della visione globale, non solo
umana, ma anche biologica, vegetale, minerale o appartenente alla materia
inanimata. Esiste una trasformazione cinetica che non vediamo e che il poeta
fissa con estrema puntualità dominando le leggi dell’assoluto tra tempo e
spazio. L’altra ragione che imprime il passo dell’autore è la parte finale del
libro dal titolo Appunti per una ipotesi di poetica, in cui Ruffilli
cristallizza in prosa (quasi narrativamente) aspetti di notevole impatto anche
per i non addetti ai lavori: un lavoro prezioso del quale gli va reso il giusto
merito. Note essenziali eppure non di rado trascurate dalla critica
specialistica, determinanti ma accantonate dai più, delineano il nucleo di una
spiegazione vibrante, di un resoconto esistenziale su cosa sia davvero la
poesia. “L’idea che il pubblico ha della poesia si lega alla più noiosa pratica
scolastica dell’esegesi, del riassunto, della parafrasi, delle note a piede di
pagina”, ci riferisce Ruffilli. In realtà la poesia non assomiglia affatto
all’idea scolastica rimasta addosso al pubblico.
E’ un’esperienza singolare in
cui la parola si distingue dalla lingua, in quanto nel linguaggio comune noi
siamo parlati “oltre ogni coscienza e volontà”. I versi rappresentano un’unità
interna, musicale, soggettiva. Spesso un’operazione di riparazione, di
“cicatrizzazione” (“una forma di autoanalisi di grande qualità”). La parola,
appunto, che nomina, definisce, risolve come non potrebbe essere possibile con
altri mezzi espressivi: “Ha filamenti lunghi | la parola, | radiche e barbe nere
| che pescano | nell’utero del tempo | tra le melme | di quel limo viscerale
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che ha dato | soffio e corpo musicale | alle cose sconosciute…”. Anche gli
oggetti hanno un’anima, una vita silenziosa e impercettibile: “L’ultima stanza
| è quella, sì: | del vuoto del silenzio, | del tutto | che è conficcato dentro
al niente…”. Non tutto, però, si può capire della natura, e Ruffilli, nello
splendido testo “La nostalgia del mare”, recupera un significato leopardiano di
immaginazione e turbamento: “Che sia laggiù | la nostalgia del mare | nella sua
essenza | di cosa inconquistata | compresa a stento | tra le sponde…”.
Colpiscono versi misurati come: “Ma la natura morta | non è senza vita: || tutto
si trasforma | senza cessare di essere || in una rotazione | mai finita || e
niente può restare | in uno stesso stato || per il processo || del cammino
continuato”.
Paolo Ruffilli ha reso la poesia un pane per tutti. Ne avevano un
grande bisogno nel panorama sghembo dove domina uno sperimentalismo asfittico e
senza futuro. In questo caso ci sentiamo partecipi di una vicenda direttamente
in prima persona, come può accadere ad ogni lettore entusiasta.
9 marzo 2013
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Recensione |
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