| |
Parlare o scrivere di un poeta e delle sue opere è sempre una reinterpretazione,
una traduzione dei contenuti che assumono una realtà Altra. Nello stesso tempo
la visione trasfigurata della loro essenza diviene motivo di riflessione e di
approfondimento per lo scrittore stesso che può non sentirsi compreso ma nello
stesso tempo viene percepito in maniera estesa, polimorfa. Scrivere di e per
Gian Piero Stefanoni è per me fonte di una gioia inesauribile in quanto mi
avvicina a lui la dimensione religiosa, l’intima voce che guida lo spirito alla
ricerca di Dio.
Un libro geografico, una toponomastica perfetta, i luoghi che
divengono nella loro reiterazione contenitori assoluti di una meditazione
profonda. Mi sono avvicinata alle poesie di questo testo con affetto quasi
materno, avendo già conosciuto e parlato di Stefanoni per Geografia del
mattino ma ho dovuto subito creare un distacco mentale , una dimensione di
lettura attenta, una sorta di devozione intesa come rispetto e coscienza. Per
questo i miei appunti saranno come un viaggio per le vie di Roma e altrove, un
viaggio lento, cadenzato in solitudine all’interno di un libro che si dilata
all’infinito e si evolve nello stesso istante in cui si propone. Nella sua
luce d’assenza… è l’assenza un vuoto, uno spazio concavo dove poter
collocare le nostre fragilità, ogni giorno una preghiera nuova, una ricerca
interiore dove la giustizia diviene tolleranza, capacità di stare al centro del
sentimento oltre l’avere, il potere : le strade sono rivoli, devianze, abitate
da fantasmi, i loro nomi spesso sono solo indicativi, una Roma che si cataloga e
definisce nei reticoli delle mappe e ci accoglie nelle sue distanze altolocate.
Di reale solo il rumore dei passi, lo sciame degli abiti…Anna sono i colori
di chi affonda…permane nel lucore del lastricato il grigio indelebile
dell’incuria, tutto raccolto nel silenzio dei luoghi, uno per nascere, uno per
morire, un non luogo per esistere. Anche la certezza della fede non corrisponde
alla verità della fede stessa, l’Amore è invisibile, si nasconde , teme la
luce, la dissolvenza mentre la figura del Cristo si unifica nella sua trinità
consapevole, si affratella con Roma-Amor, la inspira.
Il non viaggio chiude
all’interno delle mura…no, non verrò a Tel Aviv… si annoda al freddo
delle statue, ai loro frammenti, è un viaggio che non lascia traccia se non
quella del retrocedere dentro un’umanità abbrutita, deforme, senza sacralità.
Il Tu, rivolto a un Dio immenso, è un’estensione della distanza, non un
avvicinamento, una pioggia che discende a dissetare le pene dei relitti
esistenziali mentre il silenzio placa il respiro e si risveglia al suono di
bambini in voci giocose, uno specchio che non concede confronti. Solo la morte
ferma il tempo, un vuoto di volti, di stanze. La Poesia, quando appare, riempie
questo vuoto, la poesia del risveglio, quella dei giorni che si replicano finchè
dura la vita. Là, sempre nella stessa strada che porta il nome di Federico
Ozanam e gli alati popolano le liriche di Stefanoni, i soli in grado di spiccare
il volo, di librarsi nella Creazione che è contenitore composito per anime in
cerca, dialogando con i morti.
I.
giorni sono perle, occasioni, benedizioni…da spina fammi seme…da seme fammi
pianta... al centro della solitudine, nel silenzio di Dio. E’ il cammino
solo un inno di lode al mistero, all’immensità eterna della maternità di Maria
che accoglie nel suo grembo Roma e i suoi figli perché nell’uomo persiste quel
soffio che conduce alla gioia e che, mentre gli fa intuire il cielo, lo spinge
nello stesso tempo a osservare l’alternanza dei passi. La paura è il nostro
guardiano, ma nel Tu che incombe c’è la richiesta di quel perdono che tutto
trasfigura e rende l’attimo un momento rivoluzionario. Nelle liriche più brevi
si affaccia l’intenzione di un progetto, una promessa, un patto. La vita? Una
prova, una sfida, un dolore capovolto, la coppa a volte vuota. Ma il cuore
ricorda, il cuore si sveglia ed il sorriso torna in pace con l’anima. Luce
alle ombre…tutto il libro ne è soffuso. E’ un processo di autocoscienza e
di slancio appassionato, una lode all’imprevedibilità, alla strada che non si
mostra, al mistero. Marciate oltre il vostro nome. Andare sempre, in
comunione con il proprio corpo e la propria grazia. Sempre.
| |
|
Recensione |
|