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Senhal e la rosa

Poesia. Per avere
una visione completa, di ogni poeta si dovrebbe seguire il percorso dagli inizi
attraverso le varie opere, cosa che fortunatamente ci è possibile con Giovanni
Sato, un poeta sorprendente per la sua capacità di rinnovarsi e di proporre
altre soluzioni pur mantenendo quei caratteri peculiari che ne connotano lo
stile.
Qui dobbiamo prendere atto di due dati essenziali: la figura della donna
il cui mistero pare concentrarsi per l’appunto nel termine Senhal e la
rosa-emblema la cui ricchezza metaforica e simbolica è tra le più estese della
simbologia occidentale e orientale, tanto da sconfinare nell’afflato mistico.
Scrivere un numero considerevole di liriche su quel tema che si incrocia non è
da tutti: una scommessa, potremmo pensare, vinta in modo brillante dall’autore.
Se un dato diversificato esiste, è nella maggiore compattezza dell’invenzione,
che raramente, come invece in altri casi, crea quei punti particolarissimi che
sfuggono persino alla stessa percezione, e potrebbero venire intesi quali
aspetti tecnici, mentre in realtà fanno parte di una consolidata forma mentis
in grado di espandersi continuamente, inglobando ogni funzione, poietica e
tecnica, nel tutt’uno di una singolare creatività, cui la ratio
fa, per così dire, da sponda. Ci riferiamo, per esempio, a un ‘richiamo’ che è
nelle parole stesse: “Rose (ròse)”; oppure l’inserzione che trasforma e riflette
le sue significanze, pur correlate da una lucida capacità di comprensione: “l’inde(in)finito”.
O ancora, che ci dice quella lunga sospensione nel testo E amore non sa delle
rose? Il vero poeta conosce ciò che in genere sfugge ai comuni mortali e la
scrittura, lo citiamo, è un germoglio, affascinante idea che Ungaretti
per altro verso ci presenta come la fogliolina appena nata (prima
stesura). La trasparenza, la forma in incessante mutamento, sono la cifra più
alta cui si dovrebbe ispirare in una libertà che diventa anche rigore, quando
nella tessitura verbale si introduce “metà ta fisicà.” (Pulcherrima). La
bellezza è un dato acquisito: vi si rispecchia l’amata con le sue virtù e le
sembianze che si vorrebbero fissare ab eterno.
Quella tenerezza sembra
coprire l’eros, se mai vi fosse, che è un estremo tentativo di forzare la natura
affinché conceda una nuova veste al corpo e ai pensieri. La delicatezza del
tono, la lievità anche sonora, ci porta a considerare che la musica, per
quanto non esplicita, ci viene trasmessa da Warum? per condurci ai
fantasiosi pezzi schumanniani. Opera quindi da seguire nelle sottili sfumature
che si traducono in emozioni, talora in sensazioni, fino alla struttura
formale (Non temere amore:) — ìndice di una maturità stilistica
pienamente raggiunta.
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Recensione |
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