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Da questo mare
La dichiarazione che
Stefanoni concede alla sua postfatrice Franca Alaimo di voler essere letto in
poesia come per una costante preghiera non è solo uno spiraglio offerto al
lettore per meglio intendere l’intenzione che lo governa, ma è anche una chiave
per dire che la sua ispirazione si risolve in una accorata aderenza al suo credo
religioso, ottenuto con il ricorso e quasi la percussione di certe note, di
certe frasi o formule quasi rituali. La materia poetica del suo Da questo
mare mentre anela a ricongiungersi col tutto finisce di fatto con lo star
pago alla proclamazione di codesto congiungimento, se non all’estasi che la
parola, pervicacemente divelta per certo significato prima che per il suono,
produce in lui. Ma è il riflesso umano di quella cosmicità, quel sentirsi uno
nel molteplice, persona contingente, con quel tanto di terrestre che tale
contingenza porta con sé, pur nell’atto di effondersi nella vita del tutto, che
strattona il lettore, sviandolo dal sintomo dell’abbandono alla natura e al
creato per riportarlo davanti agli infiniti spunti del suo dettato. Ne sono
testimonianza gli otto tempi di L’amore che ti manca, strenuo desiderio
di sintesi poetica davanti alle “Crocifissioni di Manzù”, in cui modi
intenzionali, cari alla scuola ungarettiana de La Pietà, divengono
parole-chiave, linguaggio cifrato, innocente conio per plasmare un divenire
gnoseologico in stretta funzione di essenza e destinazione spirituale e però
tenuto lontano da ogni contaminazione psicologica e autobiografica:
“…CARITA’ per chi entra,
CARITA’/ per chi esce, temperati al Pastore, / temperati alla Rosa, rasi al
giardino, / riconosciuti dall’Angelo”.
E non si possono scrivere
versi così “accidentati”, tra immaginismo acceso e cristianesimo di base se non
s’ avvertono i rapporti fra sé, poeta e credente, e quel mondo di esseri umani
“scolpiti” nella tipologia di racconto evangelico e ripensarli e riviverli
dall’interno, come legami fisici e non solamente metafisici. Quell’immaginismo,
e quel tanto di ermetico che è nell’atto simbolico di essenzializzarli, cedono
via via a una fondamentale nitidezza e precisione di impressioni, di sentimenti,
di espressione: la parola, il ritmo, il verso acquistano una forza e un’armonia
nuove, un proprio statuto:
“…ORA E’ A NOI CADERE O
CAPIRE, /sotto la sragione e l’usura / dove la vita se non affermata si
estingue”.
La progressione dello scavo,
veicolato ancora dal sentimento religioso, diviene nel secondo tempo, come
acutamente osserva Franca Alaimo “…una sorta di diaframma che lo pone nella
condizione di cogliere le immagini della realtà con una disposizione d’anima che
sconfina nello stupore…”; dalla congiunzione biunivoca di poesia e conoscenza,
seguendo le fermate della linea 8 del tram, si arriva alla congiunzione poesia e
preghiera, secondo esempi che ancora una volta gli derivano dagli amati
scrittori e poeti ma rinvigoriti dalle letture sapienziali e, perché no,
dalla sua personale e matura officina classica e sperimentale:
“Sono arrivati alle nostre
rive / dove non c’è più nulla. //Ma ci mostrano gli ombrelli/ auspicando il
sole, l’avvento. //Come tendere le reti / per tirar su il pescato”.
Di fatto Stefanoni approda
da qui in poi alla riva derelitta dei migranti, “viandanti per mare”, a quegli
“alter Christus” che necessitano, per essere narrati, di concetti metafisici
trapiantati nella dolente carne che non trova scampo alla cattiveria umana e
alle profondità marine e dunque si raggruma la parola poetica nell’indiscutibile
volontà di fare, appunto, poesia dell’essere, di cogliere, cioè ciò che
vive nella vita e nella morte. La superiore geometria della fede e della ragione
si traduce, allora, in architettura della Poesia: la poesia diviene così, nel
poemetto dedicato al sedicenne morto annegato nella tragedia di Licata, il
“magico alfabeto” nel quale convergono i motivi fondanti del nostro, da un
sentire squisitamente umano se non creaturale all’uso di una oscillazione
semantica condotta nell’intimo di un cuore e di una intelligenza graziati per
struttura e costituzione interiore. Che è poi il destino stesso di un poeta, di
uno spirito alla ricerca dell’assoluto.
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Recensione |
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