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Elegia provinciale
Il dato che con maggiore prepotenza emerge dalla prima lettura di Elegia
provinciale di Giancarlo Micheli è la
paroleria culta: la koinè del narratore. La lingua alta
rifluente in uno stile alto è tutta la materia prima di un
Kunstwollen in cui lo scrittore si fa, perché lo è, artifex.
A
una seconda lettura, la lingua del narratore rivela però una profondità
inattesa. Non è infatti una lingua cortocircuitante né il narratore è
prigioniero di un immedicabile narcisismo. Questo narratore dittatoriale è
“illuminato” perché componendo la scena linguistica fa di sé un medium
per inventare la lingua del personaggio.
Non una sola lingua, quindi. Molteplici le lingue di Elegia
provinciale. Anzitutto, il discorso libero indiretto, l’oratio
obliqua attraverso cui già si distingue un narratore secondo. A
differenza del primo, l’estensore del nudo récit, il secondo entra,
forte in coscienza sociologica e invidiabile in vocazione antropologica, nel
pensiero del personaggio. Tra il récit oggettivo e la
semi–oggettività (o semi–soggettività) del discorso libero indiretto (sempre
in stile sublimis), Micheli gravita in un rango linguistico italiano.
Suo allora un duplice lavoro, aggregare la libera lingua della narrazione
alla lingua pensata del personaggio: è il superlinguismo del
narratore.
Ma c’è tanto di più nell’Elegia, come tanto di più c’è nell’artifex
che narra le provinciali elegie del maestro Giacomo Puccini. Alla
formidabile, e ulteriore, presenza di una texture eurolinguistica
occorre infatti annettere un nuovo dominio del narratore. Non una lingua,
ma più lingue concorrono a espandere l’attribuzione superlinguistica.
È una via, questa reagente entro l’eurolingua, in cui il superlinguismo del
narratore (récit, discorso libero indiretto) germina in lessico
transnazionale: inglese, francese, tedesco, spagnolo, greco antico e latino.
E in ibridismi linguistici ancora più affascinanti, le versioni mescidate:
anglo–francese, franco–inglese, ispano–inglese, franco–tedesco,
anglo–italo–francese. Ma il primato del pastiche non sarebbe completo
se non annoverasse un primato verghiano o di suoi illustri epigoni, Gadda e
Pasolini, la lingua del personaggio o il discorso diretto: il vernacolare
come ultimo tassello del pastiche. In terza lettura, tra le classi
sociali basse e alcuni personaggi tra le alte, si fa strada una texture
dialettale o il discorso diretto, che completa la già eccellente
capacità di scolpire l’indiretto libero.
E che è dire quanto Micheli renda
il pensiero dei personaggi e renda, etnolinguista di talento o
pasticheur, la loro parola, in una voluta linguistica in cui il
sublimis del narratore coabita con il piscatorius del
personaggio, e in cui oltretutto l’inventio non si dà se non alla
luce di un’eccellente capacità di variatio.
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Recensione |
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