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Quei 40 giorni di sciopero alla Cartiera di Lugo
una delle prime trincee del
sindacalismo cattolico all’inizio del nostro secolo
Una strada seminata da zoccoli
Quante
storie come questa si basano su un documento, vero o presunto, che l’autore dice
di aver trovato più o meno casualmente e di riportare fedelmente? Dopo
l’illustre esempio del Manzoni, questo è spesso un espediente con cui si tenta
di dare valore e testimonianza storica a qualcosa di letterariamente inventato;
ma in una “storia di Storia”, basata per definizione sul piacere di raccontare,
un tale pretesto narrativo non sarebbe assolutamente necessario, considerando
anche che il documento da cui realmente si parte e che è solo leggendolo tra le
righe che può esserci utile per ricostruire storicamente uno sciopero agli inizi
del nostro secolo.
Dalla
storia sappiamo che gli opifici lungo il corso dell’Astico e dei canali da esso
derivati furono teatro agli inizi del ‘900 di una serie di scioperi con cui gli
operai cercavano di migliorare non solo le paghe ma anche le loro condizioni di
lavoro. Di questi scioperi però si hanno scarse notizie, non più di qualche
cenno nei libri di storia specialistici o locali, o qualche racconto orale
tramandato nel tempo e di cui è difficile valutare la fondatezza, come quello
secondo cui a Chiuppano le operaie del Cotonificio Rossi, scese in sciopero nel
1908, si recarono in corteo in piazza, dove furono caricate e disperse dai
carabinieri a cavallo. Gli studi storici sul quel periodo poi, muovendosi in una
dimensione macro-sociale, tendono a vedere questi scioperi non solo come episodi
di un contrasto tra capitale e lavoro, ma piuttosto nell’ambito della querelle
tra il riformismo e il radicalismo rivoluzionario, un campo minato in cui la
“storia di Storia” ha serie difficoltà ad addentrarsi.
Comunque, il nostro documento, di cui abbiamo una recente fotocopia
dattiloscritta, risale al 9 luglio1910 e sotto la dicitura “Numero unico” si
intitola “Lugo Vicentino. Quaranta giorni di sciopero. Vittoria
dell’Organizzazione”. Non c’è dubbio che sia di parte, tanto che ad un certo
punto non si capisce bene se il vero avversario sia da individuare nei signori
Nodari, padroni della Cartiera, o nei socialisti-anarchici che allora non
accettavano soluzioni riformiste alla lotta di classe.
Il
documento si divide in tre parti. Nella prima si racconta l’antefatto e in
particolare la costituzione di quella che si chiamava l’Unione Professionale
Cattolica (che noi ribattezziamo in Upc), fondata a Lugo nel giugno del 1909 dal
prof. Sebastiano Schiavon e da don Giuseppe Rebeschini, dall’ufficio del lavoro
di Padova; già dall’inizio l’Upc contava più di 300 aderenti sui poco più di 400
operai della Cartiera.
Il 20
febbraio 1909 l’assemblea degli operai votò con un ordine del giorno con cui
chiedeva 30 centesimi all’ora di aumento per tutti, dimostrando dati alla mano
che gli operai dalla Cartieri di Lugo erano i meno pagati dall’altra Italia.
Mentre
si attendeva una risposta, arrivarono un commissario di pubblica sicurezza e un
tenente dei carabinieri con alcuni limiti per difendere l’ordine pubblico che,
dice il documento, “nessuno si era mai sognato di turbare”. Con questa scorta a
portata di mano, i proprietari fratelli Nodari comunicarono ad una delegazione
di operai di non essere disposti né a concedere aumenti né a voler trattare con
l’Upc.
Il
prefetto, comm. Facciolati, tentò una mediazione tra le parti che non dette
esito perché il consiglio di amministrazione della Cartiera aveva deciso la
soppressione del reparto “lavorazione a mano” e il conseguente licenziamento di
un certo numero di operai, presi anche dagli altri reparti. La reazione fu
immediata e in una assemblea degli operai tenutasi a Zugliano venne proclamato
lo sciopero, che iniziò il giorno successivo, lunedì 30 maggio 1910, quando
“nessun lavoratore si presentò in Cartiera”. Giovedì 3 giugno 1910 si svolse un
incontro a Vicenza tra il prof. Schiavon, l’on. Brunialti, che era stato
coinvolto per cercare una mediazione, il prefetto e il direttore de “Il giornale
di Vicenza” cav, Nicodemo Bertocco. In questo incontro si prese atto che la
vertenza era stata condotta dagli operai con prudenza ed onestà e che le
difficoltà derivavano dall’intransigenza della ditta. In particolare il
cav. Bertocco osservò che “tutti gli onesti devono guardare con simpatia a questo
sciopero”, mentre l’on. Brunialti definisce i Nodari come dei “moderni Burgravi”
(termine medioevale tedesco che indica il comandante militare di una roccaforte
a difesa di una città).
La ditta
rispose pubblicando un avviso in cui chi voleva lavorare in Cartiera poteva
iscriversi presso i sindaci dei Comuni di Lugo, Zugliano e Calveno: si
iscrissero solo i capi già ben pagati. Dopo una pausa di 15 giorni in cui lo
sciopero continuò compatto, la ditta tentò di dividere gli operai concedendo un
aumento di 12mila lire totali ai soli operai di ruolo. L’offerta colpiva in
particolare i giornalieri e le donne e fu accettata da non più di una
quarantina di operai.
La
seconda parte del documento è quella più drammatica in quanto si arriva allo
scontro con la Cartiera presidiata da carabinieri, dai fanti e dalla cavalleria:
gli operai stavano di guardia perché nessuno entrasse, mentre Lugo era in stato
di assedio. Finchè ad un certo punto la ditta, che aveva requisito un centinaio
di lavoratori ricattandoli col fatto che abitavano in case operaie di sua
proprietà, decise di provocare lo scontro appendendo un avviso in cui c’era
scritto “Oggi si apre la fabbrica”.
Al
mattino successivo la ciminiera fumava e alla 5.30 suonò la sirena; mancava
mezz’ora all’inizio del lavoro. Gli operai si accalcarono vicino a un capitello,
ad essi si aggiunsero amici e parenti, mentre i contadini che stavano andando
nei campi si fermarono a guardare. Alle 6 in punto, insieme con il campanile,
suonò anche la seconda sirena e dalla cartiera uscì uno squadrone di cavalleria
che, seguito da Camillo Nodari, in stivali e impermeabile, arrivò in contrada
Serra seguito dagli operari. La cavalleria circondò la sessantina di operai
appena assunti. Ma ormai si trovò a fronteggiare un migliaio di scioperanti e
loro sostenitori che gridavano “Vogliamo giustizia!”. Davanti a tutti c’erano le
donne.
Il
tenente dei Carabinieri suonò i tre squilli di tromba, la cavalleria avanzò, ma
dovette fermarsi davanti alla barriera umana che non si aprì. La donne
accarezzavano i cavalli e sorridevano ai soldati, gli operai chiedevano
giustizia, mentre il tenente Varrone spiegava che comunque “la forza deve
trionfare!”.
Allora,
in un estremo tentativo di composizione venne chiamato il parroco di Lugo, don Berengan. Questi, salito su una masiera, chiese il silenzio e cominciò il suo
tentativo di comporre il dissidio. La scena è tutta da descrivere. Il parroco,
dopo qualche elogio di circostanza, promise che si sarebbe recato personalmente
dai signori Nodari per vedere cosa potevano concedere. Il presente Camillo
Nodari dall’alto del suo cavallo, rispose “di non poter trattare”. Allora il
parroco suggerì di lasciar passare i sessanta operai che tanto, da soli non
potrebbero far funzionare la cartiera: “Un’altra forza di coercizione!” fu il
commento del Nodari.
A questo
punto il documento va citato integralmente. “Il parroco continua: siete voi
cristiani?”. “Si, si, siamo cristiani”. “Rinnegate voi il Signore?”. “No, no”.
“Ebbene, in nome della religione, in nome di Dio, lasciamo passare i nostri
operai!”, “No, piuttosto morire”:
Vedendo
che stava perdendo il controllo della situazione, il parroco grida: “Volete che
scenda con voi nella lotta? Volete che per primo dinnanzi al cavallo mi faccia
calpestare? Io sono con voi e i cavalli passeranno sul mio corpo. Sono contento
di offrire la mia vita”. Detto questo saltò giù dalla masiera e spingendo da
parte la gente arrivò davanti a tutti.
A questo
punto il tenente non potè più attaccare con la cavalleria: allora fece venire
avanti carabinieri e fanteria che, con la loro forza d’urto, aprirono un varco
attraverso cui passarono i crumiri, dei quali 15 si erano ritirati, che furono
scortati dalla cavalleria. La strada era disseminata di zoccoli persi dalle
donne. Erano comunque troppo pochi per far partire la cartiera e i Nodari
dovettero quindi scendere a patti.
Dato che
i padroni si ostinavano a non voler trattare con l’ Upc di Schiavon, questa
delegò il prefetto a rappresentarla. E’così che il 3 luglio si raggiunse
l’accordo e dopo 40 giorni, cessò lo sciopero; nel giro di una settimana la
Cartiera Nodari riprese a funzionare regolarmente.
La terza
parte del documento è quella che riporta le opinioni della parte che ha
sostenuto lo sciopero, in polemica con i socialisti che allora erano considerati
pericolosi rivoluzionari. L’esito dello sciopero venne favorevolmente commentato
dallo stesso Nicolò Rezzara e dal laico primario Della Lena, i quali esaltarono
il fatto che gli operai fossero rimasti compatti attorno a questa organizzazione
sindacale cattolica; che poi sia stata un gran vittoria, è un pò opinabile se di
fatto ottennero un aumento di 10 centesimi su 30 che avevano chiesto e vennero
licenziati 14 operai sui 18 previsti (gli altri 4 si erano ritirati
spontaneamente ) e, infine i Nodari non riconobbero l’Unione ma trattarono con
il prefetto, delegato a rappresentarla. Comunque, per non riaprire una polemica
di più di 80 anni fa, è forse il caso di concludere col detto “Meglio un uovo
oggi che una gallina domani”.
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