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Franco Orlandini

Guillaume Apollinaire “Pietà di me!”
2018 Testo “Rivisto e accresciuto”

° ° °

Notizie

Il poeta, scrittore, critico d’arte, drammaturgo francese Guillaume Apollinaire morì a Parigi il 9 novembre 1918.

Le sue “Oeuvres poétiques” vennero pubblicate dall’editore Gallimard, nella Bibliothèque de la Pléiade, nel 1965, in un copioso volume di LXXV- 1267 pagine.

Fu del maggio 1990 la notizia, riportata dalla stampa, che la camera del piccolo appartamento a tetto, al n. 202 di Boulevard Saint – Germain, dove Apollinaire era andato ad abitare sin dal 1913, e dove, nel maggio 1918, aveva condotto la sua novella sposa Jacqueline Kolbe, sarebbe stata ricostituita nel museo Carnavalet, sito in Rue de Sévigné.

La municipalità parigina aveva acquistato i mobili e la biblioteca (comprendente circa cinquemila tra libri e riviste) da Gilbert Boudard, erede del poeta.

Nella sede della Bibliothèque Nazionale de France, a Parigi, si trova custodito il manoscritto originale di settanta pagine, in parte manoscritte e in parte dattiloscritte, di “Alcools”, comprendente poesie dal 1898 al 1913, anno della pubblicazione della raccolta.

La fanciullezza

Guillaume Apollinaire (pseudonimo di Wilhelm Apollinaris Kostrowitzky) nacque a Roma nel 1880, figlio d’una aristocratica polacca e di un ex ufficiale borbonico; e a Roma visse i primi anni.

Dell’infanzia romana, il Nostro ricordava, in particolare, le feste di carnevale, quando, issato sulle braccia del padre, assisteva alla sfilata dei grandi carri addobbati, da cui piovevano sulla folla confetti, fiori e dolciumi. Sua madre lo portava a passeggio, a visitare le chiese, e al Pincio a veder passare le carrozze signorili; gli comprava, d’inverno, un cartoccio di caldarroste e, d’estate, una fredda fetta d’anguria. All’Epifania, il bambino riceveva, con qualche giocattolo, anche deliziosi pasticcini all’anice, di cui era ghiotto.

Ma egli rimaneva spesso da solo, davanti a una sedia, che immaginava fosse un altarino, ornandola con quelli che riteneva piccoli candelabri, cibori, ostensori, e gli capitava di “dir messa” …

Quando i suoi genitori si separarono, il fanciullo seguì sua madre, la quale si stabilì, nel 1887, nel Principato di Monaco. Lei era considerata dalla polizia, quale ”femme galante”, assidua frequentatrice delle case da gioco. Guglielmo trascorse la fanciullezza, come allievo presso il collegio cattolico San Carlo.

Amava assistere devotamente alle funzioni in chiesa, ai riti delle festività solenni; e riguardo a quegli anni, il poeta s’è compiaciuto di rivivere (come rivolgendosi a sé stesso …), in particolare, il ricordo delle preghiere ch’era solito recitare nel raccoglimento notturno, insieme col compagno di camerata e di giochi, da lui preferito, René Dalize.

Et tu n’es encore qu’un petit enfant
Ta mère ne t’ habille que de bleu et de blanc
Tu es très pieux et avec le plus ancien de tes camarades René Dalize
Vous n’aimez rien tant que les pompes de l’Église .
Il est neuf heures le gaz est baissé tout bleu vous sortez du dortoir en cachette
Vous priez toute la nuit dans la chapelle du collège …1

E tu ancora non sei che un fanciullino
Tua madre ti veste soltanto di blu e di bianco
Sei molto pio e col più anziano dei tuoi camerati René Dalize
Niente ami tanto come le cerimonie solenni della Chiesa
Sono le nove il lume a gas è abbassato azzurrognolo voi uscite dal dormitorio di nascosto
Pregate per tutta la notte nella cappella del collegio …

1 Come si dirà più avanti, A. ha abolito la punteggiatura nelle sue poesie.

La prima giovinezza: i viaggi

Ritroviamo il giovanetto Apollinaire, nel 1896, in un collegio di Cannes; e, l’anno dopo, nel liceo di Nizza. Egli è stato ricordato come uno studente gioviale e soprattutto amante della lettura di libri e di giornali, che portava spesso con sé; era già assiduo frequentatore della biblioteca. Scriveva le prime poesie, ispirandosi ai simbolisti, in particolare a Paul Verlaine …

Con sua madre si stabilì a Parigi, nell’anno 1900. Era uno spiantato, e si mescolò alla miserabile bohème, dove circolavano acquavite ed oppio. Apollinaire però sfuggì all’abbruttimento, per l’intensa disposizione che aveva per l’arricchimento culturale; egli, infatti, frequentava assiduamente le biblioteche; rovistava, sempre curioso, tra i libri usati delle bancarelle.

Dai venti ai venticinque anni, il giovane dai capelli rossicci e dagli occhi celesti, di costituzione robusta, e quindi anche buon camminatore, si allontanò dalla capitale, per diversi viaggi,2 vuoi in Olanda, in Baviera, in Boemia: “Tutto il santo giorno cantando ho camminato / Una donna affacciata alla finestra m’ha guardato a lungo / Allontanarmi cantando” …

Ecco, in una strada, una rapida scena, e una confessione: “Au tournant d’une rue je vis des malelots / Qui dansaient le cou nu au son d’un acordéon / J’ai tout donné au soleil/ Tout sauf mon ombre” All’angolo d’una strada vidi marinai / Che a collo nudo danzavano al suono d’una fisarmonica / Tutto ho dato al sole / Tutto tranne la mia ombra”

Il sole non aveva dissolto l’ombra dell’inquietudine, tutta interiore, che spingeva il giovane a mutar luogo, soprattutto alla ricerca, alla conoscenza di sé stesso, della propria identità; essa gli rimaneva sempre presente nell’animo, con la vaga mestizia, che procurano i vuoti non colmati, le lontananze, le nostalgie …

 2 Apollinaire accennerà a un “nomadismo epico” nel manifesto “L’Antitradition futuriste” del 1913.

Il soggiorno in Germania

Negli anni 1901 – 1902 Apollinaire si fermò in Germania, poiché fu assunto da una viscontessa come precettore della figlia novenne. Si invaghì della governante Annie Playden, di origine inglese, ragazza dal viso paffutello, con i capelli biondi raccolti a crocchia.

Lei rimaneva però sconcertata dagli atteggiamenti mutevoli del suo spasimante, a volte tenero e pieno di attenzioni, a volte opprimente, poiché pervaso da gelosia; pur sempre insistente con l’interminabile recita dei suoi versi; alla fine Annie se ne ritornò dalla famiglia a Londra.

Nella Renania Apollinaire passeggiava lungo il Reno, nelle cui acque si rispecchiano i prosperi vigneti dei colli circostanti e, di notte, le stelle: “Le Rhin le Rhin est ivre où ses vignes se mirent / Tout l’or des nuits tombe en tremblant et s’y refléte” “Il Reno il Reno è ebbro dove le vigne si specchiano / Tremolando cade l’oro delle notti e vi si riflette”

In primavera, lungo il corso, scivolano agili battelli, da cui ogni battelliere manda lente canzoni: “Ecoutez la chanson lente d’un batelier” …

Il Nostro vi vedeva formarsi l’immagine della leggendaria Loreley, con “i suoi occhi renani e i suoi capelli d’oro”; fantasticava riguardo alle ondine del fiume che hanno “capelli verdi e lunghi fino ai piedi / e incantano l’estate”.

Il giovane era sensibile alla gradevole natura del mese di maggio, quando gli orti sono fioriti e quando l’edera e i roseti si arrampicano sui muri e vi celano anche le crepe. Allora “Il vento del Reno scuote i giunchi sulla riva / E le chiassose canne e i nudi fiori della vigna”.

Egli ha cantato, con toni classici, la dolce primavera, tempo propizio all’amore:

“C’est le printemps viens-t’en Pàquette
Te promener au bois joli
Les poules dans la cour caquètent
L’aube au ciel fait de roses plis
L’amour chemine à ta conquête

Viens ma tendresse est la régente
De la floraison qui paraît
La nature est belle et touchante
Pan sifflote dans la forêt
Les grenouilles humides chantent

E’ primavera vieni Pasquetta
Nel bel bosco a passeggiare
Schiamazzano in cortile le galline
L’alba nel cielo fa pieghe rosate
L’amore avanza alla tua conquista

Vieni la mia tenerezza governa
La fioritura che di nuovo spunta
E’ bella la natura e commovente
Zufola Pan nella selva
Cantano le umide rane

Ma Apollinaire ha spesso trasferito la sua inquietudine nella natura e, allora, “Si urtano e cigolano le cime dei pini / Si sente anche l’austro lamentarsi.” Egli, anzi, ha avuto visioni abnormi: “La foresta fugge lontano come un’armata antica / Le cui lance o pini si agitano alla svolta”.

Ma al poeta, placatosi l’animo, nella natura rasserenata è apparsa anche la tranquilla visione dei villaggi addormentati che “meditano/ Come le vergini i vecchi i poeti.”

Diradatisi i pensieri tenebrosi, eccolo ritornare a reminiscenze classiche: “Nei giardini e nei frutteti / Gli uccelli cantano sui rami / La chiara primavera il lieve aprile”; eccolo guardare “Il cielo incolore costellato / Di astri pallidi come il latte ” …

La natura si riveste di un’atmosfera di fiaba, quando Apollinaire presenta un fiume: “E’ un fiume verde e d’oro / A sera le donne della riva / Vi bagnano i corpi adorati / E si prolungano i canti dei rematori”; oppure un lago: “La barca con i barcaioli che cantavano / Su un lago bianco e sotto l’alito / Dei venti che a primavera tremano / Avanzava cigno morente sirena”

Il poeta ha veduto negli abeti, degli astrologhi: “Gli abeti dal cappello a punta / Vestiti di lunghe vesti / Come astrologhi …”

Con il legno d’abete, come si sa, si costruiscono le imbarcazioni, e gli abeti, dalla riva, “Salutano gli abbattuti fratelli / I battelli che navigano sul Reno”

Apollinaire se li raffigurava decorati di luci, “Nei felici Natali” / “A brillare mutati dolcemente / In stelle e coperti di neve”; ed anche, come medici, ad offrire le loro essenze, i loro benefici unguenti.

Momenti di poesia

Il poeta ha scorto, talvolta, negli sguardi d’una donna, il luccichio delle stelle: “I suoi sguardi lasciavano una scia / di stelle nelle sere tremanti”… o anche angeli eterei: “Gli occhi come angeli danzavano”.

Ha immaginato una dama con i colori della Francia dipinti sul bel viso: con gli occhi azzurri, i denti bianchi e le labbra molto rosse; una dama così bella, che – com’egli ha detto- “Tu n’aurais pas osé l’aimer” “Non avresti osato amarla”

Ha potuto sentire, ancora adolescente, piccole mani delicate accarezzargli dolcemente, castamente la fronte, mani di pallida santa: “Je sens ses petites mains sur mon front glacé / Ses mains dont doucement elle me caressait / Ses rares mains de sainte pâle où bien d’enfante” …

Nei suoi ricordi il Nostro s’è rivisto in riva al Mediterraneo, sotto i limoni che sono in fiore tutto l’anno, a guardar nuotare, tra le alghe, i pesci, “immagine del Salvatore…

S’è rivisto anche nel giardino d’una locanda, nei dintorni di Praga; lì s’era sentito felice, semplicemente perché sulla tavola c’era una rosa. Egli, invece di stare intento al racconto che stava scrivendo, osservava la cetonia dorata che dormiva nel cuore della rosa.

Il giovane Apollinaire si dimostrò sensibile allo spettacolo della natura “bella e commovente” … Ma da essa egli s’è poi allontanato, una volta integratosi nell’ambiente parigino.

Come dirà Max Jacob: “I miei amici di Parigi ch’io amo, ai quali devo / l’aver saputo scrivere dei libri, non si curano dei boschi, / trascinando altrove il mio pensiero / felice e triste, a un tempo, d’essere trascinato.”

Nel Cimitero

In Renania, un giorno di Novembre, nuvoloso e ventoso, Apollinaire s’intrattenne in un cimitero di campagna, aperto anche ai mansueti asini, che brucavano i fiori delle corone mortuarie; un luogo che gli si presentò ben curato, tanto da sembrare un bel giardino, con i salici e gli odorosi cespi di rosmarino; pensava che lì i defunti dovessero riposare bene.

Nel giorno della visita c’erano i bambini che avevano accompagnato le donne anziane; non stavano sempre composti, ma si lasciavano andare a qualche gioco in mezzo alle tombe, chiamandosi per nome: Martino, Gertrude, Hans ed Enrico.

C’est le jour des morts et de toutes leurs âmes
Les enfants et les vieilles femmes
Allument des bougies et des cierges
Sur chaque tombe catholique
L’air tremble de flammes et de prières
Le cimetière est un beau jardin
Plein de saules gris et de romarins
Ah! Que vous êtes bien dans le beau cimetière
Vous mendiants morts saouls de bière
Vous les aveugles comme le destin
Et vous petits enfants morts en prières
Ah! que vous êtes bien dans le beau cimetière
Vous bourgmestres vous bateliers
Et vous conseillers de régence
Vous aussi tziganes sans papiers
Le vent du Rhin ulule aveec tous les hiboux
Il éteint les cierges que toujours les enfants rallument
Et les feuilles mortes
Viennent couvrir les morts
Des enfants morts parlent parfois avec leur mère

E’ il giorno dei morti e delle loro anime
I fanciulli e le vecchie
Accendono candele e ceri
Su ogni tomba cattolica
Tremola l’aria di fiammelle e preghiere
Il cimitero è un bel giardino
Pieno di salci grigi e rosmarino
Ah! Come state bene nel bel giardino
Voi mendicanti morti briachi di birra
Voi ciechi come il destino
E voi bambini morti pregando
Ah! Come state bene nel bel cimitero
Voi borgomastri e battellieri
Voi consiglieri di reggenza
E pure voi zingari privi di documenti
Il vento del Reno soffia con tutti i suoi gufi
Spegne i ceri che i fanciulli riaccendono di continuo
E le foglie morte
Scendono a coprire i morti
Talvolta bambini morti parlano con la mamma

Quale delicata immagine, quella dei bimbi innocenti, che sono morti, recitando preghiere! E quella dei bimbi, in muto colloquio, dalla loro sepoltura, con la propria mamma!

Avremmo certo preferito che così si concludesse la poesia; ma, tanto spesso, Apollinaire, di sorpresa, esercita sul lettore un’aggressività drammatica, mettendolo di fronte ad immagini paradossali, contrastanti con la ragione, con l’evidenza.

Egli qui introduce un’allucinata scena macabra: al posto delle foglie cadute, marcescenti sopra le tombe, ecco comparire mani mozze e le stesse mani dei defunti affiorare mozzate. E a chi il poeta si rivolge con quel “tu”? A quale persona che ha anch’essa le mani recise?

Oh! Je ne veux pas que tu sortes
L’automne est plein de mains coupées
Non non ce sont des feuilles mortes
Ce sont les mains des chères mortes
Ce sont tes mains coupées

Oh! Non voglio che tu esca
L’autunno è pieno di mani tagliate
No non sono foglie morte
Sono le mani dei cari morti
Son le tue mani tagliate

Eppure Apollinaire s’era dimostrato sinceramente commosso nel trovarsi in quella atmosfera così piena di devozione, di pietà verso i defunti: “Abbiamo pianto tanto oggi/ Con questi morti i loro figli e le donne anziane/ Sotto il cielo senza sole/ Nel cimitero pieno di fiammelle”

L’Autunno e lo scorrere del tempo

Come altri poeti dell’ultimo Ottocento (ad iniziare da Baudelaire, il quale dava l’addio alla “vivida luce di queste nostre estati troppo brevi” e avvertiva l’incubo di sprofondare “presto in fredde tenebre”… ) e dei primi decenni del Novecento, Apollinaire ebbe l’ossessione dell’Autunno.

E’ questa, infatti, la stagione che preannuncia il freddo vento che soffierà tra i roseti, e la neve che scenderà sui frutteti; e, intanto, fa sentire il rumore dei frutti maturi, rimasti sui rami, non colti, quando cadono sul terreno …

Persistette, infatti, nel nostro poeta, la sensazione della precarietà dell’esistenza, del fatale allontanarsi e del definitivo dileguarsi d’ogni cosa più cara. E la stagione che ha in sé il carattere distintivo della transitorietà, del trapasso, è l’Autunno, che stende veli di nebbia che nascondono, cancellano …

Allontanano dalla vista gli sparsi casolari, verso i quali si dirige lento lento quel contadino3 che cammina sbilenco e conduce un bue; e intanto canticchia una triste canzone, che parla d’amore e d’infedeltà, d’un anello e d’un cuore infranto.

Nell’uggiosa giornata il poeta è rimasto a guardar dileguarsi nella nebbia le due grigie figure; e quella canzonetta gli ha fatto ripensare ai suoi trascorsi amori falliti …

Fuga del tempo e malinconia: perenne sorgente di poesia, in ogni epoca, per innumerevoli poeti; ed anche per Apollinaire. Il Nostro scriveva, infatti, in una lettera: “Rien ne détermine plus de mélanconie chez moi que cette fuite du temps. Elle est la source même de ma poésie”. Definì “eterna” la stagione autunnale, la riconobbe quale sua “stagione mentale”; dichiarò esplicitamente: “Io sono soggetto al Simbolo della Costellazione dell’Autunno”.

Una stagione “malata”, in cui, nel prato, i colchici velenosi mostrano i loro fiori color lillà; e i tuoi occhi - dice il poeta, riferendosi all’amante - sono come quei fiori violacei, “E la mia vita per i tuoi occhi lentamente s’avvelena”

Il bosco sembra piangere, con le foglie che si staccano, ad una ad una, tutte le sue lacrime: ”Le vent et la forêt qui pleurent / Toutes leurs larmes en automne feuille à feuille” Sono le lacrime della natura, ed anche le lacrime dell’uomo, che vede cadere, una dopo l’altra, le sue illusioni … E il destino delle aeree foglie, è di finire calpestate nelle strade.

Durante la guerra, poi, al fronte, il poeta avvertirà ancor più l’incombente, angosciosa precarietà propria dell’Autunno …

Apollinaire afferma: “Une épouse me suit c’est mon ombre fatale …” “Una sposa mi segue è la mia ombra fatale”: è l’ombra che affianca l’uomo, pertinace, sino all’ultimo giorno della vita, poiché passiamo, tutto passa: “Passons passons puisque tout passe”; come corre via un treno, scorre la nostra vita: ”Un train / Qui roule / La vie / S’écoule” … Rimane la consolazione di volgerci, di tanto in tanto, indietro, alla ricerca dei ricordi, anche se essi possono, alla fine, perdersi nell’oblio.

Una nota vivace, nel grigiore dell’autunno, non è però sfuggita al poeta e va ricordata: quella dei fanciulli che, ritornati a scuola, “vengono chiassosi / Vestiti di casacca e suonando l’armonica” ***

3 Ci si riferisce alla poesia “Automne”, in “Alcools”

Che cosa erano diventati i giorni del passato? Ad Apollinaire sono riapparsi come cadaveri, a segnare il cammino già percorso; ma egli non ha avuto timore a voltarsi per guardarli, già putrefatti. Che cosa era rimasto di loro, se non il rimpianto? … “Rimpiango ciascuno dei baci che do” – egli ha detto – “come un noce bacchiato racconta al vento i suoi dolori”.

Rimpianto della rara felicità che procurano sia l‘amore, sia la primavera, ch’è foriera d’amore; anche il poeta, seppur passeggera, l’aveva provata, con passione ricordando che “Era l’alba d’un giorno d’aprile / Ho cantato la mia diletta gioia / L’amore ho cantato con voce virile / Nel momento d’amore dell’anno.”

Era, nonostante tutto, rimasta la scoperta della poesia, poiché questa di rimembranze si nutre, si alimenta di nostalgia; e fa sovente sognare, e può resistere anche all’azione erodente del tempo.

J’ai eu le courage de regarder en arriére
Les cadavres de mes jours
Marquent ma route et je les pleure
Les uns pourrissent dans les églises italiennes
Ou bien dans de petits bois de citronniers
Qui fleurissent et fructifient
En même temps et en toute saison
D’autres jours on pleuré avant de mourir dans des tavernes
Où d’ardents bouquets rouaient
Aux yeux d’une mulâtresse qui inventait la poésie
Et les roses de l’électricité s’ouvrent encore
Dans le jardin de ma mémoire

Ho avuto il coraggio di guardare indietro
I cadaveri dei miei giorni
Segnano la mia strada e li rimpiango
Gli uni imputridiscono nelle chiese italiane
Oppure nei boschetti di limoni
Che fioriscono e danno i loro frutti
A un tempo stesso ed in ogni stagione
Altri giorni hanno pianto prima di morire nelle taverne
Dove accesi fiori ruotavano
Negli occhi d’una mulatta
Che faceva sognare poesia
E le eccitanti rose ancora s’aprono
Dentro il giardino della mia memoria

A Parigi i primi approcci nell'ambiente letterario

Riprendiamo la biografia del Nostro, che tornò a Parigi nell’agosto 1902. Era un giovane sconosciuto, occupato in piccoli impieghi temporanei, dipendente economicamente dalla madre, che lo invitava ormai a lavorare: “Ragazzo tutto quello che avevo ti ho dato lavora”.

Egli, ventitreenne, prendeva parte alle serate di poesia, organizzate dalla rivista “La Plume”, nel caffè Caveau du Soleil d’or, situato nel Quartiere Latino. Tale locale, negli anni passati, era frequentato soprattutto dai simbolisti, che ascoltavano, in religioso silenzio, la recita delle poesie da parte di Paul Verlaine.

Il Nostro, che se ne rimaneva spesso malinconico, in disparte, con la pipa tra le labbra Il 25 aprile 1903 recitò due poesie, che saranno poi pubblicate sulla rivista stessa.

Apollinaire cominciò a fare le prime conoscenze nell’ambiente letterario, incontrando i poeti Alfred Jarry, Stuart Merril, Paul Fort, rivolti verso il nuovo … Un severo tradizionalista era, invece, Jean Moréas (1856-1910), aristocratico greco, ormai parigino. Egli era uscito dalla scuola simbolista e aveva diffuso il manifesto della “École Romane Française”, con il quale rilanciava il neo-classicismo. Ma anche Apollinaire, nel segreto, sentiva il fascino della poesia classica.

L’incontro del Nostro con André Salmon avvenne nel caffè suddetto. Apollinaire stesso ricordò (definendo il caffè come maudit …) in una sua poesia: “Nous nous sommes recontrés dans un caveau maudit / Au temps de notre jeunesse”

Salmon era parigino (1881); aveva dimorato, insieme con il padre, un acquafortista, a San Pietroburgo; ritornato a Parigi, dal 1903 frequentava il Caveau. I due giovani erano entrambi mal vestiti; attesero l’alba, fumando (Apollinaire sarà sempre un accanito fumatore …). Essi erano dell’avviso che bisognasse trovare altri moduli espressivi: “changer le sens”, cambiare il senso di ormai trite parole.4

E proprio con Salmon e altri due amici, Deniker e Mollet, nel novembre 1903, il Nostro diede vita alla rivista letteraria “Le festin d’Ésope”, non legata ad una particolare scuola, “organe d’aucune école”, ma aperta a contributi disparati. Il periodico però non resistette alle difficoltà finanziarie, anche perché aveva pochi lettori, e si concluse, dopo nove numeri, nell’agosto 1904.

4 Apollinaire dirà di “invenzione di parole” nel manifesto “L’Antitradition futuriste” del 1913.

Ancora in viaggio

Apollinaire si mise ancora in viaggio, sia nel 1903, sia nel 1904, per l’Inghilterra. Egli inseguiva sempre appassionatamente l’amore, nella persona della governante Annie Playden, che, come abbiamo visto, se n’era ritornata a Londra; lei però rifiutò ancora una volta le sue profferte; s’imbarcherà nel 1905 per l’America …

Il Nostro continuò a pensarla; se la immaginava sulla costa del Texas, “tra Mobile e Galveston”, in un giardino tutto pieno di rose, con dentro una villa simile a una grande rosa; ed ecco Anna passeggiare tutta sola nel giardino … “E quando passo sulla strada orlata di tigli – dice il poeta, pur sempre fantasticando – Noi ci guardiamo”

Uno sguardo, acquietatasi ormai la passione, stanco e pieno di solitudine e di rimpianto. Apollinaire più tardi riconoscerà: “Mi credevo male amato ed ero io ad amare male.”

Il Cubismo

Al ritorno a Parigi, Apollinaire si legò in amicizia con Pablo Picasso, ch’era ancora un giovane pittore squattrinato; questi, a sua volta, gli fece conoscere il bretone Max Jacob (Quimper, 1876), poeta e anch’egli pittore. C’era nel quartiere di Montmartre una vecchia fabbrica, che era stata adattata a studio di artisti ed era conosciuta come Bateau-Lavoir. Picasso in tale casa-studio dimorò dal 1904 al 1912. Era una costruzione in legno, fredda d’inverno e torrida d’estate; vi si ritrovavano artisti e letterati, che passavano chiassose nottate, recitando poesie, cantando ed ubriacandosi.

Il quadro che Picasso dipinse nel 1907, “Les demoiselles d’Avignon”, viene considerato come la prima opera cubista. Apollinaire fece conoscere a Picasso, il pittore Georges Braque, il quale, nel 1908, dipinse “Case e alberi”. La nuova tendenza artistica, che reagiva all’impressionismo, era sorta, dunque, ad opera di Picasso e di Braque, tra il 1907- 1908, e s’andò affermando, attirando altri pittori.

Scioltosi dai vincoli delle leggi prospettiche, il cubismo voleva inventare un’associazione nuova di forme e di colori; esso deformava gli oggetti reali, offrendo una visione simultanea dell’oggetto stesso, alla ricerca della “quarta dimensione”.

Apollinaire fu convinto assertore del cubismo; egli pubblicò il suo primo articolo di critica artistica, parlando proprio di Picasso. Più tardi affermerà che “quello che differenzia il cubismo dall’antica pittura è che non è un’arte di imitazione, ma un’arte di concezione, che tende ad elevarsi sino alla creazione” (dal saggio “Les peintres cubistes, méditations esthétiques”, Parigi, 1913).

Il Nostro, inoltre, apprezzerà e valorizzerà il talento del “doganiere” Henri Rousseau (cosiddetto perché era stato impiegato del dazio), considerato un “primitivo moderno”, che mostrava elementi fantastici prevalenti su quelli reali, nei suoi quadri di soggetto naïf.

Va, tuttavia, ricordato, a tal proposito, che non tutti i critici d’arte di professione, a lui contemporanei, nonché diversi pittori, come Braque, apprezzavano gli scritti sull’arte che Apollinaire redigeva.

A Parigi la prima opera di poesia

Di corporatura notevole, il Nostro venne descritto come un tipo dai modi enfatici, ricercati, ma, in fondo, dall’animo semplice, più volte sentimentale; spesso trasandato nella persona, indossava vecchi abiti, che avevano le tasche deformate, perché sempre colme di fogli, di manoscritti.

Assai abile nelle costruzioni teoriche, possedeva, inoltre, capacità fascinatorie di linguaggio; ricco di vasta cultura, la sua conversazione talora incantava.

Per vivere, tuttavia, doveva esercitare, come s’è detto, diversi mestieri, come quello di segretario, di stenodattilografo, di impiegato di banca; e scriveva romanzi erotici d’appendice; era avida la sua curiosità nella ricerca delle fonti; il Nostro passava dall’antica, lussuriosa Babilonia, alla Roma dei Borgia, ai bordelli londinesi, al libertinaggio di De Sade.

Lasciato il domicilio di sua madre, Apollinaire andò a vivere da solo a Montmartre. Pubblicò nel 1907 un articolo su Matisse, nella rivista “La Phalange”. Scriverà poi su Braque e il Doganiere Rousseau; tenne delle conferenze, difendendo i nuovi pittori.

Nel 1911 diede alle stampe la prima opera di poesia: “Bestiaire ou Cortège d’Orphée”, da lui stesso definita “un divertimento poetico”. Si compone di svariate quartine, ciascuna dedicata a un animale, il quale dà all’autore lo spunto per rapide riflessioni etiche ed estetiche, con una tendenza al nonsense.

L’écrevisse
Incertitude, ô mes delices,
Vous et moi nous nous en allons
Comme s’en vont les écrevisses,
A reculons, à reculons.

Il gambero
Incertezza, delizia mia,
Tu ed io ce ne andiamo
Come se ne vanno i gamberi,
A ritroso, a ritroso.

Apollinaire, riferendosi ai poeti, li pensa, con malcelata ironia, come “artefici”, i quali, con intenso impegno, possono raggiungere la costruzione di strofe armoniose, apprezzate dagli intenditori, tali da procurare ricchezza e, dopo la morte, la fama …

La chenille
Le travail mène à la richesse.
Pauvres poètes, travaillons!
La chenille en penant sans cesse
Devient le riche papillon

Il bruco
Il lavoro conduce alla ricchezza.
Poveri poeti, lavoriamo!
Il bruco faticando senza sosta
Diventa alfine la ricca farfalla.

L’élephant
Comme un élephant son ivoire,
J’ai en bouche un bien précieux:
Pourpre mort! … J’achète ma gloire
Au prix des mots mélodieux.

L’elefante
Come un elefante il suo avorio,
Io ho in bocca un prezioso bene:
Purpurea morte! … Acquisto la mia gloria
A prezzo di parole melodiose.

La sauterelle
Voici la fine sauterelle,
La nourriture de saint Jean.
Puissent mes verses etre commme elle,
Le regal de meilleurs gens.

La cavalletta
Ecco la delicata cavalletta
Di cui si nutrì San Giovanni
Egualmente possano i miei versi
Essere la delizia dei migliori lettori.

Nella quartina dal titolo “La souris”, “Il topo”, il poeta pensa al tempo, come costituito da topi che stiano a rodere, a poco a poco, la vita degli uomini; a lui hanno già consumato ventott’anni, lasciandolo insoddisfatto del modo con cui li ha trascorsi.

Gli amori falliti

Apollinaire subì, nella vita sentimentale, un altro cocente disinganno. Intrecciò una relazione con Marie Laurencin, pittrice del gruppo cubista, che scriveva anche poesie in versi liberi. Marie non era però un’astrattista, poiché dipingeva figure, in particolare femminili, dalle forme e dai colori delicati e sfumati, avvolte da un’atmosfera sognante.

Il Nostro aveva conosciuto la giovane, che aveva folti capelli crespi, ondulati, come “mer qui moutonne”, come mare che s’agita, nel 1907, tramite Picasso; il loro rapporto si protrarrà sino al 1912, tra rotture e riappacificazioni, quindi sempre tormentato e infelice; un amore che arrecava pena, soprattutto ad Apollinaire, che nutriva un’eccessiva gelosia: “Je passais au bord de la Seine / Un livre ancien sous le bras / Le fleuve est pareil à ma peine / Il s’ècoule et ne tarit pas” “Passavo sulla riva della Senna / Tenendo un vecchio libro sotto il braccio / Il fiume è come la mia pena / Scorre e non finisce mai”

E in Apollinaire riaffiorava l’inseparabile malinconia autunnale, come se le foglie, ormai spente, scendessero a cospargere le confessioni così spesso insincere, prossime a spegnersi, degli amanti.

Apollinaire, alla fine, ricevette un rifiuto alla sua proposta di matrimonio. La Laurencin aveva dipinto la tela “Apollinaire et ses amis”, che, dopo la separazione, rimase ad Apollinaire, il quale la conservò sempre con affetto.

Il Nostro si considerava un “mal-aimé”, un male amato (come si definì nell’omonima canzone5), un malcorrisposto, un incompreso, sempre deluso in amore. Egli ha guardato la donna amata allontanarsi e, rassegnatamente, ha dato l’addio “al falso amore confuso”:

Adieu faux amour confondu
Avec la femme qui s’éloigne
Avec celle que j’ai perdue
L’anné dernière en Allemagne
Et que je ne reverrai plus

Addio falso amore confuso
Con la donna che s’allontana
Con quella che ho perduto
L’anno scorso in Germania
E che non rivedrò più (e qui il riferimento, come si comprende, è ad Annie Playden).

5 ”La chanson du Mal-Aimé” in “Alcools”.

Apollinaire osservava scorrere la Senna sotto il ponte Mirabeau, e, riflettendo sulla rottura con Marie Laurencin, considerava che “L’amour s’en va comme cette eau courante”; che “Passent les jours et passent le semaines/ Ni temps passé / Ni les amours reviennent / Sous le pont Mirabeau coule la Seine” ”L’amore se ne va come quest’acqua che scorre” “Passano i giorni e passano le settimane / Né il tempo passato / Né gli amori ritornano / Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna” …

Apollinaire ricorderà di aver sofferto d’amore particolarmente a venti e a trent’anni, confessando “J’ai vécu comme un fou et j’ai perdu mon temps” “Come un folle ho vissuto e ho perduto il mio tempo”; l’angoscia dell’amore l’ha sentita spesso stringergli la gola come un nodo …

L’amore l’ha fatto soffrire, tra esaltazioni e depressioni, come una malattia, di cui vergognarsi … Ma era per lo più un amore passionale, non sano, che conosceva anche, talora, reminiscenze sadiane : “Sappiamo bene che ci danniamo” …

Egli, tuttavia, amerà, amerà ancora, anche se, irretito nelle sue fantasie, conferirà alle varie donne la fisionomia alimentata dalla sua accesa immaginazione, spesso anche attraversata da ardori lascivi.

Si perdeva interamente dietro la idealizzazione e gli sfuggiva così la cognizione della realtà; quando ritornava al contatto con questa, svanite ormai le visioni, si accorgeva d’esser rimasto solo.

Apollinaire, tuttavia, ha sentito talvolta il segreto richiamo d’un più latente desiderio puro e purificante: “Et viens que je te baise au front / O légère comme une flamme / Dont tu as toute la souffrance / Toute l’ardeur et tout l’éclat” “E vieni che ti baci in fronte / O leggera come una fiamma / Di cui hai tutta la sofferenza / Tutto l’ardore e tutto lo splendore”

° ° °

Ed anche pensava, dopo la vita errabonda e disordinata, di accasarsi, come forse si può desumere da un’altra quartina de “Il bestiario”, dal titolo “Le chat”. Pensava di avere in casa “une femme ayant sa raison”, una donna saggia, assennata; di vedere, come Baudelaire, un gatto passeggiare tra i suoi libri; di accogliervi i suoi amici, per piacevoli conversazioni … Un desiderio che alfine si avvererà, ma ormai troppo tardi, come vedremo, in prossimità della morte.

In Prigione a “La Santè”

Capitò nel 1911 un fatto clamoroso: il 21 agosto, al museo del Louvre, ci si accorse ch’era stato rubato il quadro della Gioconda!

La gendarmeria fece le sue indagini tra i giovani artisti ignoti e indigenti; il trentunenne Apollinaire venne arrestato, perché conosciuto come tipo stravagante, che aveva già manifestato simpatia nei confronti dei futuristi, i quali, si sa, erano contrari all’arte del passato.

Il Nostro passò otto giorni in carcere, prima che fosse appurata la sua estraneità ai fatti. La verità venne fuori soltanto nel 1913, quando si scoprì che l’autore del furto era stato un custode di origine italiana, Vincenzo Peruggia. Questi, a un certo momento, ingenuamente, voleva rivendere il quadro a un collezionista di Firenze …

Nella lunga poesia “A la Santé” il poeta descrive il profondo senso di umiliazione provato all’entrata nel carcere; e poi quello di alienazione, essendo ridotto a un numero: il detenuto numero diciotto della cella numero quindici. Egli provò la noia delle giornate interminabili. Gli arrivavano i rumori che si ripetevano sempre uguali, come il tintinnare del mazzo di chiavi in mano al secondino, che faceva il consueto giro.

Ebbe anche momenti di disperazione; si consolava componendo versi, sotto il raggio di sole che filtrava dai vetri della finestra e sembrava giocherellare sul foglio di carta, come a distrarlo un poco.

Avant d’entrer dans ma cellule
Il a fallu me mettre nu
Et quelle voix sinistre ulule
Guillaume qu’est tu devenu
Non je ne me sens plus là
Moi – même
Je suis le quinze de la
Onzième
Le soleil filtre à travers
Les vitres
Ses rayons font sur mes verses
Les pitres
Et dansent sur le papier
J’écoute
Quelqu’un qui frappe du pied
La voûte
Dans une fosse comme un ors
Chaque matin je me promène
Tournons tournons tournons toujours
Le ciel est bleu comme une chaîne
Dans une fosse comme un ors
Chaque matin je me promène
Dans la cellule d’à côté
On y fait couler la fontaine
Avec les clefs qu’il fait tinter
Que le geôlier aille et revienne
Dans la cellule d’à côté
On y fait couler la fontaine
Que je m’ennuie entre ces murs tout nus
Et peints de couleurs pâles
Une mouche sur le papier à pas menus
Parcourt mes lignes inégales
Que deviendrai- je ô Dieu qui connais ma douleur
Toi qui me l’as donnée
Prends en pitié mes yeux sans larmes ma pâleur
Le bruit de ma chaise enchaînée
Et tous ces pauvres coeurs battants dans la prison
L’Amour qui m’accompagne
Prends en pitié surtout ma débile raison
Et ce désespoir qui la gagne

Que lentement passent les heures
Comme passe un enterrement
J’écoute les bruits de la ville
Et prisonnier sans horizon
Je ne vois rien qu’un ciel hostile
Et les murs nus de ma prison
Le jour s’en va voici que brûle
Une lampe dans la prison
Nous sommes seuls dans ma cellule
Belle clarté Chère raison

Prima d’entrare nella cella
Ho dovuto spogliarmi nudo
E una voce sinistra ha ululato
Guglielmo che sei diventato
Qui non mi sento più
Me stesso Sono il quindici della
Undicesima
Il sole filtra attraverso
I vetri
I suoi raggi fanno i pagliacci
Sui miei versi
E danzano sul foglio
Io ascolto
Qualcuno che col piede percuote
La volta
Come un orso in una fossa
Passeggio ogni mattina
Giriamo giriamo giriamo sempre
Azzurro è il cielo come una catena
Come un orso in una fossa
Passeggio ogni mattina
Nella cella qui accanto
Dal rubinetto fan scorrere acqua
Con le chiavi che fa tintinnare
Vada e ritorni il secondino
Nella cella qui accanto
Dal rubinetto fan scorrere acqua
Come m’annoio tra queste pareti così nude
Dipinte di scialbi colori
Sul foglio una mosca a passettini
Percorre i miei righi ineguali
Che diverrò o Dio che conosci il mio dolore
Tu che me l’hai dato
Abbi pietà dei miei occhi senza lacrime del mio pallore
Del rumore della mia sedia incatenata
Di questi poveri cuori che pulsano nella prigione
Dell’Amore che m’accompagna
Abbi pietà soprattutto della mia debole ragione
E di questa disperazione che la vince
Passano così lentamente le ore
Come passa un funerale
Ascolto i rumori della città
E prigioniero senza orizzonte
Altro non vedo che un cielo ostile
E i muri nudi della mia prigione
Declina il giorno ecco che arde
Una lampada nella prigione
Siamo soli nella mia cella
Bel chiarore Cara ragione

Negli anni 1912 / 13

Il Nostro avrà la gradita sorpresa di ritrovare quel René Dalize, che, come abbiamo detto, era stato il suo compagno preferito negli anni del collegio. Questi s’era dimesso da ufficiale di marina ed ora, a Parigi, frequentava gli ambienti letterari e del giornalismo; stava scrivendo romanzi e poesie.

Apollinaire si accordò con Dalize (ora più che mai suo caro amico), con André Billy, con Salmon e André Tudesq, e insieme diedero vita, nel febbraio del 1912, a una rivista letteraria e artistica, denominata, secondo quanto proposto da Billy, “Les Soirées de Paris”.

Il periodico divenne una vera fucina per le nuove esperienze avanguardiste e si protrarrà sino all’agosto del 1914. Apollinaire vi pubblicò alcune poesie (tra cui “Zone”), che faranno poi parte di “Alcools”(1913) e vi difese i cubisti. Nei diversi numeri apparvero illustrazioni dovute a Picasso, Laurencin, Matisse, Henri Rousseau …

Nel 1912 Apollinaire pubblicò in “Soirées de Paris”, una poesia priva di punteggiatura. E sono assenti – come abbiamo già fatto notare – i segni di interpunzione nelle poesie sin qui riportate …

Lo stesso Apollinaire scrisse: “La punteggiatura io l’ho soppressa poiché m’è parsa inutile ed in effetti lo è: il ritmo stesso e il taglio dei versi, ecco la vera punteggiatura”. Ed ancora: “Perdonate la mia ignoranza / Perdonate se non so più l’antico gioco dei versi”.

Egli riecheggiava quanto aveva già detto Jules Laforgue, nel 1886: “Mi dimentico di rimare, mi dimentico il numero delle sillabe, mi dimentico la distribuzione delle strofe,” aprendo in tal modo la strada a quello che sarebbe divenuto il vers libre il quale sarebbe stato così usato in futuro …

Il Nostro curò un articolo sui futuristi ed incontrerà, l’anno successivo, Marinetti, a Milano, firmando il manifesto sintetico “L’Antitradition futuriste”.

Apollinaire porgeva una “rosa” ai suoi amici parigini, primo fra tutti, Picasso, seguito da Max Jacop, Paul Fort, Henri Matisse, Braque, Laurencin, Dalize, Salmon, Billy (tutti nomi che abbiamo fin qui incontrato, e altri ne nomina, oggi oscuri …); una “rosa” porgeva agli scrittori e pittori italiani, quali Marinetti, Boccioni, Carrà, Severini, Balla, Buzzi, Papini, Soffici, Palazzeschi, Folgore, Savinio; ma egli rifiutava energicamente non soltanto i contemporanei D’Annunzio e Rostand, bensì anche il trecentismo, il quattrocentismo, il cinquecentismo, e Dante, Shakespeare, Goethe, Tolstoi, i musei, gli storici, gli scrittori di saggi, dichiarandosi per una letteratura “pura”, per l’invenzione di parole.

Ci fu chi avanzò l’idea di unificare la tendenza cubista e il movimento futurista, ma diversi futuristi italiani furono contrari.

La pubblicazione di “Alcools”

Nel 1913 uscì il capolavoro di poesia di Apollinaire, “Alcools”, comprendente cinquanta componimenti, scelti tra quelli che aveva scritto dal 1898 al 1912.

Il poeta era intanto andato ad abitare, come s’è detto all’inizio, al n. 202 di Boulevard Saint-Germain.

Sin dall’adolescenza Apollinaire s’era dedicato ad ampie letture eterogenee (ed anche eteroclite, come quelle riguardanti la vasta letteratura erotica), che dai classici risalivano, attraverso autori d’ogni secolo, sino ai contemporanei.

Fu sempre assiduo frequentatore della biblioteca; e ci fu chi rilevò più d’una imitazione, più o meno accentuata, proveniente da disparate fonti del passato (il Nostro si rifece anche ad Omero: “Quando alfine fece ritorno / Nella sua patria il saggio Ulisse / Il vecchio cane si ricordò di lui / Accanto ad un arazzo che tesseva al telaio / La sua donna attendeva il suo ritorno”), tanto da parlare, a proposito della produzione letteraria di Apollinaire, d’una “bottega di rigattiere”, d’una congerie di oggetti disparati, quali si trovano in un bazar.

Ma il Nostro fu anche mosso da spirito filoneistico a considerare le novità della civiltà industriale in espansione; non riteneva le conquiste della scienza e della tecnica, pericolose per la vita dello spirito, come, ad esempio, Baudelaire.

Il volo dell’aeroplano gli parve ben inserito nella natura, quindi non capace di sconvolgerne l’ordine; lo vide come volo del grande “uccello”, salutato da tutti gli uccelli del creato. Ed è grandiosa la rappresentazione del raduno dei volatili.

L’avion se pose enfin sans refermer les ailes
Le ciel s’emplit alors de millions d’hirondelles
A tire-d’aile viennent les corbeaux les faucons les hiboux
D’Afrique arrivent les ibis les flamants les marabouts
L’aigle fond de l’horizon en poussant un grand cri
Et d’Amérique vient le petit colibri
De Chine sont venus les pihis longs et souples
Qui n’ont qu’une seule aile et qui volent par couples
Puis voici la colombe esprit immaculé
Qu’escortent l’oiseau-lyre et le paon ocellé
La fhénix ce bûcher qui soi-même s’engendre
Un istant voile tout de son ardente cendre
Et tous aigle phénix et pihis de la Chine
Fraternisent avec la volante machine

L’aeroplano alla fine si posa senza chiuder le ali
Il cielo s’empie allora di milioni di rondini
Ad ali spiegate vengono i corvi i falchi i gufi
Dall’Africa arrivano gli ibis i fenicotteri i marabù
Piomba dall’orizzonte l’aquila lanciando un robusto grido
E dall’America arriva il piccolo colibrì
Dalla Cina son giunti i pihis6 lunghi agili
Che hanno un’ala soltanto e volano a coppie
Poi ecco la colomba spirito immacolato
La scortano l’uccello lira e il pavone ocellato
La fenice questo rogo che da sé s’ingenera
Per un istante vela tutto con la sua ardente cenere
E tutti aquila fenice e pihis della Cina
Fraternizzano con la macchina volante

6 I pihis sono uccelli immaginari, usciti dalla fantasia di Apollinaire.

La moltitudine nella Metropoli

Apollinaire ben si ritrovava nelle serate parigine illuminate dalle diffuse, vivide lampade, tanto che sembravano essere “ebbre del gin / fiammante di elettricità”; quando i tramvai mandavano come una “musica” nuova, quella della “loro follia di macchine”, sferragliando lungo le rotaie. Egli poteva frequentare i cabaret, i numerosi caffè pieni del fumo di sigari e di sigarette, dove scorrevano acquavite ed altre bevande alcoliche e si diffondevano musiche zigane.

Ma al Nostro piaceva percorrere le nuove, pulite, “giovani” vie “industriali”, le attive vie del commercio, con allineati i negozi e gli uffici, in cui si vedevano entrare i direttori e le belle stenodattilografe; dove il sole luccicava nelle terse vetrine, nelle insegne, nelle targhe, negli avvisi multicolori simili a “pappagalli che strillano”

A Parigi però provava anche il tedio, e più acuto quel senso di malinconia, che tanto spesso lo assaliva, in particolare in certe domeniche, che gli sembravano “eterne”, interminabili, quando se ne andava a zonzo (“J’erre à travers mon beau Paris” ,,,) e nei grigi cortili sostavano i suonatori di organetto di Barberia che mandavano, azionando il loro strumento, musichette lamentose ( “Et les orgues de Barbarie / Y sanglotent dans les cours grises”).

E così in certe giornate, quando si sentiva ancora più isolato tra la folla, tra l’incessante traffico di automobili, di taxi, di autobus (“Tu marches dans Paris tout seul parmi la foule”).

In certe notti egli girovagava, pur sempre solo, nell’enorme periferia; si fermava in qualche squallido bar a trangugiare un caffè “da due soldi in mezzo a disgraziati”. Si intratteneva magari un poco con una povera ragazza di strada, “dall’orribile riso”.

Ma “Tu es seul” “Sei solo” ripeteva il poeta, rivolgendosi amaramente a sé stesso … Aspettava che sorgesse l’alba, quando “come una bella meticcia la notte s’allontana”; quando si diffondeva il tintinnare dei bidoni dei mattinieri lattai. Beveva gli ultimi sorsi di acquavite, che gli bruciavano dentro, amari come la sua vita; e s’avviava a piedi verso casa.

Smarrimento

Apollinaire aveva conservato sempre con devozione le immaginette sacre ricevute nel giorno della prima comunione, ma soprattutto era rimasta ognora viva nel suo animo l’emozione che aveva provato durante le soste notturne nella semibuia cappella del collegio, quando fissava il Cristo, che gli appariva nella sua gloria avvolta da una “eterna e adorabile profondità ametista”, quella del mistico mistero. E a Cristo il poeta elevò un inno vibrante.

C’est le beau lys que nous tous coltivons
C’est la torche aux cheveaux roux que n’éteint pas le vent
C’est le fils pâle et vermeil de la douloureuse mère
C’est l’arbre toujours touffu de toutes les prières
C’est la double potence de l’honneur et de l’éternité
C’est l’étoile à six branches
C’est Dieu qui meurt le vendredi et ressuscite le dimanche
C’est le Christ qui monte au ciel mieux quel es aviateurs
Il détient le record du monde pour la hauteur

E’ il bel giglio che noi tutti coltiviamo
E’ la torcia dai rossi capelli che il vento non spegne
E’ il figlio pallido e vermiglio della madre dolorosa
E’ l‘albero sempre folto di tutte le preghiere
E’ il doppio sostegno dell’onore e dell’eternità
E’ la stella a sei punte
E’ Dio che muore il venerdì e risuscita la domenica
E’ il Cristo che sale al cielo meglio degli aviatori
Che detiene il primato mondiale dell’altezza

Nel ricordare le tante messe cui aveva assistito, quando aveva vissuto, come estasiato, il momento dell’elevazione, il Nostro si è raffigurato, insieme con il Cristo che ascende, anche “i preti che salgono in eterno”, tenendo tra le dita e mostrando l‘ostia consacrata.

Ma ormai sentiva di aver perduto la fede d’un tempo; provava persino un senso d’imbarazzo, quando sostava davanti al portone d’una chiesa, indeciso se entrare o meno, giacché aveva la sensazione che non solo i passanti, ma che anche dalle finestre sovrastanti lo osservassero.

Al contrario, l’amico Max Jacob, che era ebreo, si convertirà, nel 1915, al cattolicesimo e si ritirerà in un monastero … Apollinaire, se stava per recitare una preghiera, era lui a burlarsi di sé stesso; ma quel riso, allora, gli sembrava che scintillasse come il “fuoco dell’Inferno” e gli scendesse nell’intimo, ch’era ormai ben oscuro …

Il Nostro nondimeno riconosceva alla religione-e specificatamente al Cristianesimo- il carattere di perpetuità; essa, nella sua ininterrotta durata, si era mantenuta “pura”, “semplice”; così si presentava, agli inizi del Novecento, non “antica”, ma perennemente nuova: “Seul en Europe tu n’es pas antique ô Christianisme” “In Europa tu solo non sei antico o Cristianesimo”

Ma s’era fatto lontano il fervore religioso, certo ingenuo, della fanciullezza; Apollinaire pur ne serbava la nostalgia … Sentiva che gli si offuscava lo scopo della vita: “Un canto lontano ascolto morire e rimorire/ Umile come me che non seguo nulla che valga”; era incerto, disorientato: gli sembrava che fosse rimasto soltanto il nulla …

Il disorientamento non era soltanto suo, ma proprio d’un complesso periodo storico, che stava smarrendo le salde idealità romantiche, i tradizionali valori etico-sociali, ed era alla ricerca di nuovi equilibri, nella sfera individuale e in quella collettiva.

A Parigi, passando nei pressi della cattedrale, il Nostro sentiva provenirgli il fascino di quella costruzione gotica, eretta dalla fede di tutto un popolo; sentiva il fascino della chiesa del Sacré-Coeur: “Circondata di ferventi fiamme Notre-Dame mi ha guardato a Chartes / Il sangue del vostro Sacré-Coeur mi ha inondato a Montmartre”…

Era ancora capace di commuoversi, come di fronte ai numerosi emigranti, quando li vedeva, con le donne che intanto allattavano i bambini, in attesa della partenza, nell’atrio della stazione ferroviaria. Essi sì che pregavano spontaneamente; c’era in quella gente la fiducia che una stella li guidasse, come aveva guidato i Re Magi; e c’era la speranza di ritornare, dopo aver fatto fortuna in Argentina.

° ° °

Quando il Nostro camminava per le vie di Parigi, lo attiravano i manifesti che richiamavano l’attenzione con le loro immagini vivaci, le scritte in evidenza; e le edicole piene di giornali con i titoli, riferiti all’attualità, in tutto il loro risalto, e con i ritratti dei personaggi del giorno; edicole dove si vendevano dispense a basso costo, con la narrazione, a puntate, di avvincenti avventure poliziesche.

Ed il poeta esclamava con ironia: “Ecco ormai la poesia, ecco la prosa …” Avvertiva chiaramente che la voce dei poeti stava per essere sommersa dai mezzi della comunicazione di massa, che andavano sempre più diffondendosi (e quale enorme sviluppo essi avrebbero raggiunto in futuro! …).

I Saltimbanchi

Nella metropoli, la gente indaffarata, distratta, indifferente, non era più abituata ad assistere agli spettacoli offerti, in qualche piazzetta, dai saltimbanchi, dai pagliacci; di costoro, infatti, a Parigi, ne erano rimasti pochi; s’erano trasferiti nei piccoli centri di provincia.

Apollinaire li aveva guardati allontanarsi, provando un senso misto di simpatia e di malinconia: erano in fondo anch’essi poeti erranti e sognatori …

Usciti dalla città, rasentavano i giardini della periferia, dirigendosi poi verso grigie borgate prive anche di chiesa; passavano davanti all’uscio di squallide locande, senza fermarsi.

Nelle strade di campagna, essi, già da lontano, si indicavano reciprocamente un albero da frutto, per saccheggiarlo, essendo sempre affamati.

Trasportavano il loro caratteristico armamentario: pesi quadrati o rotondi, attrezzi ginnici, tamburi, cerchi dorati … Sempre a corto di soldi, facevano chiedere la questa a un orso e a una scimmia ben addestrati, ormai “animali saggi”.

Si notino i due versi “Et les enfants s’en vont devant / Les autres suivent en rêvant” “I ragazzi vanno avanti / Gli altri seguono sognando”: la loro era una vita fatta di caduche illusioni e speranze, come, appunto, quella dei seguaci della poesia …

A tal proposito si può notare che anche il giovane Apollinaire, il quale era andato, per alcuni anni, vagabondo, aveva forse sentito il fascino della vita errante, quando, In Renania, era spesso rimasto a lungo ad osservare come “sul lungofiume lentamente / Un orso una scimmia e un cane da zingari condotti / Seguivano un carrozzone trainato da un asino” …

Apollinaire si recava volentieri ad assistere allo spettacolo offerto dai saltimbanchi; era curioso di vedere i loro attrezzi, alcuni più leggeri ed altri “formidabili”; si divertiva alle trovate, alle battute stravaganti dei “baladins”, dei buffoni, alle “trouvailles”, che anch’egli, come poeta, ricercava. Con la faccia grassa, i baffi rossicci, e la pappagorgia, era solito abbandonarsi a gustose risate.

”Comme c’etait la veille de quatorze juillet
Vers le quatre heures de l’àprès-midi
Je descendis dans la rue pour aller voir les saltimbanques
Ce gens font des tours en plein air
Commencent à être rares à Paris
Dans ma jeunesse on en voyait beaucoup plus qu’aujourd’hui
Ils s’en sont allés presques tous en province
Je pris le boulevard Saint-Germain
Et sur une petit place située entre Saint-Germain-des-Prés et la statue de Danton
Je rencontrai les saltimbanques
La foule les entourait muette et résignée à attendre
Je me fis une place dans ce cercle afin de tout voir
De nombreux tapis sales couvraient le sol
Vois-tu le personnage maigre et sauvage
Il semblait rever à l’avenir
En tournant machinalement un orgue de Barberie
Dont la lente voix se lamentait merveilleusement
Les glouglous les couacs et les sourds gémissements
Les saltimbanques ne bougeaient pas
La musique se tut et ce furent des pourparlers avec le public
Qui sou à sou jeta sur le tapis la somme de de deux francs cinquante
Au lieu des trois francs fixés comme prix des tours
Mais quand il fut clair que personne ne donnerait plus rien
On se décida à commencer la séance
De dessous l’orgue sortit un tout petit saltimbanque habillé de rose pulmonaire
Avec de la fourrure au poignets et aux chevilles
Il poussait des cris brefs
Et saluait en écartant gentiment les avant-bras
Mains ouvertes Une jambe en arrière prête à la génuflexion
Il salua ainsi aux quatre points cardinaux
Et quand il marcha sur un boule
Son corps mince devint une musique si délicate que nul parmi les spectateurs n’y fut insensible
Un petit esprit sans aucune humanité
Pensa chacun
Et cette musique des formes
Détruisit celle de l’orgue mécanique
Le petit saltimbanque fit la roue
Avec tant d’harmonie
Que l’orgue cessa de jouer
Nouveaux cris de Peau-Rouge
Musique angélique des arbres
Disparition de l’enfant
Les saltimbanques soulevèrent les gros haltères à bout de bras
Ils jonglèrent avec les poids
Mais chaque spectateur cherchait en soi l’enfant miracouleux

Siccome era la vigilia del 14 luglio
Verso le quattro del pomeriggio
Scesi sulla strada per andare a vedere i saltimbanchi
Questa gente che volteggia all’aria aperta
Comincia ad essere rara a Parigi
Nella mia giovinezza se ne vedevano molti più di oggi
Se ne sono andati quasi tutti in provincia
Presi il boulevard Saint-Germain
E in una piazzetta situata tra Saint- Germain-des-Prés e la statua di Danton
Trovai i saltimbanchi
Li attorniava una folla muta e rassegnata ad attendere
Trovai posto in quel capannello per vedere tutto

Numerosi tappeti sporchi coprivano il suolo
Guarda quel personaggio magro e selvaggio
Sembrava sognare l’avvenire
Girando macchinalmente un organetto di Barberia
La cui lenta voce si lagnava meravigliosamente
Con i glu glu le stecche e i sordi gemiti
La musica si tacque e ci furono delle trattative con il pubblico
Il quale soldo dopo soldo gettò sul tappeto la somma di due franchi e cinquanta
Invece dei tre franchi fissati come prezzo dei numeri
Ma quando fu chiaro che nessuno avrebbe dato più niente
Si decisero a dar inizio allo spettacolo
Da sotto l’organetto di Barberia uscì un saltimbanco fanciullo vestito
di rosa polmonare
Con pelliccia ai polsi e alle caviglie
Cacciava brevi grida
E salutava allargando con garbo gli avambracci
A mani aperte
Con una gamba più indietro pronta a genuflettersi
Salutò così i quattro punti cardinali
E quando camminò sopra una sfera
Il suo esile corpo divenne una musica tanto delicata che nessuno tra gli spettatori rimase insensibile
Un piccolo spirito fuori della comune corporeità
Pensò ciascuno
E questa musica delle forme
Screditò quella dell’organetto meccanico
Il piccolo saltimbanco fece la ruota
Con tanta armonia
Che l’organetto cessò di suonare
E l’organista si nascose il viso tra le mani
Di nuovo grida di Pellerossa
Musica angelica degli alberi
Uscita di scena del fanciullo
I saltimbanchi sollevarono in alto i grossi manubri
Fecero giochi di destrezza con i pesi
Ma ogni spettatore cercava dentro di sé il fanciullo prodigioso

Nella Locanda

Fugaci momenti di poesia vissuti anche in città … Ma Apollinaire avvertiva che la solitudine del singolo individuo andava crescendo tra la folla, nella massa; ma questo avveniva anche in ambienti più ristretti …

E’ significativa, a tal riguardo, la pur sintetica poesia dal titolo “Hôtels”. Anche nelle camere d’una locanda, la convivenza può generare insofferenza e distacco.

Apollinaire si lamenta: “Il mio brutto vicino / Che fuma un acre / Tabacco inglese / O La Valliére / Che zoppica e ride / Delle mie preghiere” … Pur occupando camere attigue, gli ospiti rimangono egoisticamente estranei gli uni verso gli altri, incapaci di partecipazione, di comunicazione: “Ognuno porta / Il suo solo amore.” E’ come se parlassero lingue diverse, come a Babele. Ognuno si chiude nella propria camera, e serra la porta, girando due volte la chiave nella serratura!

Hôtels
La chambre est veuve
Chacun pour soi
Présense neuve
On paye au mois
Le patron doute
Payera-t-on
Je tourne en route
Comme un toton
Le bruit des fiacres
Mon voisin laid
Qui fume un âcre
Tabac anglais
O la Vallière
Qui boite et rit
Des mes prières
Table de nuit
Et tous ensemble
Dans cet hôtel
Savon la langue
Comme à Babel
Fermons nos portes
A double tour
Chacun apporte
Son seul amour
Locande

La camera è singola
Ciascuno per sé
Presenza nuova
Si paga a mese
Il padrone dubita
Pagheranno
Per strada giro
Come una trottola
Il rumore delle carrozze
Il mio brutto vicino
Che fuma un acre
Tabacco inglese
O La Vallière
Che zoppica e ride
Delle mie preghiere
Comodino
E tutti insieme
In questa locanda
Parliamo
Come a Babele
Serriamo le porte
A doppia mandata
Ognuno tiene per sé soltanto
Il suo amore

Il sogno, la Poesia Visionaria

Ad Apollinaire piaceva rifugiarsi nel sogno, come già accadeva a Baudelaire, il quale definiva “il mondo, monotono e piccolo, oggi, ieri, domani, sempre …”

“Vers le palais de Rosemonde au fond du Rêve
Mes rêveuses pensées pieds nus vont en soirée

Verso il palazzo di Rosamunda in fondo al Sogno
I miei sognanti pensieri a piedi nudi vanno alla veglia”

La sua poesia, allora, si svincola dai legami della logica; inventa un susseguirsi di immagini fantasmagoriche, che, pur tratte dalla realtà, assumono l’aspetto difforme dell’irrealtà. Eventi fuori del concreto ordinario irrompono con le loro assurde metamorfosi, in un disarticolato fluire. Apollinaire parla di un banchetto e dice:

Puis les marmitons apportèrent les viandes
Des rôtis de pensées mortes dans mon cerveau
Mes beaux rêves mort-nés en tranches bien saignantes
Et mes souvenirs faisandés en godiveaux
Or ces pensées mortes depuis de millénaires
Avaient le fade goût des grands mammouths gelés
Les os ou songe-creux venaient des ossuaires
En danse macabre aux plis de mon cervelet

Poi gli sguatteri portarono le carni
Arrosti di pensieri morti nel mio cervello
I miei bei sogni nati morti a fette molto al sangue
E i miei ricordi frollati in polpette
Ora questi pensieri morti da millenni
Avevano l’insipido sapore dei grandi mammut congelati
Gli ossi o visionari venivano dagli ossari
In danza macabra tra le pieghe del mio cervelletto

Et tous ces mets criaient des choses nonpareilles
Ah! nom de Dieu! qu’ont donc criés ces entrecôtes
Ces grands pâtés ces os à moelle et mirotons
Langues de feu où sont-elle mes pentecôtes
Pour mes pensées de tous pays de tous les temps

E tutte queste pietanze gridavano cose impareggiabili
Ah! nome di Dio! cos’hanno gridato quelle bistecche
Quei gran pasticci quegli ossibuchi e stracotti
Lingue di fuoco dove sono le mie pentecoste
Per i miei pensieri d’ogni paese d’ogni tempo

E altrove troviamo, ad esempio, che c’è chi “maneggia con le braccia tese una stella, dopo averla staccata”; mentre “un impiccato suona i piatti con i piedi, con ritmo cadenzato” … Ed ancora: “Bevevo le stelle a bicchieri”… “L’azzurro galoppo delle rimembranze traversa i lillà degli occhi”… “La lingua è un pesce rosso nel vaso della tua voce … “Da me lontano i miei occhi nuotano” … “E la luna cuoce come un uovo sul piatto” … “IL camino fuma sigarette russe” C’è l’invito: “Appendete per le trecce le vostre teste ai ganci”

Nella poesia dal titolo ambiguo “Oceano di terra”, dedicata all’amico Giorgio De Chirico, l’inventore della pittura “metafisica”, che si presenta con l’associazione di immagini fantastiche, Apollinaire scrive:” Ho costruito una casa in mezzo all’Oceano / Le finestre son fiumi che dai miei occhi scorrono / S’alzano dovunque muri e polipi brulicano”

Già Baudelaire aveva cercato, attraverso il sogno, di inventare l’assurdo; Eluard, ripensando a Rimbaud, più tardi, dirà che compito della poesia è “la distruzione della logica attraverso l’assurdo”; e Breton, l’altro surrealista, dichiarerà che solo nell’assurdo c’è la poesia.

Nell’ambito dell’assurdo rientrano le immagini grottesche, così come quelle macabre, che suscitano un umorismo cupo, quello che i francesi definiscono humour noir, come, ad esempio, nei versi “Tutti son morti e il maggiordomo / versa loro uno champagne irreale” o “Becchini suonavano a morto con boccali di birra”

“Dans la plaine ont poussé des flammes / Nos coeurs pendent aux citronniers / Les têtes coupées qui m’acclament/ Et les astres qui ont saigné / Ne sont que de têtes de femmes”

“Nella pianura son spuntate fiamme / I nostri cuori stanno appesi ai limoni / Le teste tagliate che mi acclamano / E gli astri che hanno sanguinato / Non sono che teste di donne”

Apollinaire propose molti esempi di poesia alogica, deformante, che si genera nell’inconscio e da questo sgorga, o irrompe con veemenza, a turbare il lettore; a lui si deve il termine “surrealismo”, in sostituzione del “surnaturalismo” di Baudelaire.

Nel 1908 egli aveva scritto una poesia in prosa, dal titolo “Onirocritique”, che già nel titolo rivela il concetto di sogno. Le immagini irreali, che in essa appaiono, sono precedenti a quelle già sopra riportate. Ecco che “Verso sera gli alberi volarono via – dice il poeta – e io mi centuplicai” “Il gregge che io ero si pose sul mare” “I carboni del cielo erano così vicini che provai angoscia al loro odore” Ed ecco il grottesco: “Vennero venti sarti ciechi”, e lo strabiliante: “Cento marinai mi uccisero novantanove volte” “I miei occhi si moltiplicavano nei fiumi, nelle città e sulla neve dei monti” …

La realtà, investita con impeto dalla sfrenata fantasia, e come stracciata nelle sue parti, giace poi simile a una distesa di macerie, su cui si alzano irrealtà sforzate, ostentate …

° ° °

Va, tuttavia, senz’altro riportata una breve poesia, che presenta sì metamorfosi, ma in maniera lieve, in una specie di canzoncina, che scivola via con un brioso andamento di fiaba.

Il poeta s’immagina gli angeli nel cielo, e di questi, uno vestito da ufficiale, uno vestito da cuoco, mentre gli altri sono cantori. Il cuoco spenna le oche e le piume diventano bianchi fiocchi di neve, che cadono sulla terra; ma il poeta è triste, perché, nella giornata nevosa, la sua diletta non è con lui …

La blanche neige
Les anges les anges dans le ciel
L’un est vêtu en officier
L’un est vêtu en cuisinier
Et les autres chantent
Bel officier couleur du ciel
Le doux printemps longtemps après Noël
Te médaillera d’un beau soleil
D’un beau soleil
Le cuisinier plume les oies
Ah! tombe neige
Tombe et que n’ai-je
Ma bien-aimée entre mes bras

La bianca neve
Gli angeli gli angeli nel cielo
Uno è vestito da ufficiale
Uno è vestito da cuoco
E gli altri cantano
Bell’ufficiale colore del cielo
La dolce primavera molto dopo Natale
Ti decorerà con la medaglia d’un bel sole
D’un bel sole
Il cuoco spenna le oche
Ah! cade la neve
Cade e perché
La mia amata non è tra le mie braccia

La poesia degli “Alcools”

Diverse storie della letteratura indicano l’anno 1900 come il tramonto della scuola simbolista. Caratteristiche del simbolismo, tuttavia, perdureranno in molti poeti per tutto il Novecento, come, ad esempio, in Valery, Ungaretti, Eliot …

Apollinaire, come abbiamo scritto, iniziò a comporre poesie, ispirandosi, in particolare, a Verlaine. Dal simbolista Jules Laforgue derivò la pratica del verso libero; egli poi, correggendo le bozze della raccolta “Alcools”, soppresse la punteggiatura (lasciando però le maiuscole), ed è questa la peculiarità più appariscente degli “Alcools”. Il titolo del libro, pubblicato nell’aprile del 1913, inizialmente era “Eau de vie”, cambiato in quello più originale, moderno di “Alcools”.

L’opera si apre con la lunga composizione dai versi distesi, dal titolo “Zone”, esempio della poesia sintetica, simultanea cui aspirava Apollinaire. Tale poesia si presenta come la pagina d’un giornale, dalla quale balzano agli occhi simultaneamente i contenuti più diversi. In “Zone”, su uno stesso piano, infatti, sono posti accanto, senza connettere o fondersi insieme, ambienti e città diverse, come Parigi, la riva del Mediterraneo, Marsiglia, Coblenza, Praga, Roma. Amsterdam, a cui sono riferite le sensazioni, le fugaci riflessioni, i ricordi del poeta …

Apollinaire ricorda, in due versi, anche la sua disavventura, al tempo in cui avvenne il furto della “Gioconda”: “Tu es à Paris chez le juge d’instruction / Comme un criminel on te met en état d’arrestation” “Tu sei a Parigi dal giudice istruttore / Ti mettono in stato d’arresto come un criminale”

”Zone” termina con l’immagine surrealistica d’un collo reciso, quindi rosso, sanguinante, che fa pensare al tramonto: “Soleil cou coupé”.

Nelle ultime composizioni di “Alcools” però risaltano i caratteri schietti, derivati dalla classicità, della poesia di Apollinaire e della sua personalità, già in precedenza rilevati: il transito autunnale, che suggerisce l’aspetto caduco dell’umana esistenza; e come, di questa, anche i ricordi poco resistono al tempo; dileguano, rapiti dal vento, come il suono dei corni usati nelle cacce autunnali, pur lasciando vivo il rammarico, in specie riguardo agli amori conclusi: “Je me retounerai souvent” “Mi volgerò spesso indietro” …Sovrasta su ogni vicenda esistenziale, la definitiva, deprimente certezza: quella che “Passons passons, puisque tout passe”

Apollinaire ha dimostrato di sentire, e di trasmettere, il senso della lontananza; e le figure, i suoni, appressandosi alla lontananza, lentamente si dissolvono.

Egli ci ha fatto immaginare sé stesso, giovane sognatore, per via, andare oltre, cantando … La donna amata, perdute le fattezze reali, gli è diventata lontana sino a svanire … S’allontana, nella nebbia che occulta il sentiero, il tardo contadino che conduce il suo bue; si allontanano, usciti dalla città, nell’aperta campagna, i saltimbanchi; si sperde lontano tra le vigne renane un’arietta militare suonata da un pifferaio; appare lontano lontano sul Reno una navicella; se ne va l’acqua del fiume, se ne vanno i giorni, trascinando le scorie degli amori; tutto il cielo scorre via lontano; sull’ultimo orizzonte dei cieli grigi planano gli sparvieri; sui confini lontani i cervi bramiscono; c’è un canto che muore lontano; c’è un amante partito per un paese lontano …

E come scrisse G. Leopardi (nello “Zibaldone”), la parola “lontano” desta idee vaste e indefinite e non determinabili e confuse.

Le città che vengono nominate in “Zone”, non si riducono a semplici nomi, ma, per i particolari, pur brevi, ad esse associati, possono indurre il lettore a supporre qualcosa di più: “Al Hradchin (Castello di Praga) di sera ascoltando nelle taverne cantare canzoni cèche” “Eccoti a Marsiglia in mezzo ai cocomeri” “Eccoti a Coblenza all’Hotel del Gigante” “Eccoti a Roma seduto sotto un nespolo giapponese” “Eccoti ad Amsterdam con una ragazza che trovi bella e che è brutta”

Negli “Alcools” risalta tutta la solitudine dell’individuo nella grande città, divenuta, in poco tempo, moderna, “tentacolare”, come la disse Verhaeren. A tal proposito Apollinaire dice: “Giro per la strada / come una trottola”; e tutti i cittadini sono come trottole, nella febbrile metropoli, ma il movimento d’ogni trottola si esaurisce, rimanendo chiuso vanamente in sé stesso …

Alla solitudine Apollinaire ha contrapposto l’attiva appartenenza a sodalizi artistici e letterari, la condivisione di obbiettivi culturali comuni, la ricerca dell’amicizia (vera amicizia però da parte di pochi, poiché il Nostro ebbe molti avversari, che lo coprirono con tante risate di scherno, come ha ricordato A. Billy) e quella, non meno problematica, dell’amore …

Vi sono poi in “Alcools” le sperimentazioni (di cui abbiamo detto nel precedente capitolo) riguardanti la poesia giocata su una fantasia creatrice, spesso sfrenata riguardo alle immagini, alle metafore, alle metamorfosi. Poesia surrealista …

Va ricordato, a tal riguardo, che il neologismo surrealismo sarà usato dallo stesso Apollinaire più tardi, a proposito del dramma “Le mammelle di Tiresia”, che il Nostro aveva composto già nel 1903, ma che farà poi mettere in scena, in parte rivisto, a Parigi, nel giugno 1917.

Per queste sue fughe nel sogno, per questo suo assecondare l’irrazionale, l’assurdo, si sono veduti in Apollinaire i prodromi del surrealismo, movimento che inizierà nel 1924, con il “Manifesto” firmato, tra gli altri, da Aragon e Breton, e accentuerà la funzione dell’inconscio nella creazione artistica, al di fuori d’ogni censura logica ed etica. Tale movimento si svilupperà negli anni tra le due guerre e interesserà oltre la letteratura e le arti, il teatro e il cinema.

Calligrammes

Intanto Apollinaire, dal 1913 veniva componendo le poesie che poi raccolse nell’opera che vide la luce nel maggio 1918: “Calligrammes”.

Calligramma significa carme figurato e nel libro “Calligrammi”, i versi di alcuni componimenti assumono una disposizione tipografica tale da imitare la forma degli oggetti evocati, come l’orologio, la cravatta, la pioggia, il getto d’acqua, la casa, l’albero, il mandolino, la colomba …

A tal proposito conviene ricordare che Braque dichiarò che Apollinaire non si poteva tanto definire fondatore della poesia cubista, quanto della tipografia cubista. Tali artifizi ideografici – come ha notato, ad esempio, Sergio Solmi – vanno considerati come “espressione di uno spirito giocoso della piacevole invenzione”.

In “Calligrammi” vi sono le nuove sperimentazioni inerenti la poesia sintetica, che si presenta con la simultaneità delle immagini. Vi sono poesie, il cui titolo non corrisponde affatto al contenuto; altre con una loro prosaicità del tutto banale, in cui ci sono accostamenti che non presentano alcun rapporto tra parti diverse del discorso: “Tre becchi a gas accesi / La padrona è malata di petto / Quando avrai finito giocheremo una partita a tric-trac / Un direttore d’orchestra ha il mal di gola / Quando verrai a Tunisi ti farò fumare il Kief” … “Il vecchio si lava i piedi nel catino / Una volta ho inteso dire Che vuoi / Mi sono messo a piangere al ricordo delle vostre infanzie” … Nessuna frase deriva chiaramente dalle precedenti.

Alcuni versi, al contrario, vibrano di esaltazione, di pathos, di aperture profetiche … Secondo Apollinaire, infatti, “Certi uomini sono colline / Che si rizzano fra gli uomini / E vedono lontano tutto l’avvenire / Meglio che se fosse il presente / Più chiaro che se fosse passato” … “Ecco levarsi i profeti / Come lontane azzurre colline / Sapranno cose precise / Come i saggi credono di sapere / E dovunque ci trasporteranno”

Vi ritroviamo ancora il motivo del tempo che passa, con il ricordo struggente della giovinezza, che il poeta ha, peraltro, non da molto trascorsa; ricordo associato a luoghi rimasti vivi nella memoria …

Jeunesse adieu jasmin du temps
J’ai respiré frais parfum
A Rome sur les chars fleuris
Chargés de masques de guirlandes
Et des grelots du carnavales
Adieu jeunesse blanc Noël
Quand la vie n’était qu’une étoile
Dont je contemplais le reflet
Dans la mer Méditerranée
Plus nacrée que les météores

Giovinezza addio gelsomino del tempo
Il tuo fresco profumo ho respirato
A Roma sopra i carri fioriti
Carichi di maschere e di ghirlande
E di gazzarre carnevalesche
Addio giovinezza bianco Natale
Quando la vita non era che una stella
Di cui contemplavo il riflesso
Nel mare Mediterraneo
Più madreperlaceo delle meteore

Apollinaire vuol continuare a stupire il lettore con scene fantastiche e misteriose, come quella della grande nave che entra nel porto ornata di pavese, di gran gala di bandiere; ma se ci si aspetta che vi siano quali viaggiatori, si scopre che nel suo interno non trovano nessuno: “Solo una donna bella e vermiglia / Vi giaceva assassinata”; o quella dei vetri che si specchiano a vicenda: “Sei specchi continuano a specchiarsi”; e c’è l’orrida figura dell’uomo “senz’occhi senza naso senza orecchi”, che nella lunga poesia dal titolo “Il musicista di Saint-Merry” ricorda il pifferaio della nota fiaba; ma questi, invece di topi, attrae donne: “Le donne traboccavano tanto il loro numero era grande / In tutte le strade delle vicinanze / E si affrettavano tese come proiettili / Per seguire il musicista” iI quale si fermò per un momento davanti a una casa abbandonata, con i vetri rotti, un edificio del sedicesimo secolo, con il cortile ormai adibito a rimessa delle auto. E vi entrò deciso, seguìto da tutte le donne: “E tutte vi entrarono senza guardarsi dietro / Senza rimpianti per quello che lasciavano” …

Il poeta dice che in quella Rue de la Verriere non era rimasto più nessuno, se non lui e un prete di Saint-Merry; si introdussero nella vecchia casa, ma non vi trovarono nessuno; tutte quelle donne erano misteriosamente sparite. Scendeva la sera e le campane suonavano l’Angelus; il poeta andava ricordando come di lì, un tempo, transitava il re col suo numeroso corteo, per andare a Vincennes, quando vi aveva la sua residenza, o da Vincennes ritornava; lì arrivavano mercanti e soldati …

Ma ormai era ovunque silenzio … I languidi sguardi delle donne scomparse era come se fossero rimasti fissi, come stelle, nella notte … Nella vita tutto passa, si fa lontano; e Apollinare conclude: “J’entends mourir le son d’une flûte lointaine” “Odo morire il suono d’un flauto lontano”

° ° °

“Calligrammes” presenta le intense poesie ispirate alla cruda realtà della guerra, raccolte in gruppetti, come quelle di “Case d’Armons”, stampate in pochi esemplari al fronte; o di “Bagliori di fuoco” o di “Granate colore di luna” o de “La testa stellata”.

La Piccola Auto

Negli ultimi giorni di illusoria, spensierata atmosfera nella Parigi della Belle Époque, ecco l’ancora molle risveglio della città: “Ma vedi dovunque che dolcezza / Parigi come una ragazza / Languidamente si sveglia / Scuote la lunga capigliatura / E canta la sua bella canzone” …

S’avvicinava l’inizio della Grande Guerra, che sarebbe stata lunga e violenta, poiché “furiosi giganti si rizzavano sull’Europa”. La poesia dal titolo “La piccola auto” ci invita come a salire insieme con Apollinaire, in quella agostana “notte tenera d’anteguerra”, nella piccola auto del suo amico Rouveyre, che ha con sé l’autista.

Percorriamo scorci paesaggistici, con boscaglie e altri con i paesi addormentati; attraversiamo stazioni ferroviarie, in cui i soldati, “coloro che andavano a morire / Salutavano ancora una volta la vita colorata”; o villaggi, in cui s’affrettavano i maniscalchi, ch’erano stati richiamati appena dopo la mezzanotte; tre volte ci fermiamo “per cambiare una gomma ch’era scoppiata”.

Apollinaire è silenzioso; la sua mente è attraversata da grandiose visioni, poiché il suo pensiero è rivolto alla guerra che sta per iniziare, ed egli è convinto che sarà capace di coinvolgere non soltanto i popoli, che già “accorrevano per conoscersi a fondo”, ma anche di turbare profondamente la natura.

E il poeta, nella sua fantasia vede le aquile abbandonare, gridando, il nido sulle alture, i voraci pesci risalire dagli abissi, i cani abbaiare furiosi lungo le frontiere … Pensa ad un sommovimento persino sotterraneo, tale da far tremare di paura i morti nelle loro oscure dimore.

Lungo il percorso, incontriamo e attraversiamo Lisieux, “l’azzurrissima” e Versaille “d’oro”. Le immagini si sono succedute in rapida sequenza, simili a quelle d’una pellicola cinematografica, com’era appunto nell’intento di Apollinaire … Lasciata alle spalle anche Fontainebleau, eccoci giunti a Parigi, “nel momento in cui si affiggeva il bando della mobilitazione”. “Capimmo – scrive Apollinaire – che la piccola auto ci aveva portati in un’epoca Nuova / E pur essendo entrambi uomini maturi / Eravamo appena nati”

Il Nostro si arruolò volontario; egli, che era considerato apolide, fece richiesta per ottenere la cittadinanza francese, che gli verrà concessa, per decreto, il 9 marzo 1916.

Altro Amore all'inizio della Grande Guerra

La Germania aveva dichiarato guerra alla Francia il 3 agosto 1914. Apollinaire si trovava di stanza a Nizza, nell’artiglieria; e a Nizza un amico gli fece conoscere Louise de Cologny-Chatillon, una contessa di trentatré anni, già sposata e divorziata; ora legata sentimentalmente ad un altro uomo.

Apollinaire corteggiò assiduamente quella ch’egli chiamava semplicemente Lou, finché la donna non gli si concesse, durante una settimana di passione, nel tardo settembre, quando la guerra era iniziata da meno di due mesi. Sembra, tuttavia, che, di fatto, la donna rimanesse delusa dal suo amante, che pur s’era mostrato così ardente nell’atteggiamento e soprattutto nella prolùvie di parole, secondo la sua abitudine.

Apollinaire, d’altra parte, sapeva che Lou era circondata da una schiera di spasimanti; ne conosceva l’estrema fatuità, come fosse una “squisita bugiarda”; in definitiva comprendeva che il suo cuore non era più di un giocattolo fra le sue mani.

Ma egli, da inguaribile sognatore, continuerà, anche dal fronte, a dedicare a Lou, poesie, a scriverle un’infinità di lettere (più di duecento) La sua immagine sarà sempre accanto a lui; quando sarà a cavallo, gli sembrerà di sentire Lou su un cavallo che trotti vicino al suo … Ne identificherà persino i capelli rossicci col bagliore d’una granata quando scoppia!

Dopo Nizza, i due si ritrovarono insieme ancora qualche altra volta per rapidi incontri, durante brevi licenze. Nello scrivere le lettere, quindi Apollinaire viveva in un suo mondo, passando tra effusioni sentimentali, arditi erotismi, struggimenti, slanci, ricadute.

Il rapporto con Lou andò pian piano raffreddandosi; il Nostro indugerà, negli scritti sempre più brevi, a riferire piuttosto sugli eventi bellici, sulla tormentosa vita in trincea; l’ultima lettera della intensa corrispondenza sarà del 18 gennaio 1916. La contessa, dai liberi costumi, che voleva essere libera da legami stabili, vivrà sino al 1963. Saranno via via pubblicate in volume sia le poesie sia le lettere scritte per lei.

Ossessione Amorosa

Apollinaire, al fronte, mentre, con gli occhi puntati sull’orologio, attendeva il minuto stabilito per l’assalto, fantasticava sul come assaltare e conquistare il corpo dell’amante “I soldati della mia bocca / Ti prenderanno d’assalto … La mia bocca sarà un esercito contro di te / un esercito pieno di contrasti / Vario come un incantatore che sa variare le sue metamorfosi” … Apollinaire parla di “amore”: “L’orchestra e i cuori della mia bocca ti diranno il mio amore”; ma il suo era un amore frenetico, tumultuoso, tale da scuotere tutto l’essere: “La tua anima si agiterà come una regione durante un terremoto”.

Amore spesso infernale, ma che conosceva anche pause di dolcezza, di contemplazione quasi religiosa della bellezza muliebre: “Gli angeli della mia bocca troneggeranno sul tuo cuore … I preti della mia bocca incenseranno la tua bellezza” (Dalla poesia “Chef de section”, “Caposezione”, nei “Calligrammi”).

Madeleine Pagés

Il Nostro, che aveva trascorso il capodanno insieme con Lou, il 2 gennaio del 1915 salì sul treno della tratta Nizza-Marsiglia, poiché doveva raggiungere a Nimes il reggimento cui era stato assegnato. Nel suo scompartimento, egli s’invaghì, a prima vista, d’una viaggiatrice, “piccola viaggiatrice chiacchierona e dalle lunghe ciglia”. L’attrazione fu reciproca.

Era una ventiduenne, Madeleine Pagès, che si trovava in Francia in visita a un parente; doveva raggiungere Marsiglia per imbarcarsi per Orano, dove abitava e dove insegnava lettere in un liceo femminile. I due cominciarono a conversare, in particolare di letteratura e di poesia; Apollinaire promise che avrebbe presto inviato all’amabile interlocutrice, una copia dei suoi “Alcools” e, al momento di congedarsi, i due si scambiarono i rispettivi indirizzi.

Anche a Madeleine, Apollinaire scriverà un gran numero di lettere, a partire dalla cartolina postale del 16 aprile 1915.La corrispondenza si prolungherà per diciassette mesi.

Il Nostro, ad un certo momento, manifesterà i suoi sentimenti amorosi, e questi via via saliranno d’intensità sino a divenire passione audace, possessiva: “Sei mia … Sei la mia piccola schiava …” In una poesia, Il Nostro si rivolge alla candida luna e dice ch’essa risplende meno dei fianchi del suo amore; ed anche le albe, ch’egli ammira ogni giorno, son meno bianche: “O hanches si blanches” “O fianchi sì bianchi” …

Apollinaire, quando è artigliere, riferisce riguardo alle sue giornate nell’ancora tranquilla retrovia; e successivamente a quelle dolorose nell’inferno delle trincee.

Egli, nei momenti di tregua, ritorna col pensiero agli amici letterati e artisti parigini, dando giudizi su scrittori e pittori; accenna anche alle sue precedenti esperienze sentimentali, ma scrive anche dei suoi futuri progetti; e tra questi include il matrimonio con Madeleine …

Il Nostro ottenne una licenza per recarsi ad Orano per le feste di Natale del 1915 e, sino ai primi giorni del 1916, stette in casa di Madeleine.

Mortole il padre, un professore di filosofia, lei abitava insieme con la madre e cinque fratelli di un’età minore della sua. Nella foto, scattata al momento di prendere commiato, appare una Madeleine sorridente; ma Apollinaire, un po’ dietro di lei, non accenna ad alcun sorriso.

Anche questa volta, l’acceso fantasticare, che il poeta aveva alimentato a lungo dentro di sé, venuto a contatto con il mondo reale, forse con il meschino ambiente provinciale, piccolo-borghese, in cui la Pagès viveva, subiva una brusca delusione …

La corrispondenza con Madeleine andò diradando, con toni sempre più distaccati e freddi, sino a cessare del tutto nell’ottobre 1916. Si può aggiungere che la Pagès non si sposò, continuò a vivere nel mondo della scuola sino al 1949 e morirà ad Antibes nel 1965.

Nel 1952 lei aveva acconsentito che si pubblicasse una raccolta tratta dalla corrispondenza con Apollinaire (escluse le lettere più contrarie al suo pudore) col titolo di “Tendre comme le souvenir”.

L’orrendo conflitto e la ferita alla testa

Ed ecco l’artigliere Apollinaire, durante una veglia, intento a scrivere un articolo per il “Mercure de France” e le sue lettere d’amore.

Mon cher André Rouveyre
On ne sait quand on partira
Au Mercure de France
J’ai envoyé mon papier
Sur papier quadrillé
J’entends les pas des grands chevaux d’artillerie allant au trot sur la grand-route où moi je veille
Un grand manteau gris de crayon comme le ciel m’enveloppe jusqu’à l’oreille
Quel
Ciel
Triste
Piste

Va le
Pâle
Sou-
Rire
De la lune qui me regarde écrire
Mio caro André Rouveyre
Non si sa quando si partirà
Al Mercure de France
Ho inviato il mio articolo
Su carta quadrettata
Ascolto i passi dei grandi cavalli dell’artiglieria che vanno al trotto sulla strada maestra dove veglio

Un gran mantello grigio come il cielo m’avvolge fino alle orecchie

Che
Cielo
Triste
Pista
Dove
Va il
Pallido
Sor-
Riso
Della luna che mi guarda scrivere

Nella retrovia, il Nostro poteva esclamare: “Ah Dio! Com’è bella la guerra / Coi suoi canti e i suoi passatempi” Egli poteva ancora pensare alla guerra come ad uno spettacolo grandioso, capace di smuovere, agitare forze gigantesche, primordiali.

Riguardo all’umanità, i futuristi “glorificavano” la guerra, come “sola igiene del mondo”; e anche Apollinaire si aspettava, dopo di essa, l’avvento di un’epoca Nuova (lui stesso ha messo in risalto Nuova, con l’iniziale maiuscola).

Poteva, intanto, contemplare, con la meraviglia propria dell’esteta, i fuochi del bivacco che, mossi dal vento, rischiaravano, a sera, forme di sogno; le notti, con le loro ghirlande, sospese nel buio, di bagliori, di sfolgorii; vedeva le bombe che esplodevano come mimose in fiore; i razzi che salivano in vetta, per poi chinarsi giù a guardare, come dame nella danza. Poteva ironizzare, dicendosi “innaffiato di proiettili” o sulla granata che “ha la tosse” o sugli aerei che “depongono le uova”; quegli aerei che gli sembravano, sopra la pianura, come api ronzanti sulle rose delle rapide esplosioni provocate dalle bombe sganciate; o che vedeva cadere, una volta colpiti, come stelle filanti.

La Marraine de Guerre

”Marraines de guerre”, madrine di guerra, erano donne, per lo più giovani, che, incoraggiate da associazioni patriottiche, intrattenevano una relazione epistolare con un militare al fronte, per offrirgli un supporto morale e psicologico, per non farlo sentire ormai staccato dalla vita reale, nella solitudine della trincea.

Le lettere avevano un carattere d pura amicizia; ma questa, talora, si mutava in intesa sentimentale. Si verificarono, infatti, alla fine della guerra, non pochi casi di matrimonio tra un soldato e la sua madrina.

Apollinaire, già in artiglieria, ricevette una cartolina postale, che riportava i seguenti versi rimati disposti in una quartina: “Vous allez compléter la geste de vaillance /Des héros polonai au sol s des nos aïeux. / Emportez pour braver les destins ténébreux / Ce quatrain espérantd’une femme de France” … “Pendete con voi per affrontare gli oscuri destini / Questa quartina speranzosa d’una donna di Francia”.

La mittente, sino ad allora sconosciuta ad Apollinaire, era una professoressa di lettere, Jeanne Burgues-Brun, nata a Cognac nel 1866, moglie di un medico specialista, residente a Montpellier; scriveva poesie, firmandosi con lo pseudonimo di Jeanne-Yves Blanc.

Il Nostro rispose anch’egli con una quartina: “Bien qu’il me vienne en août votre quatrain d’avril / M’a gardé de tout mal et de toute blessure Votre douceur me suit durant mona venture / Au long de cet an sombre ainsi que fut l’An Mil”

Nella lettera del 7 settembre Apollinaire ritorna sulla quartina di Jeanne, dicendo che finora l’ha protetto e di sentirsi sicuro che essa lo seguirà ovunque, tenendo lontani da lui i pericoli ed ogni ferita, come un talismano. Intanto egli cerca di immaginarsi le sembianze di colei che, con tanta gentilezza gli ha scritto, e che dimostra di conoscere le sue poesie.

E, in merito alla poesia, Apollinaire, nella lettera del 30 ottobre 1915, chiarisce la sua volontà di essere un poeta nuovo, convinto che non vi sia un lirismo autentico senza la libertà del poeta, senza ch’egli si svincoli da convenzioni che lo limitano. Nondimeno egli ha sempre conservato il gusto del passato.

Apollinaire scrive che, nel luogo ove si trova, sembra sia già giunto l’inverno con un tempo da lupi; così infreddolito, e al lume incerto d’una candela, egli non ha voglia di comporre versi, ma attende, con gran curiosità, un “bouquet lyrique” da Jeanne.

E’ sempre vivo in Apollinaire il desiderio di conoscere dal vivo colei con la quale è in corrispondenza, e che ora può soltanto raffigurarsi. Jeanne gli invia il libro di versi richiestole e Apollinaire apprezza le poesie che sanno trasmettere sogno, emozione, sentimenti …

Al Fronte

Promosso sottotenente, Apollinaire passò nella fanteria. Nel 1916, sul fronte della Champagne, infuriarono i combattimenti. Le azioni d’assalto s’impantanarono poi nella fanghiglia, nell’umidore delle luride trincee, “dove i fiammiferi non s’accendevano”, con i cadaveri ammassati, le carcasse di animali, le fogne aperte.

La guerra mostrava il suo orrido volto; le perfezionate conquiste della tecnica vennero applicate alle armi, rendendole in tal modo più micidiali. La nascente aviazione seminava morte dall’alto … Il Nostro si chiedeva: “Dove sono i soldati quei bei militari / Soldati del passato Dove sono le guerre / Dove sono le guerre d’una volta” … I soldati del passato con le loro pittoresche uniformi, i pennacchi, le nappine, le decorazioni …

La guerra moderna si vestiva di sudice uniformi, di maschere antigas, di grigia umiltà. Essa incombeva ognora con la sensazione tragica della fragilità dell’esistere: ritornava, con essa, l’eterno, instabile Autunno, poiché “Tombaient les feuilles automnales”, cadevano le foglie autunnali e cadevano gli uomini sul fango.

Ritroviamo la stessa situazione ferale, qual è stata descritta dal poeta-soldato Ungaretti (che combatté anche in Francia e fu amico di Apollinaire) negli scarni versi dal titolo “Soldati”: “Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie”

Apollinaire diveniva partecipe della sofferente umanità che lo circondava; dei singhiozzi delle donne che accompagnavano le giovani reclute, e che si ripetevano ad ogni partenza per la linea del fuoco: “E i loro volti erano pallidi /Spezzati i loro singhiozzi”; partecipe della perdita di tanti commilitoni morti, “scalciando tra i reticolati”: il loro ricordo non lo abbandonava: “Ecco di nuovo accanto a me/ Ricordi di compagni morti”

Apollinaire avvertiva dentro di sé, dietro la spinta della sofferenza, una dolorosa metamorfosi: “E tutto è tanto cambiato in me/ Tutto salvo il mio Amore” Amore, sentimento purificatosi, divenuto niveo nei momenti supremi: “Come la neve dai petali puri/ O le tue mani sui miei baci”

Apollinaire ha riconosciuto che la guerra aveva prodotto un cambiamento in lui: “L’amour a remué ma vie comme on remue la terre dans la zone des armées / J’atteignais l’âge mûr quand la guerre arriva” “L’amore ha rimescolato la mia vita come si rimescola la terra in zona militare /Raggiunsi la maturità quando arrivò la guerra” (Primi versi della canzone “All’Italia”).

° ° °

Il Nostro non era come uno di quei bombardieri (di cui parla nella poesia “Exercice”), i quali, educati alla scuola eroica della guerra, si inibivano asceticamente di pensare al futuro …

“Tous quatre de la classe seize
Parlaient d’antan non d’avenir
Ainsi se prolongeait l’ascèse
Que les exerçait a mourir”

Classe sedici tutti e quattro
Parlavano del tempo passato non di futuro
Così si prolungava l’ascesi
Che li esercitava a morire.
Egli voleva ancora vivere ed amare …

Eccolo ascoltare (o immaginare di udire …), sia di giorno sia di notte, un uccello; non sa da quale ramo, ma la tenera voce lo incanta. Non proviene forse, quel canto, dall’anima della donna amata, che vuol essergli vicina, che non lo abbandona nella precaria condizione di soldato?

E’ un’anima che si trasforma in canto; e il cuore del fante, nell’ascolto, ritrova il cielo, la fiducia, la speranza; e il cielo è come se si muti in tante rose; e la donna vive nel ricordo del poeta, come la più perfetta immagine d’una rosa … L’uccello si sgola nell’effondere il suo canto …

E’ simile al canto della vita, dell’amore che vuol resistere anche alla mitraglia, quando già crepita all’orizzonte e porta morte, sotto il cielo notturno che, come indifferente alle vicende umane, si copre di stelle.

Un oiseau chant ne sais où
C’est je crois ton âme qui veille
Parmi tous les soldats d’un sou
Et l’oiseau charme mon oreille
Ecoute il chante tendrement
Je ne sais pas sur quelle branche
Et partout il va me charmant
Nuit et jour semaine et dimanche
Mais que dire de cet oiseau
Que dire des métamorphoses
De l’âme en chant dans l’arbrisseau
Du coeur en ciel du ciel en roses
L’oiseau des soldats c’est l’amour
Et mon amour c’est una fille
La rose est moins parfaite et pour
Moi seul l’oiseau bleu s’égosille
Oiseau bleu comme le coeur bleu
De mon amour au coeur céleste
Ton chant si doux répète-le
A la mitrailleuse funeste
Qui claque à l’horizon et puis
Sont-ce les astres que l’on sème
Ainsi vont les jours et les nuits
Amour bleu comme est le coeur même

Un uccello canta non so dove
Credo sia la tua anima che veglia
Fra tutti i soldati da un soldo
E l’uccello incanta il mio orecchio.
Ascolta canta teneramente
Non so su quale ramo
E dovunque mi va affascinando
Notte e giorno settimana e domenica
Ma che dire di questo uccello
Che dire delle metamorfosi
Dell’anima in canto nell’arboscello
Del cuore in cielo del cielo in rose
L’uccello dei soldati è l’amore
E il mio amore è una ragazza
Non è la rosa come lei perfetta e per
Me solo l’uccello blu si sgola
Uccello blu come il cuore blu
Del mio amore dal cuore celestiale
Il tuo canto sì dolce ripetilo
Alla funesta mitraglia
Che crepita all’orizzonte e poi
Sono gli astri che si spargono
Così vanno i giorni e le notti
Amore blu così com’è il cuore

La Grave Ferita

Apollinaire venne colpito alla tempia destra, da una scheggia, allo scoppio d’una granata, il 17 marzo 1916: “Una stella insanguinata m’incorona per sempre”… ”Un foro quasi mortale che s’è riempito di stelle” …

Il Nostro diceva di portare con sé la sua “ardente sofferenza”, “Comme le ver luisant tient son corps enflammé /Comme au coeur du soldat palpite la France / Et comme au coeur du lys le pollen parfumé “Come la lucciola tiene il suo corpo infiammato / Come nel cuore del soldato palpita la Francia / E come nel cuore del giglio il polline profumato”

Il colpo venne attutito dall’elmetto e perciò la ferita non fu mortale, ma il Nostro subì due successive operazioni, con la trapanazione del cranio. Dovette osservare una lunga convalescenza; sembrò riprendersi, ma come egli stesso diceva: “Non sono più quello che ero, da nessun punto di vista”. Il colore cereo del viso, i movimenti faticosi, pesanti, facevano indovinare il suo precario stato di salute.

Ricevuta, il 17 maggio 1916, la Croce di guerra, venne collocato nei servizi ausiliari, addetto alla censura. L’anno seguente collaborò ancora a riviste d’avanguardia.

Nel maggio 1917 apprese che l’amico Dalize era caduto in battaglia; e va ricordato, al riguardo, che, siccome il suo corpo era stato interrato in gran fretta, la salma non sarà più ritrovata … Ed era caduto André Billy con tanti altri; numerosi erano i feriti, come Braque, colpito alla testa o Cendrars all’avambraccio destro … Ogni ferale notizia procurava ad Apollinaire, dolore e una grande tristezza. A Dalize dedicherà i “Calligrammi”.

“Lo spirito nuovo e i Poeti”

La fibra del Nostro, pur robusta, s’era ormai indebolita … Nel novembre 1917 tenne la conferenza riguardante “L’esprit nouveau et les poètes”, facendo leggere il testo da un amico.

A tal proposito, ecco come Hugo Friedrich7 ha desunto, dal “piano alquanto confuso,” (come lo stesso critico l’ha definito) dei princìpi esposti da Apollinaire, una sintesi: “Lo spirito nuovo è lo spirito della libertà assoluta …

La libertà nella poesia porta ad accogliere, senza limiti, qualunque soggetto: la poesia s’infiamma per nebulose e oceani, ma anche per un fazzoletto che cade, per un fiammifero che s’accende; dalle cose più potenti a quelle più meschine essa ricava ciò che non è stato mai avvertito, lo trasforma in una sorpresa irritante, in nuove gioie, anche se esse sono tormentose a sopportarsi; l’oggetto più insignificante le serve per slanciarsi in una ignota infinità, dove rilucono i fuochi delle molteplici significazioni, e anche per entrare nei crepuscoli dell’inconscio.

L’assurdo ha lo stesso rango dell’eroico; ma la poesia si interessa anche delle nuove cose reali della civiltà tecnica, e non certo con uno stile ornante e oratorio.

° ° °

A tal punto, tuttavia, va considerato che la civiltà delle macchine, dello sviluppo tecnologico, della industrializzazione, del consumismo, dei sempre più raffinati sistemi della comunicazione sia individuale sia di massa, della robotizzazione in espansione, diventando predominante sull’uomo, ha frapposto, e sempre più frapporrà in futuro, i più rigidi ostacoli al libero espandersi dell’immaginazione, alle avventure dello spirito. Ecco freddi e rigorosi schemi, avvolgenti sovrastrutture, soggezioni limitanti …

Ma il poeta d’oggi – e sempre più quello del futuro – dovrà mantenere vivi in lui creatività e spirito d’inventiva, non dovrà perdere la libertà dello spirito; e non per elevarsi al di sopra della realtà, della effettualità, alla ricerca di avventure e di assurdi giochi surrealistici, ma per dare un sostegno morale all’uomo in un mondo ognora più logoro, destinato ad un irrimediabile declino e forse alla sua rovina fatale. I poeti non dovranno essere assenti, allorquando opereranno soprattutto gli scienziati e i tecnologi.

7 Nella sua opera “La struttura della lirica moderna”, Garzanti, 1971.

Gli anni 1915 - 18 nelle lettere alla Madrina

Alla fine del 1915 Apollinaire mette al corrente la madrina d’essere stato promosso al grado di sottotenente di fanteria; a dicembre egli è trasferito in prima linea, dove si sta nelle trincee, che si riempiono d’acqua; dove la vita-egli scrive- è un orrore che non si può descrivere e tanto meno immaginare. Promette a Jeanne che le invierà una sua foto, appena ne avrà una; e intanto si descrive sommariamente.

A gennaio 1916 il Nostro riferisce d’aver trascorso una settimana di licenza ad Orano e d’aver trovato, al ritorno, il pacco con i deliziosi bonbon, i sigari e le sigarette, inviatogli da Jeanne.

Le lettere, d’ora in poi, rispecchiano i tempi infausti, dolorosi per Apollinaire, che già conosciamo. Quella del 26 marzo 1916 si compone soltanto di poche righe (dettate ad un infermiere) in cui il Nostro fa sapere d’essere stato ferito alla testa.

Quando può di nuovo scrivere, Apollinaire riflette: “J’ai été blessé sans doute parce que vous n’avez plus pensé à moi et qu’ainsi le talisman ne pouvait pas agir” E’ stato ferito, perché la madrina ha smesso di pensare a lui, e così il talismano non ha potuto più agire? E’ pressante l’invito a Jeanne di scrivergli in fretta: “Écrivez moi vite” Jeanne gli invia dei versi che riguardano l’elmetto, che ha protetto in parte la testa, in modo che la ferita non fosse irrimediabile.

Ritroviamo nelle lettere gli eventi dolorosi che già conosciamo … Ecco la degenza nello Hopital du Gouvernement Italien e le operazioni subìte. Per un certo periodo, il Nostro non può scrivere …

Nella lettera dell’ottobre 1916, egli va già col pensiero al prossimo inverno, e ciò lo rende inquieto. Pensa a Jeanne che vive nella sua graziosa città del sud, e si gode un bel sole, quello che a Parigi manca. Piove; e la Senna sale un po’ sotto le finestre dell’ospedale, dove la vita scorre monotona, nella malinconia autunnale.

Nell’anno 1917 la corrispondenza è scarsa. Apollinaire sarà di nuovo in ospedale con una “congestione polmonare”, i cui strascichi poi si prolungheranno. Soffre d’una malattia della pelle, causata da un’intossicazione alimentare …La lettera del 7 agosto 1918 rivela un po’ di serenità. Apollinaire, già sposatosi, scrive d’aver trascorso una vacanza a Kervoyal, in Bretagna: aveva un gran bisogno d’un po’ di riposo …

Dal fronte, quindi, Apollinaire scriveva contemporaneamente a tre donne, ma con toni diversi; nella corrispondenza con la madrina, che si protrasse più a lungo e in tempi dolorosi per il poeta, non troviamo quelli rivolti a Lou e a Madeleine; dedicò, una volta, un madrigale amoroso a Jeanne, ma fu da lei rimproverato.

Di quest’ultima, egli, d’altra parte, venne apprezzando il talento poetico e si interessò per farla maggiormente conoscere, al di fuori del circuito delle riviste provinciali, alle quali aveva finora collaborato, Le “Lettres à sa marraine”, raccolte in un volumetto, saranno pubblicate da Gallimard nel 1951.

L’ultimo, e vero, amore La Fine

Il Nostro si ammalò di “congestione polmonare” e la sua degenza in ospedale si prolungò per due mesi. Apollinaire aveva conosciuto Jacqueline Kolb, un’infermiera militare americana, che sempre lo assistette con dedizione, anche perché tra i due era nato un sincero amore.

Lei era ben diversa dalle donne irrequiete ed eccentriche, come lo erano state quelle che Apollinaire aveva conosciuto. Dalla Kolbe il poeta fu irresistibilmente attratto – così disse – “come il ferro dalla calamita”.

Egli la sposerà nel mese di maggio e i due andranno ad abitare al n.202 di Boulevard Saint-Germain. E’ rimasta una foto che li ritrae entrambi sorridenti, nel terrazzino della loro mansarda sovrastante i tetti di Parigi.

Il trentottenne Apollinaire sentiva che la sua giovinezza era ormai trascorsa, ma egli voleva ancora credere nell’amore, in quello che aveva alfine trovato e che non sembrava fuggevole come i precedenti.

Jacqueline divenne la “Bella Rossa”, il cui aspetto “dolce nobile affascinante” è celebrato, con toni classici, nell’ultima poesia della sezione “La tête étoilé”. Il poeta ne ha messo in risalto proprio i capelli tinti di “Quelle fiamme che si pavoneggiano / Nelle rose tee quando avvizziscono”

Apollinaire però pensava che questo suo nuovo, deciso ritorno all’amore, e a un amore romantico, potesse far sorridere i suoi amici …

Il Nostro, che, come abbiamo detto, era ormai alquanto debilitato nel corpo e nello spirito, non resistette ad un attacco di febbre spagnola, l’epidemia che era dilagata, su scala mondiale, dall’autunno 1918, mietendo un numero sterminato di vittime.

Egli, delirando a causa della febbre, e dopo ripetute crisi di soffocamento, si spense, con accanto la sposa e la vecchia madre (la quale morirà di lì a pochi mesi)), il 9 Novembre, in un letto dello Hopital italien, che lo aveva già visto infermo. Degli amici d’un tempo, Ungaretti era andato a fargli visita, ma lo aveva trovato già in uno stato d’incoscienza.

I parigini, in quel giorno, invadevano strade e piazze, festanti per la conclusione della guerra, terminata ufficialmente con l’armistizio dell’11 Novembre.

La poesia “La Jolie Rousse”

Apollinaire apre la poesia dedicata alla ”Bella Rossa”, presentando sé stesso, come un uomo ricco di esperienza della vita, poiché egli ha visto anche la morte da vicino, quando è stato ferito, ed ha poi subito la trapanazione del cranio, “sotto il cloroformio”; uomo che, nello spaventoso conflitto, ha perduto i suoi migliori amici …

Nella vita sentimentale, ha provato sia le pene, sia le gioie che può dare l’amore. Egli ha viaggiato abbastanza e conosce diverse lingue. Ha letto un gran numero di libri classici, ma ha anche partecipato attivamente alla vita culturale contemporanea, sapendo far valere le sue idee; egli può dire a ragione di conoscere sia il vecchio e sia il nuovo “quanto un uomo solo potrebbe dei due sapere”.

Ora si sente pronto ad ergersi a giudice riguardo alla lunga querelle, che contrappone tradizione ed invenzione, ordine ed avventura. Apollinaire, che parla anche a nome dei suoi amici dell’avanguardia, rivolgendosi ai tradizionalisti, ai seguaci cioè di coloro “che raggiunsero la perfezione dell’ordine”, chiede loro di essere indulgenti verso gli innovatori, perché non sono loro nemici; chiede pietà per quelli che i tradizionalisti considerano “errori e peccati”.

E’ che i seguaci dell’avventura, “combattono alle frontiere dell’illimitato e dell’avvenire”, al fine di aprire alla poesia nuovi e vasti orizzonti… E Apollinaire dice che cosa potrebbe trovare chi varcasse tali orizzonti, chi si spingesse oltre, fin dove

Le mystère en fleurs s’offre à qui veut le cueillir
Il y a là des feux nouveaux des couleurs jamais vues
Mille phantasmes impondérables
Aux quels il faut donner de la réalité
Nous voulons (prosegue il poeta) explorer la bonté contrée énorme où tout se tait
Il y a aussi le temps qu’on peut chasser où faire revenir

Il mistero in fiore s’offre a chi vuol coglierlo
Là ci sono fuochi nuovi e colori mai visti
Mille imponderabili fantasmi
Ai quali bisogna dare consistenza

Vogliamo (prosegue il poeta) esplorare la bontà contrada enorme dove tutto tace

C‘è anche il tempo che si può cacciar via o far ritornare

Alcuni dei princìpi enunciati da Apollinaire nello “Spirito nuovo” si rinvengono già nelle poesie di “Alcools” e dei “Calligrammes”, soprattutto per quanto riguarda le tante “sorprese”, che, per il lettore, hanno costituito, con la loro dirompenza, novità anche tormentose a sopportarsi.

Abbiamo spesso veduto la presenza – innovativa nella poesia – di aspetti della vita moderna; ma abbiamo anche assistito alla decomposizione del reale, al predominio dell’assurdo.

Nel progetto d’una nuova poetica, esposto sinteticamente nei versi contenuti nella “Bella Rossa”, prima riportati, Apollinaire fa ripensare a Baudelaire e a Rimbaud, i quali avevano sì scrutato l’invisibile, ma l’Ignoto era rimasto per loro un polo d’attrazione privo di contenuti, vuoto di trascendenza.

La pur ardente fantasia dei due poeti s’era infranta contro l’Ignoto, non vi era penetrata … Né Apollinaire s’era mai alzato fino a raggiungere i “vasti e strani domini”, che s’estendono oltre le frontiere dell’illimitato …

Tale concezione non era, forse, tale da fargli concepire un segreto tentativo di elevazione, di ascensione verso una sfera superiore, oltre i colori languenti, effimeri dell’infermo Autunno, per incontrare i sovrastanti, permanenti colori straordinari, i fuochi inestinguibili, lì dove “lo spirito raggiunge il sogno”, “Par où l’esprit rejoint le songe”? O, oltrepassata una curva, per veder comparire, a perdita d’occhio, un universo ancora inesplorato, vergine, “un univers encore vierge”; per salire, come su un ascensore, sempre più in alto, sino a raggiungere la luce che piena si dispiega e col suo bagliore trasfigura!

Ascendere, ascendere col fine di conoscere, e far conoscere, una bellezza nuova, generata da” bontà e dolore”, perfetta nella sua spirituale essenza; e per attingere e trasmettere ideali necessari al futuro rinnovamento dell’uomo?

Un uomo che sarebbe diventato “più puro più vivo più sapiente”, che, una volta riacquistata e rinvigorita la sua spiritualità, avrebbe veduto maturare “frutti saporiti /Sull’assolata collina”

La solitudine del Vate

Come abbiamo letto nei “Calligrammi” (nella lunga composizione dal titolo “Les collines”), Apollinaire ha parlato di “certi uomini”, uomini eccezionali che, dalle loro “azzurre colline”, levate verso il cielo, scrutano lontano e vedono tutto l’avvenire …

Si era forse egli sentito, anche se per un poco, come uno di quelli, un vaticinatore, un poeta d’alta ispirazione? Ha infatti scritto: “Sache que je parle aujourdui / Pour annoncer au monde entier / Qu’enfin est né l’art de prédire” “Sappi che oggi parlo / Per annunciare al mondo intero / Che finalmente è nata l’arte di predire” … ”Mes chants tombent comme des graines / Taisez vous tous vous qui chantez / Ne mêlez pas l’ivraie au blé” “Come semi cadono i miei canti / Tacete tutti voi che cantate / Non mescolate la gramigna col grano”

Ed ecco, ai nostri occhi, delinearsi la figura del profeta, il quale, prima di manifestarsi e parlare apertamente, deve fare esperienza della solitudine; e Apollinaire confessa: “J’entends revenir mes pas Le long des sentiers que personne / N’a parcourus j’entends mes pas / À toute heure ils passent là-bas / Lents ou pressés il vont ou viennent” “Ascolto i miei passi ritornare / Lungo sentieri che nessuno / Ha percorso ascolto i miei passi / Ognora laggiù si muovono / Lenti o frettolosi vanno e vengono” …

Egli deve distaccarsi dall’ordinario, dal grezzo materialismo, per acquisire una sua integrità, una sua purezza, al fine di poter tendere a qualcosa di veramente nuovo: “Bien souvent j’ai plané si haut / Si haut qu’adieu toutes les choses” “Molto spesso mi sono librato sì in alto / Sì in alto da dire addio a tutte le cose” … “J’ai traversé le ciel splendide / Où la vie est une musique” “Ho attraversato il cielo luminoso / Ove la vita è una musica” … Dove la vita armonica dello spirito s’espande non attraversata da torbide passioni.

Apollinaire non era stato attratto, in gioventù, dalle tante aberrazioni, pervertimenti praticati, lungo la storia, da certuni uomini, riguardo alla sessualità; e non li aveva descritti, anche con compiacimento, in specie nell’osceno romanzo “Les onze mille verges” del 1907?

Ma ormai egli era rivolto all’avvenire, sebbene dura era stata per lui la lotta tra passato ed avvenire … Ne era uscito vincitore, come l’arcangelo dalle “ali radiose”, dal combattimento sostenuto contro Lucifero … Ora egli poteva dire: “Je me suis enfin détaché / De toutes choses naturelles / Je peux mourir mais non pécher” “Mi sono alfine distaccato / Da tutte le cose naturali / Posso morire ma non peccare”

Nell’epoca “nuova”, uscita dall’atroce travaglio della guerra, il Nostro avrebbe, con la sua opera, contribuito ad una più approfondita conoscenza dell’uomo?

Conoscenza necessaria per riportarne in luce le risorse interiori, da mettere in atto per la sua riedificazione: “On cherchera dans l’homme même / Beaucoup plus qu’on n’y a cherché” “Nell’uomo stesso si cercherà / Molto più di quanto finora s’è cercato”

La futura, approfondita conoscenza dell’uomo, avrebbe certo contribuito alla riscoperta dei più genuini valori. Si sarebbe instaurato un umanesimo nuovo … Apollinaire, che aveva iniziato come simbolista, che poi s’era spinto in un’atmosfera surreale, aveva quindi obbedito al principio estetico dell’arte per l’arte (già seguito dai parnassiani e da Baudelaire), al di là di finalità pedagogiche, patriottiche, etiche e sociali, prevedeva, auspicava un suo coinvolgimento, come poeta, nella futura riedificazione dell’uomo?

Sappiamo purtroppo che gli uomini sarebbero ritornati, di lì a poco, ad una condizione primitiva, barbarica, nel secondo conflitto mondiale, più feroce del primo; uomini nuovamente “della pietra e della fionda” (per dirla con Quasimodo), ma, nei tempi moderni, in possesso di armi sempre più distruttive, fornite loro da una “scienza esatta persuasa allo sterminio, / senza amore, senza Cristo.” Dopo tale conflitto, alcuni letterati e poeti assumeranno una posizione di engagement …

° ° °

Ma Apollinaire, ormai stanco, fiaccato dalla sofferenza fisica, sentiva la sua fine ormai prossima … Nei versi che chiudono “Calligrammes”, così dice:

“Mais riez riez de moi
Hommes de partout sortout gens d’ici
Car il y a tant de choses que je n’ose vous dire
Tant des choses que vous ne me laisseriez pas dire
Ayez pitié de moi

Ma ridete ridete di me
Uomini d’ogni dove e soprattutto gente di qui
Perché ci sono tante cose che non oso dirvi
Tante cose che voi non mi lascereste dire
Abbiate pietà di me

Quali altre cose, così diverse da quelle già dette, “tant de choses”, tante cose, Apollinaire pensava di dire, serbava dentro di sé, ma già temeva di incorrere nella derisione degli amici d’un tempo? Avrebbe avuto il coraggio di dirle, anche se non lo avessero lasciato liberamente esprimersi?

Egli chiedeva intanto comprensione, commiserazione, pietà per le sue tante contraddizioni, sia sul piano personale sia sul piano letterario, per le quali appariva ai contemporanei, e appare tuttora, una personalità proteiforme ed enigmatica, capace anche di scadere nella mistificazione; pietà, infine, per la difficile condizione in cui si sarebbe trovato a seguire nuove scelte …

E chiedeva pietà, avendo ormai la certezza che non avrebbe potuto vedere sorgere la “époque Nouvelle”, aprirsi in quell’avvenire ch’egli aveva veduto “ardere” (“Tu vois que flambe l’avenir”) nella sua immaginazione o utopistica visione?

Il poeta aveva portato con sé ogni affliggente segreto nel buio nella tomba …

Era stata solitaria la sua ultima degenza; per il funerale, invece, si radunò un discreto numero di letterati e artisti che accompagnarono il feretro sino al cimitero parigino Père-Lachase, dove avvenne l’inumazione il 13 Novembre 1918.

Epilogo

Nel primo centenario della morte di Apollinaire, sono tornato a considerarne la complessa figura, come avevo già fatto nel cinquantenario e anche in anni successivi.

Ho quindi ripercorso l’itinerario esistenziale del Nostro, affiancando ad esso quelle poesie, che mi sono parse maggiormente connesse con la vicenda biografica. Ho tralasciato le molte poesie e le opere in prosa, nelle quali, invero, diversi commentatori sono stati attratti, con una curiosità per lo più morbosa, dai contenuti trasgressivi, riguardanti la sfera erotica.

Come ha scritto Sergio Solmi, “Apollinaire, ideale personaggio per i biografi, non è stato molto fortunato con la critica letteraria vera e propria”.

E’ parere di diversi critici che Apollinaire, come poeta, è stato eccellente, quando è rimasto semplice, e sincero con sé stesso, quindi istintivo, lirico, passionale; quando ha messo a nudo il suo intimo essenzialmente malinconico, per cui “anche le audacie apparenti cedono ad una profonda e armoniosa malinconia”, come ha rilevato Kléber Haedens, nella sua opera “Une histoire de la littérature française” (pubblicata da Garzanti nel 1960 con il titolo “La letteratura francese”).

Ho quindi dato rilievo alle poesie, nelle quali scorre una vena sentimentale, elegiaca (e anche “melodica”, come è stato rilevato) e nelle quali, ogni lettore comune, al di fuori di adulterazioni, giochi di parole, immagini arbitrarie, rivestimento ironico da parte dell’autore, può riconoscersi, ritrovandosi nella comune umanità, che da esse traspare.

Fuori da quella “disumanizzazione” che ha improntato tanta poesia del XX secolo, allontanatasi dall’esperienza vissuta, dagli stati sentimentali naturali, sino a sfociare nell’isolamento, nell’esilio, vale a dire quella che si ritrova nell’opera di Paul Eluard, Saint-John Perse, J. Prévert, J. R. Jiménez, F. Garcia Lorca, R. Albert, G. Diego, J. Guillén, V. Aleixandre, Burnt Nortron, G. Benn, Bilder, G. Trakl; e quella delle varie scuole e correnti che si sono succedute, come il dadaismo, il futurismo, l’espressionismo, il creazionismo, il modernismo, il surrealismo, l’ermetismo, l’ultraismo …

Una poesia per lo più oscura, di fronte alla quale il lettore comune si sente incapace a penetrarne il significato, che s’occulta dietro acrobazie formali.

Fuori da queste acrobazie, abbiamo ricercato in Apollinaire la sua figura di bambino con la sua innocente fede religiosa; il poeta che ha pensato anche ai bimbi, che sono morti pregando; il giovane viaggiatore, alla scoperta di nuovi ambienti e soprattutto alla conoscenza di sé stesso; che ha osservato, assorto nelle sue riflessioni, il fluire della Senna; che è caduto in un cupo sconforto tra le squallide pareti d’una cella, sapendosi carcerato ingiustamente; che s’è divertito alle battute e ai giochi degli artisti di strada; che è stato protagonista di alterne vicende d’amore; che ha manifestato interesse per le novità introdotte dalla civiltà moderna, ma che ne ha anche subìto la solitudine, costatando più volte d’essere solo “Je suis seul”; che s’è immalinconito nell’incerta stagione autunnale; e soprattutto che ha sentito la tragica caducità dell’umana esistenza nel tempo di guerra, simile ad un impietoso Autunno che stacca vite degli uomini, come le foglie dagli alberi …

Abbiamo visto il poeta e l’uomo assorto nelle sue chimere, come nell’attesa di una “epoca nuova”, propizia sia per gli uomini, sia per i poeti, scrutare lontano verso l’orizzonte, verso le frontiere dell’illimitato e dell’avvenire, come dalla cima d’una collina elevata verso l’azzurro del cielo, simbolo di luce, di spiritualità.

Mi sono sembrati questi i motivi vitali della poesia di Apollinaire, mentre è invecchiato quanto v’è di artificiosamente ricercato, erudito, travagante, affidato alla trovata, all’invenzione. Il Nostro possedeva un bagaglio di vaste conoscenze eclettiche, anche eccentriche.

Come ha scritto il già citato Haedens, “egli mise in subbuglio gli ambienti della giovane letteratura parigina con ogni specie di mistificazioni, di audacie e d’avventure”.

Assunse il ruolo di prestigiatore, di illusionista, di fantasista, dal quale molti attendevano novità ad ogni costo. Ma molte delle sue trovate (ne abbiamo riportate nell’apposito capitolo …) ci fanno ripensare, sorridendo un poco, piuttosto al seicentismo, al marinismo.

Apollinaire, come abbiamo detto, s’è inoltrato nella misteriosa sfera del Sogno ed ha ascoltato gli echi provenienti dall’inconscio, ha scorto fantasmi, ha assistito a strabilianti metamorfosi. Per tale parte della sua poesia, visionaria, alogica, egli è stato ritenuto un precursore del surrealismo.

Va considerato, tuttavia, che, successivamente, diversi poeti che avevano condotto l’esperienza surrealista sino in fondo, l’hanno poi abbandonata, delusi dalle risorse che aveva loro offerto l’inconscio, come ha ricordato Haedens; ed il critico ha aggiunto che “i fondatori si sono separati per molteplici motivi, la maggior parte dei quali non aveva nulla a che vedere con la letteratura.”

Certo, non si ritrovano soltanto in Apollinaire gli eccessi della poesia definita “moderna”, quella che ha rifiutato la riproduzione della realtà e l’esternazione dei sentimenti, poiché, secondo il parere di Ortega y Gasset, “l’animo lirico attacca le cose naturali, le ferisce, le uccide”; e Benn ha parlato di “dissoluzione della vita e della natura”.

La frattura tra poeti e pubblico è stata determinata dall’intento dei poeti di “sconcertare”, di produrre nei lettori un vero e proprio shock; i lettori si sono persi in un fitto intrico di immagini, analogie e simboli.

Ma nel Novecento, in specie nel primo dopoguerra, e poi nel secondo, dopo l’immane tragedia dei due conflitti mondiali, molti poeti sono ritornati “all’ordine”, alla tradizione, certo rinnovata e adeguata alle istanze dei tempi; hanno voluto offrire all’uomo sofferente e disorientato, una parola confortante.

Ed è questo il compito che deve perseguire la poesia, rispecchiare “il mondo l’umanità / la propria vita / fioriti dalla parola / la limpida meraviglia / di un delirante fermento”; altrimenti, dopo aver “fatto a pezzi cuore e mente.

Apollinaire e l'Italia

Apollinaire disse di pensare con affetto all’Italia, come a una madre; nella sua terra egli, infatti, era nato e anche della sua cultura aveva molto assorbito.

Già al fronte, nella sua trincea, in un caldissimo giorno dell’agosto 1915, scrisse la lunga canzone “À l’Italie”: “Bien abrité dans l’hypogée que j’ai creusé moi-meme / C’est à toi que je songe Italie mère de mes pensées” “Bien protetto nella trincea che io stesso ho scavato / E’ a te ch’io penso Italia, madre dei miei pensieri “

“C’est la nuit je suis dans mon blockhaus éclaré par l’éléctricité en bâton / Je pense à toi pays des deux volcans /  J’ai comme toi pour me réconforter le quart de pinard / Qui fait tant de différence entre nous et les Boches”

“E’ notte sto nel mio fortino rischiarato dalle torce / Penso al tuo paese dei due vulcani / Ho come te per darmi conforto un quarto di vino / Che fa tanta differenza tra noi e i Tedeschi” (pinard è gergo militare; boche è spregiativo).

Apollinaire dedicò la canzone al poeta e pittore fiorentino Ardengo Soffici; questi lo aveva conosciuto a Parigi, e di lui era rimasto un fervido ammiratore.

Camillo Sbarbaro riferisce di una visita fatta a Soffici e scrive che l’ospite “dai libri trasse Apollinaire. Sorvolando sui calligrammi (tutti siamo passati di lì), andò a una poesia d’andamento religioso, che lesse con voce solenne”.10

Soffici aveva fondato, a Firenze, nel gennaio 1913, insieme con Giovanni Papini, la rivista “Lacerba”, che poi pubblicherà, il 15 settembre, “L’Antitradition futuriste”.

I poeti ermetici fiorentini apprezzarono il saggio di Marcel Raymond “De Baudelaire au surréalisme”, pubblicato a Parigi nel 1933, poiché permetteva a loro di meglio conoscere i movimenti letterari d’oltralpe. In tale saggio figura il capitolo “Le origini della poesia nuova: G. Apollinaire”.

Successivamente E, Montale scriverà in “Corriere della Sera”, l’articolo “Dopo il surrealismo” (1950); Carlo Bo, “Apollinaire le Mal-aimé” in “Giovedì” (1952); M. Luzi, “Gloria i Apollinaire” in “Il Popolo” di Milano (1953).

Le poesie del Nostro sono state via via tradotte da Valeri, Caproni, Raboni, Sereni. Sergio Solmi ha curato l’introduzione delle “Opere poetiche di G. A.” pubblicate da Guanda.

Ma, come ha scritto Renzo Paris,11 riferendosi al periodo della Neoavanguardia degli anni Sessanta (che pure aveva trovato tanti punti di contatto con la storica Avanguardia del primo Novecento): “Oggi sono pochi a far cenno alla poesia di Apollinaire, soprattutto tra i critici della nuova avanguardia e sono sempre cenni veloci, quasi passaggi obbligati. Nessuno che sia fermato a considerare le sue novità linguistiche, a tracciare un profilo delle sue esperienze avanguardistiche”.

Il critico ha rilevato come Apollinaire “vive proprio in quegli anni in cui tutta l’arte, cosiddetta moderna, trova il suo fondamento” essendo amico e critico di Picasso, Matisse, Vlaminck, Derain, Jarry, Jacob, Birot, Breton, ecc,, concludendo: “Sembra che tutto questo non dia assolutamente da pensare ai cultori dell’avanguardia storica in Italia.

Paris ha ricordato anche che soltanto la rivista “Malebolge” aveva pubblicato nel dicembre 1966, e in pochi altri numeri, interventi sul surrealismo e sul para-surrealismo.

Va ricordato che in occasione del primo centenario della morte di Apollinaire, l’Università degli Studi di Torino ha promosso, nell’ottobre 2018, due giornate di eventi dedicati al poeta, con la rappresentazione, in lingua originale, del dramma “Les mamelles de Tirésias”, con il convegno internazionale di studi dal titolo “Le metamorfosi di A.” e con l’organizzazione della mostra “A. e l’invenzione surrealista”.

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8 Nell’articolo “A cinquant’anni dalla pubblicazione degli “Alcools” di Guglielmo Apollinaire”, nella rivista torinese “Selva”, nel 1963; successivamente nel saggio “Motivi di umanità e di verità di poesia nell’opera di G. Apollinaire”, compreso nell’antologia “Albo d’oro 1992”, Casa Ed. Menna, Avellino, 1993; nell’articolo “Poesia ed artifizio nell’opera di G. Apollinaire”, nella rivista “Collage”, “Figure di bambini nella poesia di Apollinaire”; pubblicato nella rivista “Silarus”, Sett. /Ott. 2008, citato in “French Bibliography William J. Thompson, 2010 e presente nel sito Literary.it; nel capitolo “G. Apollinaire: Abbiate pietà di me del mio libro di saggi “Solitudine tra i poeti”, Ancona, 2009.
9 Versi di Giuseppe Ungaretti in “Vita d’un uomo. Tutte le poesie”, 1969.
10 Da “Trucioli”,1948
11 In “Apollinaire Poesie” pag. 27 Newton, 1989.

Indice

Notizie
La fanciullezza
La prima giovinezza I viaggi
Il soggiorno in Germania
Momenti di poesia
Nel cimitero
L’Autunno e lo scorrere del tempo
A Parigi, i primi approcci nell’ambiente letterario
Ancora in viaggio
Il cubismo
A Parigi La prima opera di poesia
La pubblicazione di “Alcools”
Gli amori falliti
In prigione a “La Santé”
Negli anni 1912 / 13
La solitudine nella metropoli
Smarrimento
I saltimbanchi
Nella locanda
Il sogno, la poesia visionaria
La poesia degli “Alcools”
Calligrammi
La piccola auto
Altro amore, all’inizio della Grande Guerra
Ossessione amorosa
Madeleine Pagès
L’orrendo conflitto La ferita alla testa
La marraine de guerre
Al fronte
La grave ferita
“Lo spirito nuovo e i poeti”
Gli anni 1915-’18 nelle lettere alla madrina
L’ultimo, e vero, amore La fine
La poesia “La Jolie Rousse”
La solitudine del Vate
Epilogo
Apollinaire e l’Italia

IV di copertina

Guillaume Apollinaire (pseudonimo di Wilhelm Apollinaris Kostrowitzky) nacque a Roma, nel 1880, da una aristocratica polacca e da padre italiano non ben identificato. Dopo aver frequentato il collegio nel Principato di Monaco e a Cannes, e il liceo a Nizza, il giovane Apollinaire, dopo un soggiorno in Germania nel 1901 / 02, si stabilì a Parigi. Qui fece le prime conoscenze in campo letterario; conobbe poi Pablo Picasso e altri esponenti della nuova tendenza pittorica, il cubismo, di cui si fece convinto sostenitore. Dopo aver fondato, con alcuni amici, l’effimera rivista “Le Festin d’Esope”, diede vita al periodico “Les Soirées de Paris”, di più lunga durata e che divenne organo dell’avanguardia artistica e letteraria. Pubblicò le raccolte di poesia “Alcools” e “Calligrammes”, (rispettivamente nel 1913 e nel 1918), che si presentano con i versi privi di punteggiatura. Partecipò alla Grande Guerra, come volontario, e rimase, nel 1916, gravemente ferito alla testa. Sembrò riprendersi, ma, nel nov. 1918, morì in seguito all’epidemia di febbre spagnola.

Franco Orlandini ha ripercorso in maniera succinta, ma precisa, l’itinerario esistenziale di Apollinaire, in riferimento alla sua epoca ricca di fermenti in campo artistico e letterario; ha affiancato ad esso quello poetico, mettendo in rilievo le composizioni, in cui, al di fuori delle “invenzioni” audaci ed oscure, il nostro autore s’è mostrato fedele alla sua natura capace di sensibilità lirica ed umana.

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Franco Orlandini, poeta, scrittore, saggista letterario, è nato in Ancona, dove risiede. E’ stato collaboratore sin dagli anni Sessanta di periodici letterari; ha pubblicato diverse raccolte di poesia, ad iniziare da “Stagioni”,1968; ne ha riunito una selezione nei volumi “Negli anni”, 2007 e “Altre Stagioni”, 2017. Ha raccolto gran parte dei saggi sulla letteratura dell’Ottocento e del Novecento” nel libro “Solitudine tra i poeti”, 2009. Ha pubblicato opere in prosa, come “Natura e Poesia”, 2005, “Paesaggi e figure”, 2011 e 2014, “Uccelli per cento poeti”, 2016 … Traduzioni: “Charles Guérin, anima senza patria”, 2012. Ha vinto significativi primi premi, ad iniziare da “Abruzzo oggi”, 1990, sino al “Città di Avellino”, 2015.

Presente in biblioteche, siti letterari internet; incluso in antologie e dizionari critici, come “Storia della letteratura italiana – Il Secondo Novecento” vol. II, G. Miano Ed. Milano, 1998; “Dizionario Autori Italiani Contemporanei”, ivi, 2006 e 2017; “Poeti contemporanei- Forme e tendenze letterarie del XXI sec.” Ed. “Il Convivio”, 2014; “Atlante Letterario Italiano”, Libraria Padovana Ed. 2007/ 2008 e poi nel sito Literary.it

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