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Sebastiano Schiavon, lo “strapazzasiori”

Sebastiano Schiavon (1883-1922), personaggio oggi pressoché sconosciuto, al suo tempo esponente di primo piano dell’associazionismo cattolico. Vorrei ricordare la sua figura sollecitato da un libro di Massimo Toffanin di cui “Padova e il suo territorio” ha già parlato. Il soprannome di “strapazzasiori” – che non ha bisogno di traduzione in italiano – gli fu attribuito dai giornali locali per la forza con cui si batteva contro lo sfruttamento del lavoro bracciantile e operaio. Nominato infatti segretario dell’Ufficio cattolico del lavoro dalla diocesi di Padova nel 1908, non esitò a sostenere risolutamente le richieste di migliori condizioni materiali e salariali dei lavoratori, ricorrendo addirittura, nonostante la diffidenza delle gerarchie ecclesiastiche, l’arma dello sciopero e al boicottaggio (agosto 1908, a sostegno delle “tessaie” di Piove di Sacco) in aperta concorrenza con il socialismo che, attraverso il suo organo di stampa l’Eco dei lavoratori, lo accusò di strumentalizzare il malcontento popolare al solo fine di screditare l’organizzazione socialista.

La sua infaticabile attività propagandistica e organizzativa si esplica a Cittadella, sull’Altopiano di Asiago, mediante il forte sostegno alla locale attività cooperativistica, e in particolare nella Saccisica – nel 1910 è eletto consigliere provinciale a Padova e consigliere comunale a Saonara, Ponte San Nicolò e Legnago – con la fondazione di cooperative, unioni del lavoro e circoli giovanili (solo nel Padovano ne furono fondati sessanta), che fanno sentire la loro forza nel corso di pubbliche manifestazioni: a quella tenuta nel centro di Padova nell’ottobre 1909 (p. 45) partecipano, secondo la Difesa del popolo, circa 12.000 persone. Nel corso del 1910 si impegna nella fondazione di sindacati e nel sostegno alle lotte contadine e operaie, quali la controversia alla cartiera di Lugo Vicentino (maggio 1910). I successi riportati gli valgono la nomina ai vertici dell’”Unione Popolare” con sede a Firenze, dove si trasferisce con la famiglia nel 1911.

Instancabile propagandista in tutta l’Italia centrale e settentrionale, affianca all’azione sociale propriamente detta la consapevolezza della necessità di sradicare l’analfabetismo e di istituire scuole serali in ogni parrocchia. Ritornato nella nostra regione e presentatosi alle elezioni col sostegno dell’”Unione elettorale cattolica”, è trionfalmente eletto nel collegio di Cittadella con circa diecimila voti su poco più di diciottomila elettori iscritti e risulta essere il più giovane deputato del regno.

Nel 1915 è ostile all’intervento. Con altri ventisei “cattolici deputati” vota contro il governo Salandra, ma, per tutta la durata del conflitto, mantiene un contegno ispirato alle ragioni del patriottismo, senza dimenticare le sofferenze delle popolazioni martoriate dalla guerra, per le quali mette a frutto la sua capacità organizzativa – costituzione di “Comitati di preparazione civile” – e la sua funzione di deputato. Richiamato alle armi nel 1916, è congedato nella primavera dl 1917 per “infezione tubercolare”.

Tra i fondatori del Partito Popolare nel 1918-1919, è rieletto alla Camera nel 1920; subisce le violenze del cosiddetto “biennio rosso”, mentre nelle zone rurali cominciano ad apparire minacciose le squadre fasciste, sostenute dalle associazioni agrarie. Intanto anche la situazione politica va mutando: su pressione della Curia romana, ispirata a sua volta dalle richieste dei grossi proprietari terrieri, la diocesi di Padova, guidata da monsignor Pellizzo, cessa di dare il suo sostegno alle leghe bianche, per cui lo Schiavon viene progressivamente emarginato e, per motivi formali e procedurali, non riesce ad essere rieletto nel 1921 alla guida di un partito autonomo. Rientrato nell’ombra, muore di cirrosi epatica non ancora quarantenne, nel 1922. Commemorato con parole di stima e commozione puramente formali anche dagli avversari politici, cade nella dimenticanza generale fino a quando, nel 1985, il comune di Roncaglia gli dedica una via.

La ricostruzione biografica risulta difficile, per mancanza di fonti dirette; ma in ogni caso lo Schiavon ne emerge come una figura limpida e coerente, che non si lascia lusingare né dalle suadenti tattiche giolittiane né in generale dall’atmosfera trasformistica e affaristica del “Palazzo” romano così argutamente fotografata di Trilussa: “ne viè ch’er frammassone va ar governo, ce trova er prete e ce rimane uguale”.

Il Veneto in cui operò lo Schiavon, per quanto campanilistico e parrocchiale, rispecchia le due anime del movimento cattolico: da un lato quella istituzionale, rappresentata da personaggi di elevata estrazione sociale, quali il conte Giuseppe Dalla Torre, che, lasciate cadere le rivendicazioni temporalistiche e ottenuta l’abrogazione di fatto del Non expedit, offrono sostegno alle forze liberal-conservatrici e ne ricevono legittimazione, trovando nel “patto Gentiloni” e nelle elezioni a suffragio universale maschile del 1913 il coronamento della loro azione politica; dall’altro l’anima popolare, che costituisce alla Camera il gruppo parlamentare “cristiano-sociale” in polemica con le alleanze clerico-moderate. Esso trae la sua forza dalle vigorose rivendicazioni sociali – ma sarebbe più giusto dire di semplice umanità – volte anche a sottrarre le masse rurali all’influenza del socialismo ateo e materialista, rivendicazioni che attirano sui suoi esponenti di punta (ad esempio Guido Miglioli), sedi vescovili, la paradossale definizione di “bolscevichi bianchi”.

Così si spiegano le cautele e le strategie di lungo periodo della Santa Sede spesso in contrasto con l’impazienza dei militanti e dirigenti locali, talvolta messi da parte, come accadde allo Schiavon, e le difficili mediazioni delle sedi vescovili, esitanti fra impegno politico-sociale e esclusiva cura d’anime: così si spiega anche la distinzione fra “deputati cattolici”, cioè sostenuti dalle diocesi nella loro azione, e “cattolici deputati”, cioè credenti che, a titolo personale, tentavano l’avventura della politica.

Fra i colleghi dello “strapazzasiori” nelle sue battaglie politiche e sociali, oltre a qualificati esponenti del clero locale, come il vescovo Pellizzo, don Cecconelli, animoso propugnatore dell’associazionismo cattolico, o monsignor Gianesini, che condivise con lui i rischi di aggressione socialista dopo un comizio a Piove di Sacco nel settembre del 1920, troviamo l’avvocato Gavino Sabadin, primo prefetto di Padova dopo la Liberazione, e l’avvocato Cesare Crescente, scomparso nel 1983, cognato dello Schiavon e sindaco di Padova ininterrottamente dal 1947 al 1970 – ben più vicino quindi ai nostri giorni – amministratore esemplare per rigore ed ampiezza di vedute, che, negli anni Sessanta, contribuì ad attirare alla nostra città il titolo di “Milano del Veneto”. Schiavon si laureò in lettere con la tesi (de Ciceronis epistularum sermone) scritta in buon latino, a dimostrazione di come la tradizionale cultura umanistica fosse ancora strumento di emancipazione specialmente delle classi rurali.

Fabio Orpianesi

Recensione
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