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Alessia e Mirta
Ho letto
Alessia e Mirta di Raffaele Piazza e non posso che sottoscrivere l’esordio
della prefazione, firmata da Valeria Serofilli: «La
poesia di Raffaele Piazza è basata su dati precisi e tempi e indicazioni esatte
di gesti, cose dette e fatte. Si tratta di annotazioni, come se avessimo
di fronte un diario». Le due protagoniste, pur nella concretezza del dettato,
si pongono tuttavia anche come due tipi ideali e contrapposti di femminile:
Alessia viva e carnale, Mirta evanescente nella carenza di energia vitale.
Vengono in mente
(si
licet parva magnis,
naturalmente)
le montaliane Esterina e Arletta, alle quali certamente
pensava anche l’autore: e non sorprende
che sia proprio Arletta-Mirta, pur nel minor spazio dedicatole, la principale
ispiratrice.
Il libro è anche un racconto erotico stilizzato, quasi una poetica
sfilata di stampe giapponesi, alla maniera di Utamaro. Alessia vive con
Giovanni la propria iniziazione sessuale, il monologo interiore in presa diretta
adolescente, con tutte le preoccupazioni e frivolezze dei sedici anni; Mirta
rimane acerba come un fiore non colto (una
bambina di 44 anni,
scrive
l’autore) e muore suicida, presumibilmente anche
per mancanza d’amore. Proprio Montale è ricordato esplicitamente come argomento
di conversazione fra il poeta e l’amica, quasi una
sorta di anti-Galeotto che non ha, questa volta, saputo innescare la scintilla
fatale della passione.
Forse il poeta intende mostrarci un’allegoria dell’amor
sacro e profano: non a caso si sottolinea che Alessia «non è né Laura né
Beatrice» e si moltiplicano per Mirta
i riferimenti
metafisici, dalla
sera firmamento
all’oltrecielo,
al vetro
infinito,
all’anima di ragazza e di Dio.
Le poesie costruiscono in qualche modo anche un Bildungsroman, anche se i
tempi non vengono mai precisati: l’adolescenza resta in un’epoca sospesa, ma il
telos della vita è l’adultità con tutto il suo grigiore (quell’abito nero
che Alessia, già presaga del dopo, indossa sotto i vestiti della gioia). Tra
boschi, voli astrali, riti di passaggio dentro e fuori dall’acqua iniziatica e
qualche neologismo, ovviamente di vago sapore dantesco (fiorevole, selenico,
interanimarsi), non manca l’evidenza dii termini ben meno vaghi e, quasi in
ogni testo, l’insistenza su modi e luoghi dei vari convegni amorosi.
La
luminosità della figura maggiormente adattata alla vita si staglia a tutto
tondo, come una sorta di Primavera botticelliana, su uno sfondo estetizzante
vagamente preraffaellita: sembra suggerirlo la stessa struttura del libro, che
chiude Mirta – cioè i non molti componimenti a lei dedicati – nel copioso album
fotografico intestato ad Alessia. Ci aspettiamo un seguito della storia e
possiamo azzardare qualche ipotesi, se non di contenuto, almeno di atmosfera: la
vita che prosegue dopo lutti e dolori, all’inevitabile prezzo di veder
tramontare il fiore della giovinezza, spegnersi la fiamma della passione: in
altre parole, la «solita storia» verghiana, quand’anche i protagonisti non
fossero più gli stessi.
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Recensione |
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