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Del
sognato
La parola di Raffaele Piazza ha acquisito la grande capacità – frutto di
un lavorìo artigianale che ha affinato il talento naturale – di rendere visibili
le emozioni. Non soltanto consegnandole alla pagina nella purezza della loro
essenza ma soprattutto definendole con leggera precisione fin dal loro nascere,
seguendole nella curva dell’esistenza negli esseri umani, cogliendole al
tramonto delle disillusioni. È un poeta che ha assunto il linguaggio lirico
come categoria interpretativa della realtà, trasferendo il suo mondo nei versi e
indicandoli così come l’autentico luogo della vita: il nome che egli dà alle
cose diventa la cosa stessa.
La raccolta Del sognato appare l’approdo di un percorso avviato nel 1993
con “Luoghi visibili” e poi proseguito nel 1994 con “La sete della favola” e
nel 1998 con “Sul bordo della rosa”, titoli che hanno fatto di Piazza una delle
figure più interessanti della scena letteraria non soltanto napoletana. Del
sognato si compone di due parti: “Mediterranea” e appunto “Del sognato”. A
un’osservazione esterna, su un paesaggio naturale che spazia da Capri a Napoli
alla ricerca di rotte domestiche a cui affidare i messaggi dall’esilio, segue
una sezione caratterizzato da uno sguardo più intimo che segue una sorta di
educazione sentimentale di Alessia, archetipo femminile di una giovinezza
rivissuta attraverso i suoi bronci, le mutandine nere intraviste, gli
appuntamenti d’amore al Virgiliano, le passeggiate, la sensualità del ricordo,
la constatazione del male del mondo. Raffaele Piazza compone per lei un
canzoniere postmoderno, tra l’invadente internet e il suo corpo nudo che si
mostra come estrema epifania di bellezza: è un profilo che si anima in un
orizzonte sognato, balena nella nebbia della memoria o forse non c’è mai stata.
È il mito della giovinezza, come sottolinea Fantato, che riempie il vuoto dei
giorni e li rende sopportabili: una passione sfuggita che attraverso le parole
di Raffaele Piazza si concreta e si fa visibile. È un’assenza dolente, qui
compagna di un viaggio che prosegue.
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Recensione |
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