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Le cose del mondoCon il suo nuovo libro, Le cose del mondo, edito da Mondadori nella collezione Lo Specchio, Paolo Ruffilli ci offre un percorso poetico iniziato negli ultimi anni settanta ma “rimasto sempre vivo”, come afferma nella nota introduttiva. Pur suddiviso in sei sezioni, l’esito è quello di un discorso unitario che s’ intreccia in varie articolazioni. Il primo capitolo “Nell’atto di partire” denota l’approccio di Ruffilli con i continui spostamenti legati alla sua attività. All’interno della concretezza del viaggio vi sono continue metafore che scavano nell’animo. Ruffilli presenta ciò che accade nel quotidiano andare e venire, con incontri possibili ma lasciati andare, il timore di non sentire la sveglia e di perdere il treno, il desiderio di restare a casa: “E, poi, in procinto di partire: / il vuoto di ragioni, i futili motivi / di ogni viaggio. Il dubbio e…/ il desiderio di restare a casa.”
Il soggetto principale è il treno, che rappresenta pure un mezzo per allontanarsi da tutto e non pensare al grande vuoto che c’è in noi. La coscienza, come il treno, è sempre in movimento e scende nella disperazione per poi risalire e trovare di nuovo la forza di andare avanti. Nella seconda sezione, Morale della favola, Ruffilli si rivolge alla figlia evidenziando il difficile rapporto che s’ instaura con la crescita. Si rilevano emozioni, dubbi, paure, che si riversano sulle azioni del padre seguendo una logica parziale. All’occhio acuto del padre non sfugge nulla. Si accorge anche della falsità messa in atto dalla figlia per il proprio tornaconto, ma non può sottrarsi al coinvolgimento emotivo: “E’ il ponte incerto che mi hai gettato incontro / per superare il vuoto. Mi sporgo, sorpreso e / sbilanciato, ci casco dentro e nuoto.”. Si rende conto che la figlia si allontana per il bisogno di stare con in coetanei, che si riveste di rabbia per superare le proprie contraddizioni, che ha bisogno di sperimentare la vita anche se ciò comporta solo malessere: “Meglio incitarti allora, nell’impresa / anche se ci sbatti contro di continuo / e, a rompersi, è la tua di testa / nel bel mezzo della corsa e della festa.”. Tuttavia, vi sono momenti in cui il bisogno d’amore supera ogni altro problema e sente bisogno di conforto e protezione: “Ma, tu, papà, mi ami?”. Controllando il percorso della figlia, Ruffilli si apre a considerazioni esistenziali, rapportate anche al tempo della sua giovinezza, ed arriva il momento in cui si rende conto del suo importante ruolo: “A un tratto l’ho capito in modo inaspettato / che non sarei più stato, io, il figlio / principe di un regno pressoché assoluto / avuto in pegno eterno da mia madre / e che ero diventato sostegno e protezione, / io, tuo padre, portato ormai a fare da misura / e segno, perfino, a te di direzione...”. Con il capitolo La notte bianca, Ruffilli s’immerge in riflessioni filosofiche evidenziando i vari ostacoli dell’esistenza. Ognuno di noi porta il suo carico e si protende in avanti alla ricerca di possedere qualcosa: “Ha la natura umana una tendenza: / l’irresistibile bisogno di levarsi / puntando in alto e distaccandosi / dal suolo per riprendere possesso / di qualcosa che le sia stato tolto,...”. Nella vita s’intrecciano gioie e dolori, cadute e risalite, amori e disamori. E’ una trama in cui si è presi nostro malgrado e per cercare di uscirne talvolta ci si rifugia nel sogno, nella ricerca del piacere, nella proiezione di pensieri positivi. E’ una continua lotta per evolvere la nostra coscienza e rinforzarsi di fronte alle tante difficoltà. In questo modo, superando le tante vicissitudini, Ruffilli si accorge di aver acquisito una certa maturità: “...al buio senza previsione e senza meta / diventato con sorpresa (strana, mi dico, / la mia sorte) via via più forte per la vita /avanzando e avvicinandomi alla morte.”. Il dettato di questa sezione coinvolge appieno per la pregnanza e la trattazione del contenuto. Il quarto capitolo dà il titolo al libro, Le cose del mondo. Qui Ruffilli si rivolge alle cose materiali, in antitesi al capitolo precedente, ed espone il valore estrinseco / intrinseco degli oggetti, compresi quelli che rimangono dopo la morte di una persona . A questi oggetti va comunque legato un sentimento specifico, poiché rappresentano e portano in sé l’energia dell’essenza vitale. Appare per esempio “L’anello”, quale suggello di un’unione: “Imperioso ed ostinato nel suo stare muto / attorno al dito, il segno lucido dell’oro, / involuto nel riposo: magnetico potere / di suggello, la forza di catena dell’anello.”. Seguono molti altri oggetti di uso comune, dei quali di solito non si dà molta importanza ma all’occhio e al sentire di un poeta dicono tanto di più poiché sa penetrare nelle cose facendo emergere un significato agli altri sconosciuto. Ruffilli ha ben pensato di scegliere questa sezione per il titolo del libro. Infatti, proprio per la tematica contenuta, si riconosce appieno il suo talento e la sua sensibilità. E’ da pochi disquisire su una cartella, un diario, un bicchiere, un armadio, un tacco, ecc.; invece, egli è riuscito a produrre dei versi altamente poetici e ricchi di sfumature. In Atlante anatomico l’attenzione di Ruffilli si posa sull’essere umano e con uguale perizia scava nelle parti anatomiche, come le ascelle, la bocca, il collo, ecc. Praticamente, tutte le parti del corpo. Anche qui espone una tematica insolita e riesce a creare un alto livello poetico, ricco di intuizioni e di una certa ironia, come nella lirica “Il cervello”: “Bruciarselo o farselo saltare / malato o non del tutto a posto / dato di volta, avendolo trovato / ormai nei piedi o alle calcagna / fritto o lambiccato, ridotto a quello di formica, di grillo, di gallina,...”. Ogni parte del nostro corpo alimenta la nostra curiosità e quando lo sguardo si sofferma in certi particolari, si accende quel desiderio tanto importante per i contatti umani e l’amore stesso. Nell’ultima sezione, Lingua di fuoco, il poeta entra nel mondo della parola. Tale astrazione ha da sempre generato e continua a generare il seme stesso della vita: “Ecco che di colpo riesco a dare / corpo all’ombra, si stacca la parola, / dal groviglio e dà forma al fantasma / figlio del sogno che si sveglia / e respira il respiro della vita...”. La parola è figlia del pensiero e senza di essa tutto assumerebbe una forma statica, non ci sarebbero emozioni, scambi di idee, approcci romantici o liti furibonde, ecc. Il pensiero è figlio dell’anima, che dà vita al corpo, cosicché il suo valore e precipuo. Già è rilevante l’imbarazzo che si ha di fronte a chi parla un’altra lingua. Ma è dal silenzio che può nascere la parola più significativa, quel silenzio che ci induce a scavare nella nostra essenza. Per finire, Ruffilli si pone degli interrogativi. Fra questi la possibilità che la nostra realtà sia solo un’illusione: “Oltre l’inganno / è l’apparenza / oltre la figura riconoscibile / sagoma del mondo,...”, ben sapendo che a tante domande non avrà mai una risposta. La struttura dei versi, pur assumendo un andamento più ampio rispetto ad altri suoi lavori, è sempre arricchita da quella incessante musicalità che distingue Ruffilli e lo fa riconoscere già dal primo impatto. Con questo nuovo, importante volume, Ruffilli conferma il suo talento e si annovera senza dubbio tra i nomi più importanti dell’ambiente poetico. |
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