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Affari di cuore
Affari di
cuore è l’impietosa indagine di un tracciato cardiaco, un “corpo a corpo”
delle emozioni che passano attraverso la carne e a cui, un poeta che possa
definirsi tale, non può sottrarsi. Ruffilli lo fa e nel migliore dei modi,
solcando il tracciato di un’inesorabile e convincente analisi che coinvolge
profondamente nel sedimento che resta. Lo spunto nasce da una puntuale ed
inflessibile esplorazione della fenomenologia amorosa, ma va ben oltre ed è, a
tutti gli effetti, capacità di maturazione tanto letteraria quanto sentimentale.
Affari di cuore è, infatti, un punto di alta levatura poetica, coraggioso
e raffinato nel suo farsi sigillo di crescita interiore attraverso l’esperienza.
Leggerlo è delizia nel supplizio, diretta percezione del giardino in versi tra
spinosi rovi di rose nella rugiada ancora imbevuti. Se ne esce comunque fioriti,
vividi nel cuore, nonostante tutto, perché è l’amore a uscirne risolto,
compiuto, sia pure in una forma di approccio strettamente laica e poco incline
ad un’interazione spirituale se non nel piano più panteistico dello stesso
fenomeno anatomizzato. Se è “per amore” che stiamo parlando quel che ne emerge è
un altalenate squilibrio che, fin dai primi versi, addita risvolti carnali
piuttosto che un amore accertato. Quelli di un amore di fondo incompiuto e
controproducente, epilogo di una vicenda già scandito a partire dall’incipit. Se
sui sensi, che riportano a un “retaggio | cannibalesco, | quello di mangiarsi”, si
apre la storia amorosa del Ruffilli, è per indurre a una ben più profonda
osservazione su quelle che sono le stesse conseguenze dell’amore.
Un “amore” che
poi “impedisce | di dormire”, “toglie l’appetito”, così come scandisce la prima
anamnesi riportata in versi. “Sto sulla traccia | del tuo fantasma | e,
nell’assenza, | vivo amplificato” sono i primi segni di consapevolezza seminati
nel dolore che, a tutti gli effetti, da qui prende coraggio ad esporsi, avviando
un ineluttabile processo di metabolizzazione proprio di chi ha capacità
intellettuali sulla sfera emotiva. Il qualcosa che già demarca la differenza e
che va oltre una mera strumentalizzazione dell’amore finalizzata ad uso e
consumo dell’altro, avvia, quindi, il suo corso. Ruffilli non indugia e si
contrappone “beato” (“restando | a cuocermi nel forno”) al cinismo dissociato di
chi lascia “il vuoto | senza una risposta”; poiché “è l’amore
| la sola chiave | che
aprendo i cuori | dilata i pori | e le fessure” interponendo, tra cotanta
sensualità, quell’unicum che è anima e corpo, mentre il silenzio, lo spegnere il
sentire è la condanna eterna che permane. L’autore, dunque, vive e fino in fondo
il dilaniarsi di un corpo che s’identifica con l’anima: “è come se
| mi avessero
strappato | una parte di me | e senza più una gamba | o un occhio | o un braccio
| avanzo
nella nebbia”. Una nebbia da cui già s’intravede la premessa di un futuro, unica
via accessibile per una resurrezione profetizzata a partire dal “dentro di te,
sono già morto”. E allora ecco l’ “amerò finalmente | solo per amare”, libero del
“tuo starmi sotto” e che “mi ha sedotto”, tipico delle dinamiche passive
amorose, le più pericolose, quelle che inchiodano alla “sacra | sindone del
letto”, ma anche quelle che, al contempo, sono le più rivelatrici. “Ho
cominciato | a amarti appena | mi hai lasciato”, “del suo arreso amore
| mi sono
innamorato” è, in questo senso, quanto meglio si esplicita lasciando adeguato
margine di contemplazione che, oltre la stessa poesia, è condizione di
introiezione ed evoluzione.
Un primo senso di distacco fuoriesce nel
“ti guardo | che mi guardi | ridendo”, mentre la presa di distanza è proiezione
della “frenesia | che avevi | tu di me | prima di saziarti”. Affari di cuore è
dunque porta d’accesso all’oltre dell’amore incompiuto e rincorso, configurando
più livelli che, sfiorandosi, delineano il mancato amore finalizzato ad altro.
Amare la persona sbagliata, la meno adeguata, andare contro il proprio istinto
riequilibrando poi il tutto nel moto dissociato sollevato diviene dunque
strumento di mutamenti e palingenesi dell’essere finalmente consapevole ed
elevato. Ruffilli ne traccia abilmente il percorso, fatto tanto di un continuum
tessuto attraverso una sensitiva percezione coniugata alla speculazione
razionale, quanto di un divenire proiettato ad incubare un futuro amore, il
germe di un qualcosa che, in realtà, ancora non c’è, ma già dà tutta la
dimensione di essere assai più grande nella stessa portata d’imponenti rovine
incombenti. Un’archeologia dell’anima dove la poesia già lascia intravedere quel
che, nei fatti, più che la descrizione di un solenne amore inesistente è viaggio
tra scavi in atto, “affari di cuore” quale premessa per un divenire. La traccia
di tutto questo è ben insita a partire dalla sezione delle Canzonette della
passione amara : “che io le piaccia | senza amore | è una ferita secca
| con
minimo dolore | nella mia vita | ma a tratti dilagante | ed infinita”. “Il massimo
| che
si poteva fare | io l’ho fatto”. “Dici di volere | solo la mia pelle
| e che a
tirarti | è la mia carne”, “di te, io prendo tutto: | anima e corpo”. Appare nitido
il distinguo fra il concedersi di un’amante adagiata in ambigua sorte (“la
verità è che | non ti piace | rinunciare | né a me né agli altri | compreso tuo marito
| e
ci pretendi | in proprietà | del tuo destino”) e la forza del poeta che ne divelta
zolle d’amore segnando un solco profondo: “ho cominciato | già a dimenticarti
| con
un’altra | che mi è piaciuta | e mi si è data | generosa | tutta quanta”, “l’ho
chiamata | con il tuo nome | e lei ridendo | mi ha detto | di sentirsi amata” e “allora
l’ho voluta | per davvero”. Un “davvero” che va oltre ogni frase di rito ed è di
già capace d’imprimere un’ipoteca di verità accertata sul futuro. Dal “mi ti
concedi a rate” stillato sull’altrui pazienza e sofferenza affiora infine
l’amore come esigenza non più contingente: “mio volere solo | l’assoluto”, “spinta
urgente | a resuscitare | da questo mio morire”, perché “con te ho sempre
perso | appena cominciato” e, “perdendo, mi sono ritrovato”.
Dalle porte sbattute
in faccia emerge puntuale una sconfitta che, se si è in grado di abbracciarla
con autentica dignità e ponderazione, è catarsi e apertura al ritrovarsi che
conduce alla verità ultima delle cose senza decadere in anestetiche forme di
nichilismo. “Sei tu che | mi hai cacciato | fingendo | di essere la preda
| e nel mio
prenderti | mi hai catturato”. “Sei tu | che mi hai voluto | e mi hai lasciato”,
“confessa | che nell’amare me | ami te stessa” sono inequivocabili sequenze che
schiodano infine i sensi di colpa abbandonandoli incustoditi sull’altra sponda.
“Sapevo tutto | già in partenza” è un riesumare, per ultimo, il primigenio
istinto, quel che spesso a una primo approccio rimane inascoltato. Chi ama,
dunque, “è coraggioso: | esce allo scoperto | in pieno giorno, | rinuncia alle
difese”, s’evolve quindi il cosiddetto “gioco amoroso” da “guerra di posizione”
in un sapere più consapevole e profondo, “riconsegnando al tatto | tutta la
sorpresa della vita”. Quel che è stato prende forma per quel che è: una tappa di
vita, necessario incidente di percorso, strumento per andare oltre. “Era
destino | che mi piacesse | un’arrivista | un po’ borghese”. Ora è finalmente chiaro
che “c’è chi trova | ogni volta ragioni | per ricominciare | e chi invece,
sospinto | vede a ogni svolta | tutto inutile | e uguale”. Ne consegue che ognuno
sceglie e sviluppa il proprio destino oppure lo sospende e demanda. L’amore è
parola che resta e talune frasi, talvolta, non a caso restano incise sulla
pietra resistendo a intemperie e millenni, come questo epigramma inciso su un
muro a Pompei: "Quisquis amat valeat. | Pereat qui nescit amare, | bis tanto pereat
quisquis amare vetat" ("Stia bene chiunque ami, | muoia chi non è capace di
amare, | due volte muoia chi vieta d'amare"). Non è pertanto una semplice
coincidenza che l’ultima sezione di questa raccolta sia quella del “mercato
dell’amor perduto”. “Così mi è stato chiaro | finalmente | che anche di più
| ho
amato | proprio chi amando | ha rinunciato” è la riflessione postuma sull’amor
perdente e mai perduto, quello che ci insegna l’amore vero e ultimo nella
tangibile prova di chi, finalmente, all’amore e al suo trionfo è pronto.
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Recensione |
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