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Fragori di rotte, por donde “lo fugitivo permanece y dura”, che aprono
con Quevedo lasciando
intravedere quel concettismo volto al visionario e all’ascetico dal quale,
l’autrice, non può sentirsi estranea essendo, oltretutto, ispanista e
traduttrice.
Plumbeo è il planare del gabbiano e pure il sottostante asfalto
d’aprile, mentre con l’estate “s’addentra alle stoppie il sole
| e mulinelli di
polvere | gorgano zolle mute di pioggia”. Altrove ci si abbandona nel “cerchio del
tempo”, rapiti “fra brandelli di
suoni | trapunti d’eterno”. Un buon
impianto poetico quello di Angela Ambrosini, vincitrice del Premio Scriveredonna
2007, che si delinea nello scandire d’immagini sul substrato di stagioni
interiori proiettate in altrettanti luoghi. Ristagnano
“dalla larva | del tempo i nostri sorrisi | dell’età breve” in una vita che è
“arbitro ostinato | che noi tutti divora”. Di nuovo inverno: “grinze
sottili con acuti | rovi sulle pagine degli anni”, giorni che scorrono “uno dopo
l’altro”, “migrano | impigliando relitti di speranza | nell’ordito del cielo”.
Man mano si colgono squarci di un quotidiano e
relativi affetti che si dilatano verso una religiosità dei sensi espletati nella
poesia, nell’incedere dedicatorio che demarca trame di storia attraverso
il “dolente profugo” da “la dalmata sponda”. Quasi marzo tinteggia la
campagna Toscana, mentre lo spleen “crepita | il grigio | d’un
giorno | assente” preannunciando l’essenzialità del verso in forma di haiku posta
a sigillo della silloge.
Evocazione al sogno e con esso all’essere comune
essenza/assenza (“sogna di noi | dall’alto abisso del tempo | che ci divide,
| che ci
accomuna”, “sogna di noi | mentre qui sogniamo di te”) è quanto s’innesca dinanzi
la tomba del tuffatore a Paestum, condizione che si rinnova testimoniandosi nel
tempo ed “ognuno varca, | fratello”. Verso Santiago de Compostela si compie
il pellegrinaggio, viaggio letterale e metaforico per un approdo ad altra sponda
aggirando “l’empio oltraggio di chi incauto crede | a vaghe lusinghe di gioie
alterne”. Con otras palabras si titola l’appendice al testo con due
poesie bilingue per una “abrasada tierra apedreada”, che è pure “adusta terra
lapidata”, in un comune sentire che si dissocia in diverse forme e culture
trovando identità in una ponderata ricerca di stilemi che spaziano da
classicismi a un rarefatto gusto postmoderno.
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Recensione |
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