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Il canto stonato della Sirena
Napoli on the Road.com
Il canto stonato della Sirena di Monica Florio è
una raccolta di racconti di una città smarrita con storie di “vittime di un
destino in apparenza già segnato” presentata da Giovanna Mozzillo. Appaiono
subito come dei corti d’autore. Lo stile è di una giornalista con una piccola
telecamera. La Florio entra timidamente in punta di piedi in alcune case e
nascosta dietro una tenda o una persiana napoletana osserva ascolta filma scrive
e fantastica. E’ la Monica che molti conoscono e che incontrano negli eventi
culturali da Lei organizzati. E’ presente ma non appare. Timidi sorrisi agli
amici e poi muta scruta e studia gli umori del pubblico presente. Gli emarginati
sono i suoi protagonisti. E come Caravaggio li nobilita o come De Sica nel film
“L’oro di Napoli”.
La nostra città è un luogo di contraddizioni “un diamante
grezzo che solo un intenditore può apprezzare” ma è anche fonte di pregevoli e
uniche ispirazioni se si pensa: “le sette opere di Misericordia”, il pensiero di
Vico, il teatro di Viviani, il “Decamerone”, “La ginestra, o il fiore del
deserto”, il fervore creativo di Matilde Serao, ecc.
Sulle scene appaiono
disadattati, omosessuali, cinici, salottieri, tutti sono componenti della “Corte
dei Miracoli” sempre presente nella storia della città o coristi stonati,
oppure, causticamente, del controcanto ai quali la Monica, sorprendente ironica,
regala soluzioni illusorie con humor. “Eroe per un giorno”, “Come anime
gemelle”, “Round finale” sono tra alcune letture scritte come giochi di un
abile prestigiatore che nel finale sorprende lasciando gioiosamente stupito lo
spettatore. Ma non solo. Raul, Michele, Donna Bettina, Batman, sono personaggi
che ricordano la comicità di Totò dalla quale traspare spesso un dotto
avvertimento a non prendere sul serio “un burattino mosso da fili invisibili”
che si attira in modo grossolano simpatie ed applausi in Tv e nei tanti noiosi
salotti letterari gestiti da docenti in pensione.
Ritratto di un escluso: “A
spettacolo concluso, i commenti entusiastici della gente mi insinuavano il
dubbio di essere stato il solo a non apprezzarlo e, perplesso, guardavo la calca
circondare l’attore (poeta o cantante) per complimentarsi con lui e stringergli
calorosamente la mano. Infastidito, rimanevo seduto al mio posto.” “Ultimo”
ricorda l’amarezza del Principe in “Ricunuscenza” e il sarcasmo di Ferdinando
Russo in “’O Pupazzo”. “In una città che colava a picco” si svolge “Uno solo”
tra carcasse di cani, strade deserte, temperature torride. Luca, Gius,
Matteo,“un tipo tarchiato”,“l’avvizzito proprietario”,“un anziano imbacuccato”e
un Beagle si aggirano “senza una lira e, per giunta con la pancia vuota” tra le
vie del Vomero disabitate e colme di rifiuti. Sono pagine intensamente
drammatiche. La solitudine degli emarginati in una città governata da alcuni
incapaci. “L’intrusa” giace sul marciapiede travolta da un’auto che ha
proseguito la corsa e suscita “il chiacchiericcio delle persone perbene”
sconvolte che una “fuori di testa” girasse indisturbata tra loro nel loro
ambiente signorile. Il dottor Anzalone, Antonietta, Lina, Antonio e Carminiello
in “Una strana famiglia” danno vita ad una vivace commedia scarpettiana. Mentre
Franco, Manuela, Lucilla ed Harry, il miglior amico del protagonista senza nome
sono attori di un’opera pirandelliana in “Innocenti evasioni”. Non mancano
ritratti di mamme: Teresinella, Piera, Fausta, e la mamma di Lisa. Diverse tra
loro ma tutte confuse apprensive invadenti egoiste. In “Seduzione a passo di
danza” e in “Angeli della notte” zitelle deluse cercano l’ultima occasione di
abbandonare la solitudine per amare o essere amate. Il sesso semipiccante tra
non giovani amiche vede Tania con “look da eterna ragazza”, Livia “una single
incallita”, Loredana, “universitaria di vecchia data”, Teresa amante del cinema
americano, Patrizia e una ninfetta quasi diciottenne. “Il segreto” si tinge di
giallo. Chi ha scritto “un insulto alla docente di latino”? Forse la Gifuni, la
più brava della classe? Apparentemente autobiografico sembra “Fantasia di un
incontro” in cui viene ricordato Marco, intellettuale, “l’amico che aveva
rivestito spesso i panni del genitore severo, ma affettuoso”. E’ colui che
insegna il mestiere della scrittura “una pratica che bisogna coltivare con una
certa assiduità, altrimenti si corre il rischio di passare per uno dei tanti
imbrattacarte da non prendere troppo sul serio”e a diffidare degli avvoltoi
privi di talento.
La Mozzillo scrive “una prosa netta e stringata alla
concretezza delle persone” senza esacerbare lo strazio. La professionalità
emerge in “Tutto su Cora” e in “Le ragioni di un mito”: tacere le verità che
possono arrecare danni, sviluppare le indagini, essere sordi alle false
promesse, non stupirsi dei furti letterari non denunciati. Florio in ogni
racconto cita i luoghi, le vie, le piazze del suo Vomero “Sempre caro mi fu
quest’ermo colle” e nel narrare l’inquieta solitudine dell’umana gente si ode
“Così tra questa immensità s’annega il pensier mio”. La cultura accentua la
sensibilità. Monica non ascolta l’invito “Non ragioniam di lor, ma guarda e
passa”. Si sofferma su Milla “alla mercè della generosità altrui”. Longilinea
come una indossatrice, anni forse venti, occhi verdemare cupo al tramonto,
capelli biondo miele acacie intrecciati su un minuto viso, gestualità ritmica da
ex ballerina, muta si muove come un mimo. Modella per l’Angelo in
un’Annunciazione del Merisi o per un ritratto di donna inchiodata ad un sogno da
Modigliani.
La Fortuna è bendata ma la Sfortuna è terribilmente invidiosa
accanendosi contro i deboli guardandoli fisso negli occhi. In copertina “Estetis”,
opera pittorica di Corrado De Benedictis. Nudo di donna dalla pelle bianco
specchio. Sembra, ma non lo è, Monica in posa che riflette quell’umanità ombra
che respira silenziosa intorno a noi senza chiederci aiuto.
5.5.2012
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Recensione |
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