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Un'altra vita

Eros e logos

Dopo Preparativi per la partenza (2003) con le sue vicende insolite, il nuovo lavoro narrativo di Paolo Ruffilli è una raccolta di venti racconti dal titolo emblematico Un’altra vita (Fazi ed., Roma, 2010). Sono cinque storie (ciascuna in otto brevi capitoli) per ogni stagione, che iniziano, tra momenti d’inquietudine e paura, con il pathos dell’estate e terminano con una sorta di rinnovamento primaverile, di rinascita della speranza, di fiducia in qualcuno e qualcosa.

Ispirandosi, per ciascun racconto (da “La locanda irlandese” fino a “L’inverno dell’amore”) ad un autore contemporaneo che egli ricorda in chiusura (con atmosfere, parole ed espressioni particolari che richiamano lo scrittore omaggiato), il Nostro riesce a dar vita, mediante un efficace gioco letterario, a personaggi vivi e differenti.

È l’amore il fil rouge che l’autore segue attentamente e che diventa qui il sentimento predominante, capace di offrire la speranza contro l’angoscia, la pace contro i turbamenti, la gioia contro la noia, la comunione contro la solitudine, l’evasione (di breve durata) contro la monotonia, la ripetitività (come in “ Per sempre”). È quindi un sentimento che, come ricorda Emily Dickinson, consiste in un tutto che coinvolge e travolge i protagonisti, che diventano così insieme tutto.

Si tratta di un amore policromo (fatto di affetto, amicizia, gelosia, devozione ecc.) che fa convivere quasi romanticamente le delizie dello spirito con quelle della carne, come già nel primo racconto della sezione “Estate”, ambientato in una locanda irlandese ( qui una propagandista religiosa seduce dapprima il protagonista nella sua stanza e poi, pentita dell’atto peccaminoso, corre via con negli occhi “ la gioia più profonda”) o nel primo della sezione “Autunno”, intitolato “ La passione delle idee”, che rappresenta l’amore come sentimento e al tempo stesso emozione (godimento, piacere) oppure in “L’odore del sambuco”, fondato su una relazione capace di coinvolgere tutto l’essere, ossia l’anima e il corpo.

L’amore, pertanto, spinge l’uno verso l’altra e viceversa, con la disponibilità ad annullarsi per riempirsi, nuovamente, di autentici sentimenti. Inoltre, nelle prime due stagioni (estate ed autunno), le emozioni (ansia, tristezza, piacere, gioia ecc. ) sembrano prevalere sul sentimento (oltre all’amore, anche la fiducia, l’amicizia, l’ammirazione, ecc.), mentre nelle altre due (inverno e primavera) è, invece, il sentimento a predominare.

In questi racconti, che sono ambientati in luoghi disparati, nonché in tempi diversi, l’autore riesce a conciliare, a far convivere bellezza e verità, finzione e realtà, tradizione ed innovazione , eros e logos, fino alla decantazione della passione originaria (talvolta impossibile, come in “Assente il corpo”) in un sentimento più maturo, razionale. Non sono storie superficiali né banali, in quanto il Nostro preferisce scendere nei meandri del cuore e della psiche dei personaggi rappresentati, di cui egli sa indagare la dualità, cioè la parte visibile o esteriore e quella nascosta, segreta o interiore. Il viaggio di Ruffilli segue, infatti, un itinerario originale, in un universo femminile più insolito e interessante di quello maschile, forse perché le figure femminili sembrano essere più vicine alla natura e alla vita (vedi, ad esempio, “E c’erano donne che avevano un destino duro: amare quando non amavano e, amando, invece disamate”, in “ L’inverno dell’amore”). I personaggi maschili appaiono, per contro, più fragili e più sensibili.

I protagonisti delle diverse storie sono figure anonime che, appartenenti al ceto borghese, alla classe media (forse ognuno di noi, riflesso, però, in specchi differenti), si staccano dagli originari legami per frustrazione matrimoniale e formano altre coppie, dando così un senso alla loro esistenza buia e vuota, per insoddisfazione del partner o di se stessi. Le nuove coppie sono il frutto del tarlo della noia che abita dentro gli inquieti, gli scontenti, i quali, non trovando più alcuno stimolo con le persone con cui vivono abitualmente, diventano estranei e con decisione cambiano. Non ci troviamo quindi davanti ad una vita doppia, ma ad “ un’altra vita”, come titola lo stesso autore.

In tal modo i desideri, le emozioni, le trepidazioni dell’uno diventano anche quelli dell’altra, condividendo tutto. Ci si guarda, ci si sfiora , ci si incrocia, per dirla con Dario Fo, come pali storti che, con la loro unione, riescono a vincere ogni incertezza e dolore, rimuovendo ostacoli e paure per realizzare finalmente se stessi.

La vita umana, in questi racconti, appare chiusa in uno spazio di tempo che scorre veloce, facendo fuggire i giorni migliori. I personaggi raffigurati vogliono appropriarsi del tempo, vivendo liberi, senza falsità o compromessi, cercando un’unificazione interiore tra ciò che vivono e ciò che sono. Come ben dice Georges Perec, vivere diventa così passare da uno spazio all’altro e anche da un’esistenza ad un’altra, con basi più ampie e solide, nonché ulteriori possibilità e frammenti di serenità. Il Tempo è perciò come un amico, quasi un complice, un compagno di pochi momenti gioiosi.

Nei racconti lo spazio temporale viene scandito soprattutto dal passato (imperfetto, in maniera particolare, pregno di mistero e di vaghezza), tranne nel monologo”Assente il corpo”.L’inserimento del presente serve per accelerare il ritmo narrativo, mentre il futuro, pur con i suoi dubbi, fa volgere tuttavia i protagonisti alla speranza di altro e di meglio, con affinità, nella loro esistenza, più con le dimensioni orizzontali che con quelle verticali.

C’è, poi, nel libro una duplice attesa: quella paziente della natura, col suo linguaggio (“fatto di colori, di suoni e di sapori”) cangiante a seconda delle stagioni, e quella irrequieta, spesso passionale, dei protagonisti, che riescono più a ricercare che a trovare.

Equilibrato appare il rapporto tra interni (ambienti domestici, teatrali, locande ecc.) con le loro ombre ed esterni (ambienti rurali ed urbani, che talvolta partecipano alle vicende narrate in un tutt’uno efficace con l’animo dei vari personaggi, i quali, altre volte, sembrano influenzati dal paesaggio), con i loro colori e le loro luci. Tutto ciò, in una sostanziale credibilità delle atmosfere, dei luoghi e dei paesaggi descritti.

Un’altra vita è inoltre un libro fondato sulla semplicità e fluidità del linguaggio, intessuto talora da un proverbio (ad esempio “Si è cotto il giorno dentro il forno” in “Se soffia lo scirocco”, a p. 43), nonché su uno stile nitido e non privo d’ironia, con dialoghi scabri, periodi brevi e concisi per velocizzare il ritmo dei racconti, dettagli essenziali e un certo afflato poetico e musicale (vedi, ad esempio, “Fiumi di luce ardente il sole aveva riversato sulla piana,” sempre a p. 43; oppure ”passeranno i giorni grigi del cielo e del mio cuore”, a p. 49).

Le vicende quotidiane sono narrate generalmente in terza persona singolare e a volte plurale, con incursioni altresì nella prima (soprattutto “Assente il corpo”) e nella seconda singolare (“L’odore del sambuco” e altri racconti).

Un’altra vita è, dunque, un libro profondo e coinvolgente, che merita numerosi lettori attenti.

Recensione
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