Presentazione a
Il realismo della luce
di Giovanni Sato
la
Scheda del
libro

Maria Beatrice Rigobello Autizi
La fotografia, molto spesso, insegna a vedere e l’immagine,
fissata in un istante, si trasforma in una sorta di rivelazione.
Il libro di Giovanni Sato, Il realismo della luce.
Poesie, realizzato in collaborazione con il Fotoclub Padova, sollecita
passaggi emotivi dalla immagine alla parola e viceversa.
Trenta fotografi del Fotoclub Padova hanno donato a
Giovanni Sato una loro fotografia, che il poeta-fotografo ha tradotto in poesia.
Lo sguardo dell’obiettivo vuol essere un frammento
del mondo tradotto in poesia, che a sua volta si trasforma in frammento di
emozione per Sato. Il libro diventa così una raccolta molto variegata di
sentimenti e suggestioni.
C’è un’analogia tra il poeta che prova emozione e scrive e
il fotografo che pensa mentre scatta, trasformando ogni sua immagine in
pensiero.
L’incontro tra la fotografia e la poesia determina una
dichiarata tentazione. Leggere prima la fotografia o leggere prima la poesia?
Partire dal motivo ispiratore o dal risultato ispirato?
Ci si può muovere in un senso o nell’altro, viaggiare in
una direzione o nell’altra passando attraverso sensibilità diverse.
Henry Cartier-Bresson sosteneva che Fotografare è
trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono
davanti alla realtà che fugge : in quell’istante la cattura dell’immagine
si rivela un grande piacere fisico e intellettuale. Fotografare è mettere sulla
stessa linea di mira la testa, l’occhio e il cuore.
Partendo da Cartier-Bresson ogni fotografia pubblicata nel
libro di Sato è un viaggio nella realtà di chi l’ha scattata, che non di rado va
al di là della tecnica stessa, punto d’incontro di oggettività e soggettività,
di codificazione e decodificazione.
Trenta fotografie estremamente diverse tra loro, che
spaziano dal paesaggio all’uomo, passando attraverso luoghi della vita e della
natura, attimi in cui un movimento si ferma con istantaneità o immagini in cui
tutto è statico, immobile, particolari che si avvicinano o orizzonti che si
allontanano.
Fotografie prevalentemente a colori, più raramente in
bianco e nero, che raccontano una loro storia, che poi Giovanni Sato
trasforma in poesia.
Ci sono fotografie emblematiche, come Il ponte di
Maria Luisa Liviero, Il mio volto è qui di Ornella Francou e Il sogno
di Francesco Munaro, in cui la realtà crea suggestioni simboliche e
trasporta la realtà in una dimensione surreale; scatti in cui l’elaborazione
tecnica sulla fotografia iniziale permette di attingere a una dimensione poetica
come in Alba di Gianluca Scordo, Venezia di Alessandro Bevilacqua,
Visione di Mauro Baldo e L’inganno dei sensi di Giovanni Battista
Sandonà.
La natura e il paesaggio si rivelano attraverso una
identità intimistica e più o meno dichiaratamente romantica nel bianco e nero
Inverno di Alessandro Pediti, Marea di Enrico Vettore, Barca e
riflessi di Leopoldo Noventa, Montagne di Guglielmo Rigato, o negli
scatti a colori Il bosco di Ruggero Cherubini, Attesa di Maria
Novello, Terra e mare di Andrea Levorato.
Ci sono, nel libro di Sato, immagini che evocano viaggi e
lontananze, come Un treno per Marghera di Massimo Maggiolo o che invitano
a perdersi nella natura come La strada e il fosso di Massimo Norbiato o
Il bosco di Mattia Smania o a giocare con gli occhi della fantasia come
La luce di Lamberto Ferro.
E poi i personaggi reali e ravvicinati, con i loro
sentimenti o identità, come Chiamami o Call me di Emanuele Salvagno,
Ragazzo dipinto di blu di Francesco Carmignoto, Un fiore fra i denti
di Mario Sguotti o personaggi che, nella loro solitudine o identità apparente,
diventano eroi di strada come il Musicista di strada di Roberta Lotto,
Mangiafuoco di Nicola Verardo, Il Mimo di Pietro Genesini.
Talvolta il particolare si avvicina per svelare la propria
presenza cromatica, come il Germoglio di Roberto Cestaro o Tulipani
di Enrico Massa, o per accentuare la plastica identità della forma, come la
fotografia in bianco e nero Piedi di Denise Muraro. In Mare di notte
di Mario Dal Molin e ne La pioggia di Rossella Padovani, invece, la forma
si smaterializza nel movimento e tutto si confonde in una suggestione di stampo
impressionistico.
C’è una fotografia, poi, I bimbi e il gabbiano di
Guido Desidera, che è una sintesi di vicinanza e lontananza, di sogno e realtà,
di personaggi e natura. Due ragazzi in riva al mare, in Marocco, che seguono il
volo di un gabbiano.
Giovanni Sato entra nell’immagine con le sue parole:
Ho sempre sognato di volare
Ed ora che sono diventato
un gabbiano dalle grandi
ali bianche i bimbi sorridono
di gioia a vedermi mentre il vento
mi porta tra correnti e scivolo
nel sogno che qui mi ha portato.
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