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Le verità nascoste

Raccontare quello che non si vede del tutto, che non si ‘legge’ al primo incontro per doppiarne le dinamiche più profonde, e sdoppiarne le catastrofi di superficie. Ogni storia ‘dal male’ attiva una luce di relazione nei racconti incandescenti di Wilma Minotti Cerini:’Le verità nascoste’. E questo perché il male non è una distanza siderale da temere ma una sostanza dell’esistenza che una volta raccontata con il linguaggio dello svelamento, inteso come pienezza della rivelazione, quasi innesca il suo contrario, una forma di bene del ricordo, ad esempio sulla ingiustizia del ‘dato’ presente. Il nascosto è il punto di fuga di verità rimosse, defraudate, svilite.

Ogni personaggio che ‘soffre’ in questa sequenza di tagli, ferite, vuoti, sospensioni, sembra produrre, grazie a un linguaggio attraente davvero nel senso fisico di corpo/materia che calamita a sé la funzione primaria del racconto. Le figure sono stagliate in una lontananza apparente, una sgranatura dell’esistenza e della sua inalienabile calma forte. Quante possibilità di recupero di più vite in questi racconti che sembrano votati ad una pluralità di voci che si perdono e si ritrovano in nome di una ricerca: la verità nascosta, che è la vita dentro la vita, una sorta di nucleo fondante ma che si opacizza perché le precarietà umane si schiariscono lentamente e a volte i destini s’infrangono contro, come scrive Majakovskij ‘la vita circostante’.

Ma esiste , aldilà di una lingua confusa, straniante che allontana, un linguaggio ritrovato, che avvicina e che permette una serie di ‘ritorni’ dopo esilii dell’identità. I protagonisti de ‘Le verità nascoste’ si giocano estremità, punti di confine, apici, tra scoperte, riparazioni. Mi viene in mente ‘Si riparano bambole’ di Antonio Pizzuto, dove l’idea del ‘riparare’ che pare affondare nell’inutile tentativo di ‘sistemare’ la rottura, si rivela in realtà possibilità di ‘ammirare’ il rotto, il malfunzionamento delle esistenze per un lavoro profondo di riparazione che muove altre identità, altre scoperte che magari non somigliano più a quelle di partenza.

Nel racconto ‘Stonata per pianoforte’, ad esempio che comincia in un modo estremamente evocativo: ‘Si accorse subito che qualcosa non andava, ma attese di risentire il suono, se le note avessero nuovamente stonato significava che non si era sbagliata’. Proprio questa ‘stonatura’ forse rende emblematico il percorso dei personaggi che non può procedere linearmente perché si scontrerebbe con la fatalità e banalità del tempo ma comprende insenature, angoli, entrate forse da cui uscire e uscite da cui entrare, in una dinamica di relazioni e senso da restituire alle vite perdute.

Recensione
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