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Affari di cuore
Nella lettura di Affari di cuore di Paolo Ruffilli
non è possibile ignorare la plurivalenza assunta dal tema dell'esposizione. C'è
anzitutto una esposizione documentaria, che riporta – tenuto conto delle
limature stilistiche – le istantanee con cui sono lastricati i percorsi amorosi
in oggetto. La formula dell'amor de lonh, che contrappunta i momenti
dell'incontro e riempie le attese (tanto nella veglia: Intermittenza: “In
questi giorni | la mia vita | è diventata attesa: l'intermittenza | di vederti |
prima di
lontano | e poi via via | sempre più vicino”, quanto nel sonno: Sotto la
maglietta: “Quando sarò lontano | ti sognerò | e, sognandoti, | mi sforzerò
di non sognare”) non si riduce a un esercizio di poetica, essendo di fatto uno
degli strumenti più efficaci per l'analisi delle relazioni caratterizzate dalla
discontinuità; così nella sovrapposizione dei piani, ovvero nel passaggio dalla
teoria alla pratica, si ha una deformazione della logica (Addosso:
“Mentre la bacio | è te che bacio. | La bacio
solo | per baciarti. | Lo faccio proprio | per trovarti | perché mi sei
lontana”) che potenzia, per rovesciamento, il dispositivo retorico.
Ogni ricostruzione mnemonica, fabbricata per fare da palliativo, si rivela un
sostituto fantasmatico incapace di appagare le pulsioni emergenti (Nella
nebbia: '[...] mi fa sentire | la vita cosa vana | e
inutile fastidio | se mi stai | lontana”); due le soluzioni proposte:
seppellirle (nella figura della morte della memoria: Infiammazione:
“L'unico rimedio | è il tempo che, | passando, sfoca | e fa dimenticare.”, o in
quella della morte tout court: Tutta intera: “Rimasta catturata | tenuta
nelle spire
| di questo mio | amore nel desire, | nel mio restare solo | vivo di te | dentro
il tuo morire”) oppure reificarle: In mia assenza – “Voglio
| che in mia assenza | ti parlino | le cose |
che ti ho dato | e, se io non posso, | che restino con te | a raccolta | per
farti lì toccare | il vuoto | senza una risposta | che mi lasci | addosso, tu, |
e che io provo | senza sosta | del tutto inaspettato | dopo essere stato | così
con te | ogni volta.”
C'è poi una esposizione corporale, o anatomica. Il complesso del corpo – dei
corpi – subisce incursioni nei due sensi: a una tensione all'unità (che nel
canone erotico corrisponde di fatto alla forma di conoscenza che è la fusione:
La porta: “E nell'averti in me | è il ritrovarmi | intero | al centro |
senza che | mi costi, | nella coincidenza | degli opposti.”) risponde un istinto
di disgregazione, variamente declinato; ma che sia causato dal fuoco del furore
erotico (Incendio: “Non posso | farne a meno | dell'incendio | che si è
appiccato | e cerco nel mio letto | il tuo corpo | che giace abbandonato, |
metto la mano | che ti tocca | sul carbone ardente, | mi getto | sopra il fuoco
| che ti esplode addosso [...]”) o dal mangiamento reciproco (Fame: “Può
darsi | sia un retaggio | cannibalesco, | questo di mangiarsi | con gli occhi |
con le mani | la bocca e | tutto il resto”), il discorso ritorna inesorabilmente
a puntare verso l'organicità del sacro. In questo senso l'interferenza tra i
riferimenti alla combustione e il banchetto carnale assumerebbe una funzione
catartica, o rigenerante: Ti voglio – “Ti voglio | in tutta la tua carne
| aperta e morsa |
graffiata e stretta | per farne | l'alimento prepotente | la sola medicina | che
mi dà vigore | e risanando | detta, ordina | alla mente in corsa | di
abbandonarsi, | certa, alla divina | offerta consacrata | dell'amore | e alla
sua carneficina.”
Tuttavia il sacro, definendo ciò che è separato, trascina con sé la dimensione
dell'inaccessibile; non è un caso l'altissima frequenza del termine 'vuoto', che
si allinea per un verso con il tema della lontananza, per l'altro con quello
della clausura (il corpo in gabbia: Detenzione: “[...] Tenuta alla catena
| ti voglio mia, | fedele a me | in assoluta dipendenza”, e il corpo come
gabbia: Senza misura: “Mi ami al punto | di ingoiarmi, | di farmi
prigioniero | in uno stato | da me presunto | beato per intero [...]”, fino alla
loro intercambiabilità: In posa: “[...] per me è dolore | che ti
dimentichi | del contenuto | per il contenitore”). Le conclusioni praticabili
danno luogo ad una antinomia; così in Finalmente: “[...] sollevato dal
provare | il mio piacere | tutto in levare | amerò finalmente | solo per
amare”, e così invece in Intanto: “Anche se, alla fine, | il mondo vince
sempre | tutte le partite”.
Infine c'è una esposizione retorica, o dispositio, che trasla l'occasione sul
piano letterario. La spia più evidente è, come precedentemente accennato, la
presenza di tecniche stilistiche lontane
dalla spontaneità diaristica, ma opportunamente integrate in un corpo testuale
che la mima, e la mina. La presentazione dei caratteri si dà attraverso
l'allestimento di un gioco degli specchi: amare qualcuno pur amando – o per
amare – un altro (Tutte le cose dolci: “[...] per te che mi dicevi | come
solenne concessione | «se solo fossi lui!» | A mio conforto?”), amare un
altro per amare – o pur amando – se stessi (Occasione: “E, via, confessa
| che nell'amare me | ami te stessa”), applicare una
doppia morale catulliana (Il tuo vantaggio: “[...] La verità è che | non
ti piace | rinunciare | né a me né agli altri | compreso tuo marito | e ci
pretendi | in proprietà | del tuo destino”), inserire come titolo di sezione un
calembour kamasutrista (Guerre di posizione), esprimere la consapevolezza
che finto non significa necessariamente falso: La scena – “[...]
| È qui la soluzione | magari anche imprevista | cinica
e crudele | fino a farti male, | nell'ammissione | che la scena possa | mutare
le comparse | e che si dicano | con uguale convinzione | le stesse cose | a più
persone.”
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Recensione |
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