| |
Natura morta
Se la natura morta non è senza vita La filosofia in versi di Paolo Ruffilli
Si può esprimere
la razionalità della natura? Si può rifondare liricamente l’allegoria nella
filosofia ? Si possono spingere i processi materici dentro tunnel sonori? Si
possono arginare con baluardi di versi le tracimazioni del pensiero liquido? E'
quello che sembra fare Paolo Ruffilli nel suo nuovo libro: “Natura morta”.
E cioè una catena di aforismi e frammenti quasi giunti da una “cosmogonia
ritrovata” con un conclusivo “piccolo inventario delle cose notevoli”. Una
litania di versi dove suoni e segni, luce e colori, interrogano il lettore,
accompagnato dal poeta a sostare innanzi ad un quadro che suggerisce suggestivi
rimandi al tempo e al sapere, al potere del dare nomi. Un quadro che risveglia
cose e sentimenti ,appunto, chiamandoli. E persino dicendo una cosa a
significazione di un'altra.
Come a credere che anche la poesia, soprattutto la
poesia pura, possa avvicinare alla verità quando abbraccia insieme l'anima del
mondo e la sua materia, ma persino quando un po' finge . Non solo per una sorta
di legittima difesa, ma per conoscere. Proprio come quando la scienza simula
qualcosa per cercare di capire dei fatti: replicando artificialmente dei
fenomeni, dunque quasi ripetendoli fuori dalla realtà. E allora sì, c'è un
debito di gratitudine (palesato verso autori come Heilmann, Chomsky, Barthes...).
Ma c'è qui, innanzitutto, una concezione della lingua come flusso energetico che
arriva da una centrale lontana, come musica che giunge non si sa da dove. E c'è
un' idea di conoscenza che quanto più appartiene al mondo del singolare tanto
più ha valenza universale. Mentre l'attenzione alle dinamiche della natura, con
le sue catastrofi e il loro conto quotidiano che sgomenta, altro non è che un’
anticipata metafora dei processi morali.
Dunque: ecco la poesia come stato
ritmico del pensiero e come avventura mentale; ed ecco l'io che parla negli
altri, rammenta le cose dimenticate, inchiodate nel silenzio, tiranneggiandole
nel richiamarle e poi riverberando le sue idee e frantumandole e ricomponendole.
Cogliendo i vuoti e pieni, lo spirito e la materia. “Il corpo non si vuole / o
pieno o vuoto / perché la via / consiste appunto / nel margine sottile / che si
dispone tra / il niente e la materia”. Il corpo sì. E tracce di religiosità
impalpabile, misteriosa: “Da dove nasce, / prima ancora / di ritrovarci nati, /
tutto quello che / – senza saperlo – siamo già stati?”; “la natura morta / non è
senza vita: // tutto si trasforma senza cessare di essere” . Così il rimando al
tessuto vitale invera l’astrazione nel concreto senza dimenticare però che la
realtà conta solo se percepita con il pensiero, è tale se detta con il prodigio
della parola.
Non è tutto . In appendice a Natura morta trovano spazio
alcuni “appunti per una ipotesi di poetica”: per l’autore è l’occasione di
chiarire quanto nei versi non si preoccupa mai di spiegare. Assolutezza
dell’economia della lingua. E consapevolezza che, per pronunciare davvero il
sublime “occorre partire dal calco, dall’orma, da una traccia sottile. Per
una legge dell’inversamente proporzionale: quanto è più basso è il tono, tanto
più alto è l’effetto”.
Domenica 9
dicembre [2012] Natura morta è stata presentata a S. Pietro di Feletto (Treviso):
con Ruffilli anche il poeta Antonio Donadio e tanti amici del “Clan Verdurin”,
storico sodalizio culturale che ha visto negli anni tra i suoi frequentatori
grandi nomi della cultura da Luzi a Bo, da Fellini a Zanzotto.
14.12.2012
| |
 |
Recensione |
|