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L’ultimo lavoro di Veniero Scarselli, un poemetto coinvolgente e
fantasioso, cattura il lettore fin dai primi versi. S’intuisce subito che il
tema trattato è importantissimo: il confronto fra vita e morte, o meglio il
trionfo della vita sulla morte. Il Poeta non giunge a questa conclusione sic et
simpliciter, ma dopo l’avvincente racconto di un solitario nocchiero tormentato
dal desiderio di conoscere il mistero della morte. Egli scampa a un terribile
fortunale rifugiandosi in una cala che nasconde il rudere di un antico
bastimento semiaffondato “gettato come enorme cetaceo | in una notte
lontanissima di tempesta | da un’ondata gigantesca a morire | di lenta agonia
sulla spiaggia”. Lo ricoprono “uccelli guardiani” che lanciano
altissime grida. La vecchia “carcassa di ferro” era diventata quasi il
simbolo della “terribile immobilità del tempo”. Subito il giovane
marinaio è preso dall’irresistibile impulso di esplorare il relitto per
scoprirne il segreto. In religioso silenzio, respirando “vaste bolle di aria
malata”, esplora tutti i recessi di quel luogo misterioso sentendo l’alitare
delle creature che lì avevano trovato la morte. Continuando a scendere, ecco
finalmente l’ultimo “sacello”: il sepolcro del Capitano. A questo punto
avviene il miracolo: si ode la voce di colui che non era riuscito a salvare la
nave e il moderno Ulisse cerca di conquistare “la Grande Conoscenza”: la
visione, forse rimasta impressa nella retina del morto, della vita oltre la
morte. In cambio il Capitano chiede al pellegrino di disincagliare la grande
macchina di ferro e far rivivere la sua nave.
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Recensione |
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