Il
poeta Veniero Scarselli continua la sua ricerca esistenziale in forma
filosofico-poetica. Ha vinto prestigiosi premi, e critici di vaglia l'hanno
recensito. Quest'ultima fatica vanta la prefazione di Vittorio Vettori ove si
parla di alta qualità religiosa, di pietà catartica della preghiera. All'inizio
la silloge è però intrisa del solito lacerante pessimismo: "queste inutili grida
d'amore | non spero più | che varchino mari straniti | e spiagge violate e
calpestate | per giungere un giorno anche a Dio".
Non si trovano residui di anime sopravvissute "alla tremenda
catastrofe della morte". Da uno scontro brutale della materia con altre
materie si genera il male. Dalle mura del cielo non discende che un gelido
riflesso di Dio. I suoi figli rientrano attraverso la morte, "nell'utero cavo
del Padre". Di dirupo in dirupo la ricerca dell'Essere è inutile. Eppure
l'autore tenta un simbolico viaggio sui sentieri più aspri anche se la cima
nasconde solo le ossa "sbiancate di un vecchio eremita". L'indignazione del
poeta impossibilitato a scoprire la verità, anche in questa silloge, si
trasforma in ingiuria (talvolta blasferma).
Però qui si avverte che l'odio deriva dall'amore e dalla
compassione, sì, proprio dalla compassione verso un Dio che potrebbe essere
infelice per la creazione del male ("un virus sfuggito al controllo"). La pietà
di Scarselli coinvolge leopardianamente anche i "fratelli in carne" ("enorme
serbatoio di coscienze | che riempie l'universo come un sole"). Forse dalla
fusione nucleare di tutte le coscienze del mondo si sprigiona il mitico Essere
Unico? Allora non resta che attendere la trasformazione dell"'inutile carne"
inginocchiati davanti al Mistero" con la mente ignuda | come una povera pagina
bianca".
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