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Meditiamo la dichiarazione poetica che Veniero Scarselli ha posto all'inizio di questa sua Priaposodomamachia. Ci sto, e in pieno: lo scopo principale della poesia è l'investigazione del Vero; la trasfigurazione poetica è operazione liberatoria. Finalmente il metodo scientifico diventa l'unica acclarata e acclarante metodologia della ricerca lirico-filologica. Nell'atto di poetare il poeta è filologo di sé stesso. Ma Scarselli ha voluto anche sottolineare che la sua è una "sacra rappresentazione"; e ciò è da tenere presente, visto che a prima lettura il testo può violentare il lettore infingardo e fargli passare la voglia di partecipare, come dovrebbe, all'investigazione; si potrebbe dunque giudicare il testo come dettato da morboso moralismo, ma alla prima e superficiale lettura pare che il Demonio (p. 12) sia sentito come emigrazione del Male fuori di noi, per oggettivarlo al massimo e sentirsi poco o niente responsabili del medesimo Male.

Ma veniamo alla donna «amante, madre, sorella, amica...» di p. 13. Quanti ruoli! che graduano il peso del Feminino da Beatrice a Becchina. Che sia Veniero Scarselli il nuovo Cecco Angiolieri del ventesimo secolo? La vetero-educazione maschilista, trasmessaci dalle madri nella carne e nel pensiero, ha proposto la donna come eterna Vergine; pertanto, se essa rifiuta questa beatitudine di donna-madre-sacrificio, questo ruolo di ponte che porta a Dio, corre l'orrendo rischio di finire puttana, oggetto infame di infami piaceri. Ma proprio nei misteriosi, lascivi orifizi muliebri il poeta Scarselli indaga per accertare la presenza di un'anima, dichiarando con questa apparente bestemmia la contiguità reale e magnifica del carnale con lo spirituale.

Conoscendo le componenti culturali di Veniero Scarselli, si può affermare che nella sua ricerca poetica "spiritualità" equivale a "intelligere", a diagnosticare col bisturi della logica le fibre dell'esistenza. Se il priapo generoso e sfortunato s'immerge nelle arcane meraviglie del bell'involucro di Niobe, è sempre l'intelletto che penetra il Creato e la Vita, ne sperimenta anfratti, tortuosità, possibili uscite; ma intanto la povera Niobe viene abbondantemente, e nel santo nome di Dio, sodomizzata, prendendosene anche la colpa (p. 31).

Come si vede, per leggere la poesia di Veniero Scarselli occorre uno stato d'animo e una disposizione intellettuale particolarmente coraggiosi. Ci vengono scomodate tutte le vigliaccherie e le morbosità, turlupinati tutti i nostri idealismi, svergognati i più o meno reconditi moralismi; e tutto ciò è compiuto con l'arma più blasfema che la terra abbia, ossia il sesso-priapo, che nell'inferno-ano s'avventura a costo di perire (p. 33), ma pur sempre teso a carpire la conoscenza. L'eroico priapo, odierno Ulisse senza simbolismi omerici o danteschi, scava nel mare procelloso della duplice voragine femminile, che sente come alfa e omega, finché avviene l'inevitabile: «Quel mio povero corpo | restava lì ipnotizzato a contemplare | la propria morte...», invano scongiurata con amuleti vari; i diavoli lo trascinano dentro al viscere rovente del Moloc, insieme all'eroico priapo stridente «come un maiale scannato | mentre varcava quella soglia infernale | per scomparire nel Culo del mondo». Il poeta, innocente come un bambino, si sacrifica, si annienta volontariamente pur di farsi pioniere nel baratro della conoscenza. La femminile voragine e il maschile sapere diventa un idolo medesimo. Per simili contenuti il verso di Scarselli è potente locupletatio.

Recensione
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