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Affari di cuore
Einaudi Commenti
Ho letto con grande interesse
Affari di cuore di Paolo Ruffilli. Ha ragione Wittgenstein, che l’autore cita
in apertura: la verità non è nelle cose, ma nel linguaggio. E in questo libro,
più che mai, il linguaggio è metro della critica.
Le poesie di Ruffilli non sono carnali o peccaminose. Né
semplicemente lascive o allusive. Piuttosto, descrivono l'amore, e il sesso, da
una distanza precisa, favorita dalla lunghezza controllata, dal tono piano, dal
linguaggio attento che le connotano.
C'è una sorta di esaurimento delle parole. Di morte naturale. I componimenti si
chiudono, definiscono, sistemano. È un amore che ha gli stessi confini del letto
per gli amanti. E le stesse, loro, posizioni.
Fatalmente, questa sintesi
determina un giudizio, peraltro non tanto dell'autore (che ha affinità,
complicità con la materia, ma non ne è mai sopraffatto), quanto del lettore. Il
quale ha l'impressione, spesso, che le dinamiche amorose, così descritte,
implichino un'inesorabilità di fondo.
C'è un regista che ha fatto
della distanza la propria chiave poetica: Eric Rohmer. Ma in lui c'era una
sostanziale, e lucida, crudeltà. Qui l'approccio è disincantato, ma mai
estraneo, e non solo perché il protagonista delle vicende narrate è lo stesso
che scrive.
Ne viene invece un impasto equilibrato, un'oggettività ordinata, in cui anche le
apparenti rotture e riprese dei rapporti sentimentali, i pieni e i vuoti,
trovano consequenzialità, presa d'atto, finanche resoconto.
Eppure, in questa geometria,
emergono di tanto in tanto delle aperture, delle complicanze. Penso a poesie
come "Paolo e Francesca" oppure a "La traccia". Che, anche per gusto personale,
ho apprezzato particolarmente.
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Recensione |
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