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Il testo integrale d
Ascesa all'ombelico di Dio,
Tutto quello che Dante non sapeva ma che voi vorreste sapere
di Veniero Scarselli
la
Scheda del libro
1
Nel mezzo del cammin
di nostra vita
un giorno suppergiù
verso il tramonto
m’addentravo in un
boschetto ombroso
senza tema di lonze o
di lupe
o di altri temibili
fantasmi;
i colori s’eran già
velati
per il dolce imbrunire
incombente,
ma sprazzi dell’ultimo
sole
lasciavano ancora
intravedere
delle fronde qua e là
verdeggiare
e grappoli di bacche
rosseggianti
pendere lungo il
sentiero;
il mio piede leggero
sfiorava
il tappeto di erba e
di humus
per non recare troppo
disturbo
a fiori e insetti, che
invero s’apprestavano
a chiudere contenti
della vita
la pur lunga giornata
di lavoro;
anche brave pecorine
non lontano
scuotevano i loro
campanelli
tornando a casa ilari
e satolle
con le belle poppe
rigonfie
salutate dai cori
argentini
degli agnelli affamati
che sporgevano
i teneri musini di
latte
dall’impaziente esilio
dell’ovile.
2
Si udiva una campana
lontana
che adunava al vespro
i fedeli,
però non si udiva
alcuna voce
di villici o pastori;
nel bosco
ero dunque senza
dubbio tutto solo
e portavo a passeggio
i miei pensieri
accompagnato dal
grazioso chioccolio
degli uccelletti che
già si accomodavano
in qualche appartato
posticino
per mettere il capino
sotto l’ala.
C’era invero l’insonne
presenza
d’un sapiente grillo
parlante
che spiava tuttavia
con discrezione
i miei alati pensieri
che a frotte
con temeraria
giovanile imprudenza
facevo correre lungo
lo stradello,
finché non m’accadde
di udire
(e forse dovevo
prevederlo)
un piccolo ma nitido
schianto:
essi s’erano
sfortunatamente
scontrati proprio lì
davanti a me
con l’Idea ingombrante
di Dio
e mi stavano facendo
nella mente
il solito grande
fracasso.
3
Un tale cozzo capitava
talvolta
quando camminavo senza
meta
per prati e boschi
prossimi al tramonto,
e il rumore era certo
adeguato
al peso senza pari
dell’Idea;
mobilitavo allora
senza indugio
le mie terrestri forze
intellettive
elucubrando se davvero
esista
il Dio che tutti
stanno ad invocare
senza peraltro mai
vederlo in faccia,
e mi chiedevo se mai
vorrà mostrarsi
in qualche forma
umanamente accessibile
almeno il giorno della
nostra dipartita.
Qualcuno, è vero,
giurava sull’onore
d’averlo visto coi
suoi stessi occhi
insieme alla Madonna e
a tutti i Santi
il giorno che la Morte
per ischerzo
aveva osato mandarlo
all’ospedale
mentre era – così
dissero – in coma
e aveva già varcato
quel Tunnel
famoso per la quiete
celestiale
che pervade l’anima e
il corpo
ai fortunati che
vengono scelti,
e anche lui si sentiva
felice
poi che andava
incontro a una gran Luce
accompagnato da
gentili anime sante.
Il buon uomo non seppe
mai dire
se fosse proprio la
luce di Dio;
era accaduto infatti
purtroppo
che i pianti disperati
delle donne
che versavano lacrime
sul morto
avessero costretto la
sua anima
a tornare suo malgrado
indietro.
Io da allora vado
sempre chiedendomi
perché mai si dev’essere
morti
per fare la Sua
conoscenza,
e perché non si mostra
una volta
qui da noi, almeno a
chi da tempo
aspetta un segno
veridico, una prova
certificata della sua
esistenza
pur senza dovere
rinnegare
la Ragione, nostra
tenera madre?
4
Essa infatti da tempo
aveva in serbo
molte domande; se ad
esempio l’anima,
che pur piccola a noi
basta ed avanza,
sia incorporea e della
stessa natura
di quella più grande
anzi infinita
di Lui, e se davvero
Lui
pur non veduto sia
capace d’insinuarsi
col suo spirito fin
dentro alla materia
dove esistono soltanto
molecole
e niente altro; ma se
fra l’una e l’altra
di queste misteriose
molecole
come dicono c’è il
vuoto, che ci fa
Lui lì dentro, e in
che maniera può plasmare
le mille creature
straordinarie
che si vedono popolare
il mondo
come zebre ippopotami
giraffe
ma anche creature
miserelle
seppure immense nella
loro piccolezza
come api vermi
formiche,
quando si sa bene che
son fatte
con le stesse molecole
semivuote,
seppure affratellate
con noi
nella vita gioiosa
ch’Egli invero
ci ha donato, anche se
poi
senza alcuna pietà se
la riprende?
5
Tutto questo stavo
pensando,
quando a un tratto fui
costretto a scendere
da quella fitta nuvola
di pensieri
poi che accadde un
fatto incredibile.
Ebbene, succedeva che
tutto,
ma proprio tutto,
intorno a me inopinatamente
stava a vista d’occhio
crescendo
addirittura
smisuratamente:
gli stessi alberi, già
molto alti,
che fino allora
avevano con grazia
corteggiato la mia
passeggiata,
stavano diventando
giganteschi:
se ne vedeva il piede
e le radici
che enormi scoppiavano
dalla terra
mentre il tronco
possente s’innalzava
verso il cielo e la
cima scompariva
dove regnano i venti
delle altezze;
anche i piccoli
arbusti s’eran fatti
enormi, coi fusti che
salivano
fino al cielo laddove
le chiome
più non si potevano
vedere
profondate nella notte
celeste.
La selva insomma in
cui fidente m’addentravo
ora appariva, con mio
grande smarrimento,
fatta solo di enormi
fili d’erba
che poco prima
tenerelli evitavo
di calpestare, ma che
ora si drizzavano
grandi e forti verso
il cielo come pali
senza avere peraltro
le forme
aggraziate degli
alberi veri.
6
Quando questa oscena
metamorfosi
ebbe fine, capii
costernato
che qualcuno per
errore o vendetta
aveva fatto di me,
fino a ieri
fiero e prestante, un
vero lillipuziano
che adesso arrancava a
fatica
con le sue
piccolissime gambette
in una incredibile
boscaglia
di arborei giganteschi
fili d’erba.
Poi che il cielo più
non si vedeva,
fu impossibile anche
raccapezzare
i cari punti cardinali
che soltanto
il sole o le stelle
sono in grado
di fornire al
viandante smarrito;
era proprio giocoforza
sospettare
che un potentissimo
Ente, di natura
ultraterrena, forse
anche divina,
m’avesse gettato in
quel guaio;
pensai perfino che
fosse per punirmi
di tutti i miei
blasfemi pensieri,
ma questa spiegazione
però
mi parve purtroppo
indimostrabile.
7
Passato lo stadio più
torpido
del mio sbalordimento,
spremetti
i più sani pensamenti
che potessi
per trovare una causa
ragionevole
e magari una
spiegazione scientifica
dell’increscioso
fenomeno occorsomi;
ma pur pensando e
ripensando non riuscii
che a ipotizzare una
pur momentanea
incresciosa fallanza
naturale,
una tipica transitoria
distorsione
della
quadridimensionale categoria
di spazio-tempo,
essendomi sovvenuto
dello “spazio curvo”
di Einstein
e delle cose
incredibili che accadono
nel regno della
Relatività.
Ma confesso che
sgomento sperai
molto più piattamente
in una semplice
Fata Morgana, di
quelle che appaiono
ai solitari naviganti
dei deserti;
oppure un’illusione
psico-ottica,
seppure ancora non ben
conosciuta
dagli ortodossi
scienziati per via
del notorio loro lento
progredire;
ma pensai anche a un
malfunzionamento
del nervo ottico,
provocato per caso
o per malocchio da un
disguido di neuroni
forse già scivolati
dolcemente
in quello stato di
veglia-non-veglia
che in natura prelude
a un seducente
sonno ristoratore,
come infatti
accade agli uccelli di
bosco
obbedienti a quei loro
severi
ma perfetti orologi
circadiani
quando l’occhio sta
quasi per chiudersi
e allora mettono il
capino sotto l’ala,
ma non si sa quali
incubi o allucinazioni
forse soffrono nei
loro dormiveglia.
Però mi parve anche
ragionevole
pensare a quel
fenomeno brutale
ma purtroppo anche
molto naturale,
che da sempre incute
timore
e per scaramanzia non
si osa
neppure nominare: che
fossi
forse senz’accorgermi
già morto?
8
Anche se fosse,
ignoravo a che servisse
nella tirchia economia
dell’universo
tanta carnevalesca
messinscena
per un fenomeno in
fondo banale
come la morte; forse a
far di lei
un evento almeno un
po’ accattivante?
Ma se si esclude uno
scherzo della Morte,
chi poteva concepire
una burla
a dire il vero più
bizzarra che diabolica
se non proprio Belzebù
in persona,
o quei birboni di elfi
con le corna
e con le zampe caprine
biforcute
che stanno in agguato
nei boschi
e si dice si divertano
a cambiare
la percezione dello
spazio e del tempo?
In effetti sul far
della sera
a un villico talvolta
era accaduto
di sorprendere
unicorni d’altri tempi
a pascolare come
docili caprette,
mentre è noto che essi
appartengono
a universi paralleli
certo estranei
al nostro piccolo
universo borghese
e quindi assolutamente
inconoscibili.
Altri agricoli invece
avevan visto
Stregatti appollaiati
su un ramo
predicare invero certi
oscuri
ma senza dubbio saggi
ammonimenti,
ma anche cavalli
parlanti
che oltre a far di
conto eran bravi
a spiegare a folle
invisibili
il complicato teorema
di Pitagora;
io stesso in persona
ero incappato
nell’agghiacciante
grido stentoreo
d’una Arpia levatosi
di notte
dal fitto del bosco, e
confesso
che un brivido
percorse le mie ossa
nonostante la solida
abitudine
ad usare l’agguerrita
Ragione
per dubitare di tutte
le apparenze.
9
Ma oggi in fede mia mi
pareva
d’essere saldamente
ben sveglio
e di avere una chiara
visione
di tutti i miei
pensieri, allenati
com’erano a ingranarsi
uno nell’altro
per costruire logiche
conclusioni
perfino ricche del
sano buon senso
forse un po’
terra-terra, ma certo
amico della Ragione
razionale
dataci da Dio per
difenderci
da ingannevoli Fate
Morgane
e da tutte le malvagie
creature
che di notte affollano
i boschi.
Ebbene la Ragione quel
giorno
non mi venne affatto
in soccorso,
cosicché per un lasso
di tempo
restai senza parola e
frastornato,
e nell’inquieto vagare
senza meta
andai quasi a sbattere
col muso
contro un’altra
incredibile cosa
che si trovava
inopinatamente
sulla mia strada: una
vera bizzarria,
poi che infatti
somigliava stranamente
ad una mela, anzi
giuro ch’era proprio
una mela (per Dio!)
una mela
che pareva
assolutamente verace,
tranne ch’era oltre
ogni immaginazione
mostruosamente
gigantesca;
una mela insomma mai
vista
in tutta la mia vita,
una mela
da grandi
allucinazioni, caduta
forse per un guasto
naturale
(era visibilmente un
po’ bacata)
da uno di quegli
alberi giganti
di quella gigantesca
foresta
proprio in mezzo al
mio onesto cammino
e davanti ai miei
occhi spalancati.
10
Passato il temporaneo
sbigottimento,
pensai che in fondo
con ragionevolezza
si potevano perfino
spiegare
quelle sue smisurate
dimensioni:
era chiaro che
sembrava così enorme
solo a causa del mio
stravagante
lillipuziano
rimpicciolimento;
in fondo si poteva
addirittura
considerare una mela
mangereccia
molto comune, e se la
mia sventura
non m’avesse duramente
colpito,
l’avrei detta una mela
renetta,
essendo uso nella vita
cittadina
addentarla con grande
voluttà
trovando qualche volta
divertito
perfino il buco tondo
d’un baco
abitatore solitario
delle mele,
il quale malamente
svegliato
berciava la sua ira
legittima
di baco legalmente
proprietario
sporgendosi come più
non poteva
con tutti gli sguaiati
contorcimenti
del suo eloquente
alfabeto animalesco.
11
Allora aguzzando gli
occhi miopi
girai tutt’intorno
alla Mela
per scrutare davanti e
di dietro
l’oggetto singolare
che invero
per i vecchi parametri
terrestri
sembrava assolutamente
enorme,
come d’altronde anche
tutta la foresta
affetta da evidente
gigantismo.
Ma girandogli intorno
più volte
accadde di scordarmi
ch’ero io
colui che a vista
d’occhio s’era tutto
rimpicciolito; m’ero
insomma abituato
alle sue dimensioni
eccezionali
ed ora finalmente la
vedevo
come vera Mela Gigante
quale d’altra parte
appariva
ai miei occhi di
Lillipuziano
notoriamente perbene;
aveva anche
un profumo e un
colorito accattivanti,
che ai miei tempi
giovanili erano segno
di sana costituzione
fisica,
esattamente come tutte
le mele
che nella lunga mia
vita normale
avevo visto sui banchi
della frutta
nei mercati rionali.
Ma ora
successe che l’occhio
si posasse
su un buco tondo tondo
fatto certo
da un baco
adeguatamente gigante
come conviensi ad una
mela gigante,
e non potei fare a
meno di notare
che sembrava
esattamente adattarsi
alle bizzarre mie
nuove dimensioni
d’uomo-baco perbene
quale ero,
con la mia dignità
tutta d’un pezzo
seppure di modesta
grandezza;
ero insomma ormai
rassegnato
al mio nuovo oscuro
destino.
12
Quel buco assomigliava
vagamente
all’ingresso invitante
e forse un poco
licenzioso d’una
vecchia discoteca
dei miei tempi di gran
peccatore,
seppure non vedessi
affacciarsi
alcun imbonitore o
buttafuori
e non udissi uscirne
alcun frastuono
di trombette sassofoni
o grancasse;
però stava scritto su
una targa
‹Anime
fortunate voi ch’entrate›
e allora capii che la
festa
doveva aver luogo
parecchio
all’interno, se da
fuori non usciva
pur tendendo gli
orecchi suono alcuno.
Io, che dopo quegli
strani accadimenti
non avevo ancora perso
quello spirito
avventuroso di cui il
mio buon Dio
m’aveva benignamente
dotato,
non potei fare a meno
di varcare
quel buco tanto
intrigante
per valutare col fine
occhio critico
che giustamente m’ha
sempre distinto,
se l’opera d’un baco
architetto
di queste sperdute
regioni
fosse fatta a regola
d’arte
come quelle dei miei
connazionali
di cui ero orgoglioso,
seppure
qualcuno aveva messo
sottosopra
il vecchio mondo con
audaci ma purtroppo
strampalati monumenti
alla moda.
Sarei stato tuttavia
contento
se qui avessi potuto
incontrare
ed anche, perché no,
abbracciare
anche uno solo dei
bachi architetti
che avevano lavorato a
quest’opera,
dato che da un pezzo
in queste plaghe
non vedevo anima viva,
né di baco né di altra
specie nota
animale od umana, ed
ormai
avevo perso la
speranza d’incontrare
qualche essere vivente
con la faccia
almeno un poco simile
alla mia.
13
M’aspettavo pesanti
tendaggi
oppure porte ermetiche
che attutissero
il tum-tum della
musica rock
e i lampi delle luci
psichedeliche,
ma per ora sembrava
soltanto
un buio corridoio,
cosicché
lì per lì non potei
vedere nulla;
ma fatti un po’ di
passi alla cieca
aiutandomi a tentoni
con le mani,
mi raggiunse una
vocina melliflua
che supposi del Baco
Portinaio
e che diceva
‹benvenuto Visitatore,
fatti avanti, ché da
lungo tempo
non s’è visto nessuno
e sei atteso
con un certo curioso
interesse
dal potente Signore
che qui
ha il suo antico e
imperituro Regno›.
Strizzando gli occhi
vidi un piccolo lumino,
uno di quelli che di
solito tremolano
nei cimiteri, oppure
appesi al muro
nelle vecchie cucine
dei nonni
con la Madonna e le
immagini dei Santi;
infine malamente
rischiarato
dalla luce assai fioca
vidi anche
il Portinaio, forse
intento a scrivere
il mio nome sul
vecchio registro
dei pochi visitatori
importanti
che fin dalla primiera
fondazione
erano stati ammessi ad
entrare
nel grande budello di
quel Regno,
e confesso che dopo
tale onore
esso mi parve non del
tutto privo
d’una sua importante
nobiltà.
14
Ma non potei esimermi
da esprimere
la mia grande
meraviglia che dentro
ad una comunissima
mela,
seppure enormemente
ingrandita
a causa del mio
incresciosissimo
rimpicciolimento e per
di più
in un cunicolo
rozzamente scavato
dall’opera primitiva
d’un baco
pur anche investito
della degna
autorità di Baco
Portinaio,
potesse svilupparsi in
lungo e in largo
l’intera estensione
d’un reame
regolarmente governato
– com’egli
sosteneva – da un
potente Signore.
Avevo appena formulato
le parole
di questo dubitoso
pensiero,
che venni prontamente
rintuzzato
dal pur cortese Baco
Portinaio
con argomenti forse un
po’ metafisici,
ma invero espressi con
parole accessibili
alla semplice mente
d’un comune
curioso ma onesto
viaggiatore;
nondimeno mi parvero
venate
da un leggero tono di
dispetto,
peraltro assai comune
anche da noi
del vecchio mondo,
specie se ricordo
le bacchettate dei
dotti maestri
alle prese con gli
alunni capoccioni
delle mie regie scuole
elementari.
‹Egregio Signor
Visitatore!
– disse il Baco
Portinaio solennemente –
tu non puoi immaginare
quanto erri
se pensi che sia regno
da burletta
quello che con alta e
virtuosa
perfezione matematica
si estende
dentro la Mela, e solo
per il fatto
che ai tuoi piccoli
occhi imperfetti
il cammino ti sembra
buio e angusto:
dovrebbe infatti
esserti noto,
se ti resta un po’
dell’umano
raziocinio che Dio
distribuisce
anche agli idioti, che
il buio alligna solo
nella vostra angusta
mente corporale.
Nella Divina Mela
infatti il Regno
non si sviluppa
secondo le fittizie
dimensioni del mondo
che hai lasciato
e che sei uso misurare
soltanto
con rozze espressioni
numeriche
quali altezza,
lunghezza, e larghezza;
il Regno, come insegna
perfino
la vecchia teologia
che ben conosci
della Relatività, si
estende tutto
su infinite dimensioni
ultraterrene
dove lo spazio è curvo
e gli oggetti
vi scivolano con una
traiettoria
che essendo curva
torna ovviamente
sempre su se stessa
all’infinito;
ma se rifletti bene,
troverai
che perfino il
concetto di spazio
per il Principio
d’Indeterminazione
è privo di senso,
laddove
le onde e i fotoni si
tramutano
l’uno nell’altro
vicendevolmente
fabbricando Materia e
Antimateria
oppure il Vuoto
Assoluto, che per voi
è oltremodo difficile
immaginare
poi ch’è privata
esclusività di Dio.
Ma siccome la mente
degli umani
non riesce a
immaginare ciò ch’è astratto,
ti semplifico
volgarmente i concetti
in un linguaggio per
te più familiare:
quello che con spregio
riprovevole
hai chiamato oscuro
budello
è nientemeno che il
Cordone Ombelicale
di Dio, da cui sei
nato e che in futuro
congiungerà la tua
piccola anima
alla sua grande
materna Placenta;
pertanto, similmente a
quando un giorno
il tuo piccolo cordone
ombelicale
fluttuava neonato
nelle tenebre
del materno liquido
amniotico,
anche il santo Cordone
Ombelicale
nelle zone periferiche
lontane
dalla Divina Mente
Placentare
non può essere altro
che immerso
in nere profondissime
tenebre,
e questo è il motivo
per cui
per lunga tratta non
potrai ancora
carpire la Conoscenza
che agogni;
esso infatti ha una
lunghezza infinita
ed infinite volte
nella Mela
si avvolge su se
stesso a gomitolo
(se per te è più
semplice una tale
volgare figurazione
dello spazio);
pertanto, molto tempo
ha da passare
prima che tu arrivi
alla meta
percorrendo il Canale
Ombelicale›.
16
Ciò detto il sapiente
Dottore,
ch’io in modo così
indelicato
avevo detto Baco
Portinaio
quando ancora non
aveva purgato
con la sua
impareggiabile dottrina
i miei eretici dubbi
blasfemi,
tornò a sedersi forse
rabbonito
sul suo antico scranno
tarlato
nell’antica biblioteca
fra i tomi
di Teologia
rosicchiati dai topi,
che a decine sentivo
saltellare
su e giù nel buio del
tunnel.
La mia mente, nutrita
soltanto
della semplice
scholastica philosophia,
non seppe replicare
parola
davanti alla dotta
citazione
della sacra Metafisica
di Einstein
e dovetti
accontentarmi di apprendere
che almeno mi trovavo
in quel famoso
divino Cordone
Ombelicale
di cui tanto si è
favoleggiato
che collegasse al
Cielo gli umani,
e che forse m’avrebbe
potuto
insperatamente
condurre
direttamente nella
Mente di Dio
dove certo splendeva
la suprema
ed eterna Luce del
Vero.
Con nuovo animo quindi
ripresi
il cammino che
l’onesto Dottore
m’aveva annunciato
lungo ed aspro,
prefiggendomi d’aprire
la mente
per accogliere lungo
la strada,
pur nel modo
rozzamente empirico
di cui la mia natura
era capace,
tutti i nuovi Veri che
dall’Alto
a mano a mano fossero
piovuti
per guidarmi verso il
Vero più grande.
17
Forse lesse col
pensiero telepatico
nella mia mente,
poiché il gran Dottore
sembrò commosso e
disse con la voce
più indulgente che
poteva e che mi parve
quasi paterna: ‹non
crucciarti figliolo:
nel pur lungo cammino
che ti aspetta
vedrai che la grande
oscurità
di questa sacra
galleria, che per ora
tanto ti opprime,
scemerà a mano a mano
che la tua piccola
mente si avvicina
alla Mente da cui fu
concepita.
Sappi anche che lungo
il cammino
troverai chi meglio di
me
saprà renderti edotto
di Veri
ben più alti e
profondi, adattandoli
ai mezzi percettivi
ancorché rozzi
del tuo intelletto
affinché tu recepisca
qualche goccia del
Grande Mistero;
la tua Guida con
celeste sapienza
saprà infatti
avvicinarsi al tuo intelletto
illustrandoti il Vero
con metafore
comprensibili ai sensi
più ottusi,
poiché tratte da quel
vecchio mondo
di cui sembri ancora
serbare
una tenace nostalgica
memoria›.
18
Espletate le ufficiali
formalità
della firma nel
registro delle visite
e sprofondatomi in
lunghi ringraziamenti
mi allontanai
arrancando nel Canale,
confesso, ancora un
po’ timoroso
della buia e tortuosa
galleria,
fin che il lume del
dotto Portinaio
scomparve. Avanzavo
incertamente
pur non trovando
ostacolo alcuno
ma tastando alla cieca
qua e là
le pareti umide e
molli
dell’angusto Cordone
ombelicale;
mi parve perfino che
emanassero
un familiare tepore di
mamma
risuscitando dai
luoghi più profondi
della buia memoria
viscerale
piaceri sepolti d’una
vita
intrauterina, sì che
infine l’empito
dei ricordi ancestrali
mi vinse
e in un colmo di
dolcezza mi fermai.
Riavutomi dal torpore
intrigante
e ripresa padronanza
della mente,
con più lena proseguii
il mio arrancare
remigando a tentoni
per un tempo
che mi parve non
avesse più fine.
Col sollievo di chi
travagliato
da una dura traversata
finalmente
avvista la terra,
giunsi quindi
al successivo fioco
lumino
appeso alla parete e
pensai
che il mio desiderio
d’incontrare
un’anima della stessa
mia specie
impegnata nel mio
stesso cammino
sarebbe stato forse
esaudito;
ci saremmo tenuti per
mano,
anch’essa forse
essendo come me
timorosa per l’oscuro
destino
che senz’avviso e
senz’appello l’Ente
Sconosciuto ma molto
potente
aveva voluto
assegnarci.
19
Infatti proprio sotto
a quel lumino
era accucciata e
sembrava riposare
la figura d’una buona
donna
che nonostante la luce
fosse scarsa
lasciava indovinare
una gentile
calda bellezza, che
però non riconobbi;
tuttavia la persona
scorgendomi
s’era ridestata, e di
scatto
alzandosi si mosse per
baciarmi
pronunciando con voce
di pianto
‹oh, figlio, figlio
mio più caro,
non sai quanto tempo
t’ho aspettato
in quest’oscuro
infinito cunicolo›.
Io che non credevo ai
miei occhi
n’ebbi – Dio mi
perdoni – timore
e vilmente la scostai:
tu sei davvero
la mia mamma? Ma io
ricordo bene
quando moristi: avevi
i segni osceni
della vecchiaia mentre
ora mi sembra
di rivedere le
fattezze della Mamma
all’età in cui bambino
accorrevo
affamato d’amore per
suggerlo
dal seno rigoglioso il
cui ricordo
serbo ancora
gelosamente nel cuore.
Ero ancora assorto in
quelle immagini
di tenerezza, che lei
disse ‹è vero,
in questo luogo è
concesso di serbare
le fattezze dell’età
più felice
della nostra vita
terrena;
io sono come te un
viaggiatore
che aspira a meritare
la Conoscenza,
però il mio stato di
anima morta
mi fa più lenta di te,
che sei vivo.
Ma ora affrettati:
vai, figlio mio
tanto amato, devi
correre, correre,
ché lassù sei atteso
da una Madre
ben più grande di me›.
Io confuso
e pieno di vergogna
l’abbracciai,
e nel buio ed angusto
cunicolo
rivissi lo struggente
conforto
di affondare il mio
viso bambino
in quel nido d’amore
che ancor oggi
ricerco voglioso in
ogni donna
che si lasci amare.
Purtroppo
il nostro fu davvero
un incontro
molto avaro, poiché
dicendo ‹addio
figlio mio› lei
scomparve nel buio
di quel triste Budello
senza fondo.
20
Sconvolto mi chiesi
perché,
pur avendomi da tempo
lasciato
orfano e solo, non
fosse ancora giunta
alla fine del Cordone
Ombelicale
dove tutte le anime
buone
vengono assorbite
dalla luce
del Vero; ma facendomi
coraggio
proseguii il mio
cammino sperando
di ritrovarla un’altra
volta un po’ più avanti.
Feci dunque ancora un
lungo tratto
a tentoni nel buio più
profondo
e infine giunsi ad un
altro lumino
che mi parve facesse
un po’ più luce;
è vero che speravo
d’incontrare
qualche anima buona
per conforto
al mio lungo solitario
cammino,
ma mai avrei creduto
di trovarvi
la Creatura che gioii
di riconoscere
poi che m’era
immensamente cara
per avere in altri
tempi ed altri luoghi
accompagnato la mia
vita sulla Terra
ed anche nella vita
ultraterrena
aveva con grande
dedizione
soddisfatto la mia
sete di Vero.
Era proprio l’angelica
Creatura,
la Super-Gemma di
cuore e di sapienza
che allora con acume e
prontezza
all’ombra d’una
fabbrica detta
della suprema Macchina
Elettrostatica
discettava sui massimi
sistemi
celesti e terrestri
svelandomi
i segreti della
materia e dell’anima
altrimenti
impenetrabili agli umani
bisognosi come me di
conoscenza.
Ora Ella era innanzi
ai miei occhi
col viso illuminato
dal sorriso
di dolce amorosa
sorella
e l’incedere gentile
ed onesto
che tanto nella mia
giovinezza
m’aveva incantato,
cosicché
non potei impedire al
mio cuore,
pur compreso della
grande sacralità
di quel luogo, di
sentire ancora
lo stesso turbamento
di allora
per il bel viso e
l’amabile figura.
21
Mi venne lietamente
incontro
trotterellando,
salutandomi da lontano
e dicendo con occhi
ridenti
‹oh ecco il mio amato
discepolo
d’altri tempi ed altri
luoghi! Perdona
se allora dovetti
lasciarti,
chiamata all’amorosa
funzione
di accompagnare le
anime a rinascere
tramutate in pure onde
elettromagnetiche;
ma adesso sono qui per
riprendere
i fili dei nostri
ragionamenti
e rispondere a tutti i
tuoi dubbi
che so già
profondamente eretici,
in modo da risolvere i
problemi
che sorgono
allorquando per il lento
naturale disfacimento
della vecchiaia
anche la tua vita,
amico mio,
si avvicina a ciò che
credi una fine,
e invece è soltanto il
principio
d’una strada certo non
agevole
ma che porta al grembo
di Colui
la cui Intelligenza da
sempre
contiene tutte le
domande e le risposte.
22
Ancora non credevo ai
miei occhi
per la gioia
dell’incontro straordinario
e dovetti toccarle più
volte
seppure devotamente la
mano
per farmene certo; il
suo aspetto
mi pareva ancora più
attraente
di allora, per la
diafana aura
certo di natura
celeste
che irradiava tutta la
figura.
Ma fu ancora l’urgenza
irresistibile
d’un vortice di dubbi
cui Lei sola
poteva rispondere, a
vincere
perfino quel momento
di estatica
contemplazione, e
tutto d’un fiato
forse anche troppo
impetuosamente
le chiesi: oh mia
Maestra, tu dolcissima,
che possiedi per virtù
celeste
ogni scienza terrena e
ultraterrena,
dimmi per ancora
quanto tempo
chi arranca nel
Budello (che mi dicono
sia il Cordone
Ombelicale di Dio)
è costretto a soffrire
l’oscurità,
con solo talvolta lo
sparuto
chiarore d’un tremolo
lumino
come quello del
Dottore Portinaio
addetto a registrare
visitatori?
Perché della Luce del
Vero,
che pure dicono un
giorno dovrà avvolgerci
con divino abbagliante
furore,
non si vede neppure un
barlume
a mano a mano che uno
s’avvicina
alla meta, neanche il
poco che forse
basterebbe a non far
venir meno
la nostra già gracile
speranza
durante il dubitoso
cammino?
e perché di quell’Ente
non ci è dato
sapere neppure quel
poco
consentito dalle
deboli forze
della nostra mente
corporale?
23
Ella pur a domande sì
imperiose
rispose con angelica
pazienza:
‹poni mente dolce
Amico a quanto oscura
sia la vita allorché
per prodigio
nasce dalle tenebre
del Nulla
e poi trascorre il
tempo che gli è dato
come morta, essendo
ancora priva
della luce della Vera
Conoscenza;
poni mente a come
anche la vita
più bruta del regno
animale
si sia rischiarata
soltanto
quando il progresso
dell’Evoluzione
gli ebbe infuso la
luce della Coscienza,
la quale pure è solo
una scintilla
dell’Essere che
splende nell’Utero
di Dio, le sante
origini da cui
tutti si sono così
dolorosamente
distaccati e cui tutti
così
intensamente anelano
tornare.
Similmente, anche il
cammino
di questo vostro
ritorno all’Ovile
lungo il tunnel del
Cordone Ombelicale
non può essere che
oscuro ed incerto
come la notte della
vita intrauterina,
prima che si schiudano
al giorno
i vostri occhi di
ciechi gattini
ed impariate a
riconoscere almeno
un barbaglio
dell’enorme Intelligenza
racchiusa nell’Ente
Supremo;
il quale essendo di
purissimo spirito
non può mai ovviamente
apparire
sotto alcuna forma o
sostanza
ad una mente fatta
solo di carne›.
Ma io che non ero
soddisfatto
delle ardue
spiegazioni teologiche
ed ero invece molto
turbato
dalle dolci sensazioni
che provavo
di umido calore
corporale
durante il mio
arrancare nel Budello,
le chiesi come mai
quelle pareti
fossero così tenere e
calde
come il ventre mai
scordato della Mamma,
se pur l’avevo vista
coi miei occhi
ora non molto e
proprio in questo tunnel
vera e viva e ancora
giovane e bella
seppure morta in
estrema vecchiezza
ed ora mestamente
rannicchiata
sotto un lumino, come
chi è orbo
dell’affetto del
figlio e non ha neanche
il conforto di saperne
il destino.
24
‹Ora forse cominci a
intuire
– rispose la sapiente
Maestra –
che il tratto di
strada percorsa
in quello che ancora
caparbiamente
continui a chiamare
budello
per ora non è altro
che il tuo piccolo
cordone ombelicale che
indica
la direzione della
Grande Placenta.
È solo l’ignoranza
degli umani,
che appena una piccola
vita
è sbocciata dall’Utero
Divino
le taglia il cordone
ombelicale
che la unisce al luogo
delle Origini,
e in questo modo
brutale e sanguinario
la separa
irreparabilmente
dalla suprema fonte
del Bene;
quindi ora che anche
per te
la vecchia vita si
approssima alla fine,
sei costretto a
rintracciare il moncone
del Divino Cordone
Ombelicale
da cui fosti malamente
allontanato,
se vorrai ritornare a
quelle Origini
di cui serbi
ancestrale nostalgia.
Ma il tuo piccolo
cordone ombelicale
è fatto di materia
vivente,
tessuti epiteliali e
calde arterie
dove una volta
scorreva veemente
il Fluido Divino
trasportato
dal prezioso sangue
della mamma,
è per questo quindi
che succede
di percepire uno
struggente umidore
quando tocchi a
tentoni le pareti,
poi che grondano
necessariamente
di amorose materne
secrezioni;
però credimi è solo
una fittizia
breve esperienza, dal
momento che quando
sarai prossimo
all’Ultima Conoscenza
non avrai più nemmeno
il ricordo
di quel piccolo
cordone ombelicale,
poi che già sarai
ricongiunto
con l’altissima fonte
nutritiva
del verace Moncone
Divino
da cui fosti
crudelmente amputato.
Vedrai tuttavia che
anche questo
durante il tuo
ulteriore cammino
perderà a poco a poco
i caratteri
propri della materia
carnale
di cui anche Dio non è
scevro,
diventando una sorta
intermedia,
propedeutica, di carne
metafisica;
similmente, anche la
tua integrazione
fino allora meramente
carnale
col Divino Cordone
Ombelicale
dovrà a poco a poco
passare
per la stessa fase
avanzata
in cui tutte le tue
infime molecole
diventino di natura
intermedia
in attesa dell’estrema
purificazione;
solo allora il tuo
minuscolo ego
potrà finalmente
annullarsi
nell’oceanica
grandezza di Dio.
25
‹Ma per rispondere
infine alla domanda
che ti leggo
inespressa nei pensieri,
sappi che non tutte le
anime
che penano nel canale
ombelicale
viaggiano alla stessa
velocità:
è Dio che assegna
equamente ad ognuna,
secondo il carico più
o meno greve
delle azioni, la
brevità o la lunghezza
del viaggio e il
momento dell’arrivo,
ma ovviamente il Suo
giudizio è imperscrutabile›.
Io intanto m’ero
accorto d’esser giunti
al quarto lume, che
nell’ultimo tratto
rischiarava un po’
meglio il cammino,
perciò gioii nel
vedere con maggiore
nitidezza il viso
dell’Amata
che guidandomi sicura
e sorridente
mi scrutava i pensieri
ad ogni passo
per prevenire ogni mio
turbamento.
Ma io fui lesto,
perfino troppo ardito,
poiché per primo le
chiesi con impeto:
ma se è vero, come è
vero, che l’anima
è un’essenza
sottilissima, fors’anche
se non erro totalmente
incorporea,
e nondimeno tiene
unite saldamente
come fosse una colla
divina
le molecole di materia
corporale,
come fa la Morte a
liberarla
da una così densa
congerie
di bruta materia: un
corpo morto
che più non respira né
batte
e che si sta
rapidamente disfacendo?
26
Ella allora, che per
Grazia infusa
conosceva l’alchemica
filosofia,
mi fece edotto delle
alte funzioni
che l’anima svolge nel
corpo
e i sottili
microscopici chimismi
che sottendono la Vita
e la Morte:
‹fratello amato, le
molecole del corpo
non sono uguali per
grandezza e funzioni;
le piccole molecole i
cui atomi
sono uniti da legami
più forti
son tetragone a
qualunque avversità
e perfino alla
putrefazione,
ma non hanno compiti
speciali,
fluttuano nei liquidi
organici
con funzioni di pura
manovalanza,
giusto per il pronto
trasporto
di acqua e di elementi
nutritivi.
Quelle invece
investite di compiti
specialistici sono
enormemente
più grandi e complesse
poiché sono
agglomerati di milioni
di molecole
tenute insieme
tuttavia da legami
più deboli; sono
nondimeno
di gran lunga più
pronte ed efficaci
nella costruzione
delle cellule
e negli adempimenti
funzionali
col minimo consumo
d’energia;
si può dire che
formino insieme
il grande laboratorio
dell’organismo
essendo in grado di
compiere operazioni
altamente importanti e
specifiche
nell’animare la
Materia Vivente,
così ch’essa possa
propagarsi
e perpetuarsi senza
fine;
essa infatti è
assolutamente immortale
poi che il compito
assegnatole dall’Alto
è riempire di sé
completamente
ogni piccolo spazio
dell’universo
per sublimare la
Materia Bruta.
Ebbene, solo queste
molecole
richiedono che il
collante dell’anima
mantenga saldi e
uniti, affinché
non si disgreghino
miseramente,
i loro grossi
aggregati molecolari
fino al giorno in cui
sarà compiuto
quel grandioso Disegno
Divino,
ove tutta la Materia
dell’universo
nel suo lungo e
laborioso cammino
dal big-bang
all’ominide realizzi
l’agognata
ultra-umanizzazione,
il punto Omega
dell’Evoluzione;
solo allora questo
vecchio Creato
sarà fatto davvero ad
immagine
e somiglianza di Dio.
Ma per ora ti basti
sapere
che quando cessa di
fluire il nutrimento
a quelle enormi
cattedrali di molecole
incollate insieme
dall’anima,
ovvero quando il corpo
materiale
ha cessato di battere
e respirare
ed è preda della
putrefazione,
esse sono destinate a
sfasciarsi
in mille piccole
molecole inorganiche
del tutto inutili ai
fini della Vita,
e che quindi si
disperdono nel mondo.
Questo è appunto il
momento in cui l’anima
non ha più la funzione
di collante,
e poiché resta orfana
di corpo
è libera di tornare
alle origini
risalendo il Cordone
Ombelicale
per riportare la
propria particella
nel Grande Ventre dove
un giorno è nata›.
27
Dopo questo
ragionamento mi fu chiaro
un problema che mi
stava a cuore,
se fosse più giusto
seppellire
i nostri cari in una
nera fossa
o cremarne i poveri
corpi
teneramente amati.
Poiché il fuoco
dissolve la materia
vivente
non lasciando che
cenere inorganica,
mi pareva che il
completo rilascio
dell’anima dalla
stretta del corpo
sarebbe certamente
immediato,
mentre inutile e
tediosa sarebbe
l’attesa del naturale
disfacimento
nel fondo verminoso
d’una fossa
finché l’anima si
liberi dalla stretta
mortale delle proprie
molecole.
Così dissi alla divina
Maestra,
e mi parve che
annuisse col capo
come segno della sua
approvazione;
ma io, ch’ero ancora
dubbioso,
replicai che nondimeno
mi pareva
che l’orribile fuoco
sterminatore
fosse una mancanza di
rispetto
verso un corpo amato a
tal punto
da nutrire addirittura
il desiderio
di tenerlo in una teca
accanto a noi
magari col potente
ausilio alchemico
dell’imbalsamazione,
se non fosse
un così riprovevole
artificio.
‹Dici bene – ella
rispose – nostra cura
dev’essere affidare i
nostri cari
solo all’opera
naturale della Morte,
il cui nobile scopo è
da sempre
propagare l’esistenza
proteiforme
della Materia Vivente
nel cosmo
anche tramite umili
organismi
voraci, quali vermi ed
insetti
abitatori delle infime
latebre
della Terra. Pertanto
non è giusto
affrettare la
liberazione
dell’anima, anche se
ti sembra
ch’essa soffra
l’attesa di congiungersi
col Padre: per lei
assolutamente
non vale il vostro
tempo materiale
ma un tempo
squisitamente metafisico
senza forma né
sostanza, come quello
che vi insegna la
Meccanica Quantistica
quando mostra che nel
vuoto assoluto
fantasmi di fotoni ed
elettroni
burlandosi di voi si
scambiano
solo spettri di
materia e anti-materia
e spettri di frammenti
di tempo›.
28
Ma se è vero – pensai
– che il nostro mondo
che pur ci appare così
solido e reale
è invece solo un mondo
di corpuscoli
fluttuanti fra materia
e anti-materia,
è per questo allora
che l’anima
è incapace di trovare
in questa terra
un rifugio che ricordi
quello caro
della mamma, che però
è soggetta
all’iter della morte;
è per questo
che l’anima è tanto
impaziente
di tornare alle
Origini anche a costo
di strisciare con pena
e timore
su per il cordone
ombelicale
dove sa di trovare
l’altra Luce
calda e buona d’una
Madre Eterna.
Questo pensai, ma poi
mi occorse un dubbio:
se l’immenso Utero di
luce
è il luogo in cui
all’anima è concesso
di annidarsi in
infinita beatitudine,
come mai accade
talvolta
che anime inquiete con
le amate
veraci sembianze dei
morti
si mostrino ai vivi
intimoriti,
mute reclamando pietà?
Dimmi, tu che sai –
chiesi allora
alla Divina Maestra –
son davvero
anime incorporee
scampate
all’iter della morte
per un guasto
nel meccanismo del
timer naturale
che in ognuno apre e
chiude la vita
pur lasciando i suoi
sensi ancora vigili
e la mente ancora
pensante?
o sono forse
dolorosamente
rimaste incollate alle
molecole
del proprio corpo,
come spesso accade
agli infelici che nel
letto di morte
restano crudelmente
prigionieri
di un coma
irreversibile ove ancora
le anime sentono e
pensano
senza mai poter
chiamare soccorso?
oppure le incerte
figure,
che talvolta vengono a
noi
guardandoci mute,
pronte subito
a svanire in un soffio
nel nulla,
sono anime finite per
errore
nei meandri d’altri
mondi paralleli
a quello conosciuto in
cui viviamo
ma che da questi non
possono evadere,
e allora invocano un
po’ di pietà?
29
‹È vero – Ella rispose
– qualche anima
si perde nel lungo
percorso
del canale ombelicale
che tu stesso
stai percorrendo;
tuttavia non accade
per un errore nei
processi chimici
che aveva causato la
morte,
ma per il peso
materiale dei peccati
e l’incapacità di
riconoscere
la giusta via fra
quelle che si aprono
dopo il trapasso, e
allora frastornate
si guardano intorno
dubbiose;
alcune cercano di
raccapezzarsi
attraverso la bruma
che le avvolge,
altre invece cercano a
ogni costo
di tornare nel mondo
dei vivi
che disperatamente
amano
per riprendersi le
cose a loro care;
ma perlopiù son
richiamate indietro
dalle preci accanite
delle madri,
che ignorando di far
loro del male
costringono le anime
infelici
ad arrestarsi
penosamente a mezza strada
privandole quindi
crudelmente
della felicità ch’è
possibile
soltanto nel regno
perfetto
dell’incorporea vita
ultramondana.
30
‹Ma tutto ciò –
continuò la mia Maestra –
non è cosa che
riguardi il tuo caso,
poi che tu non sei
ancora morto,
sei soltanto un
fortunato visitatore
la cui anima anela
lodevolmente,
ma senza avere titolo
di defunto,
a rientrare nel Ventre
di Dio.
Ciò ti serva tuttavia
di monito
per quando la tua
morte corporale
un giorno sarà
definitiva
e quindi ti porrà come
tutti
davanti alla scelta
della strada
dove inizia il cammino
salvifico;
ma poi che spero di
poterti accompagnare
fino all’ultimo stadio
di Conoscenza
per esser certa che tu
sia rientrato
nel verace Cordone
Ombelicale
(l’unico che porti al
Santo Utero)
dipende soltanto da
Dio
se in via eccezionale
accettare
la tua anima di uomo
ancora vivo,
ancorché vecchio e
malandato peccatore,
oppure rimandarti
sulla Terra
per i tuoi dubbi in
odore di eresia
a meditare in una
prossima vita
gli irrefutabili dogmi
teologici ›.
31
Mentre intercorrevano
fra noi
tali discorsi, mi
avvidi che la luce
propria del Canale
Ombelicale
s’era fatta vieppiù
chiara; il quinto lume
cui infatti ero giunto
era più forte,
sì che adesso vedevo
risplendere
negli occhi della mia
Maestra e Donna
come mai prima d’ora
l’alta Grazia
e Sapienza di origine
celeste.
Ad un tratto tuttavia
col tuffo al cuore
m’accadde di vedere
chiaramente
sotto il lume dove
stava riposando
la figura familiare
d’un amico
con cui divisi una
gloriosa giovinezza
fatta allora di epiche
diatribe
di natura filosofica e
scientifica;
era il caro mai
scordato Bonaccorso,
che purtroppo da tempo
avevo perso
lungo le ardue strade
della vita,
ma che un giorno avevo
ritrovato
visitando un terribile
Palazzo
in cui hanno luogo
dolorose,
teologiche amputazioni
corporali
per mondare le maligne
escrescenze
formatesi per
l’accumulo dei peccati.
A quel tempo era steso
senza un moto
sul suo letto di
dolore solitario
ed io volevo perfino
confortarlo
senz’accorgermi che
l’anima ormai
aveva abbandonato la
sua spoglia.
Ma oggi io l’avevo di
nuovo
ritrovato: stava lì
davanti a me
seduto sotto il lume
d’ordinanza
e sembrava star bene,
seppure
avesse il viso un po’
stanco; io allora
spinto impetuosamente
dai ricordi
mi sono avvicinato con
l’ansia
d’un abbraccio, ma con
gesto gentile
questa volta m’ha
fermato dicendo
‹amico mio, m’è tanto
caro ringraziarti
per il conforto che mi
dà rivederti
e per le belle memorie
che risvegli,
ma purtroppo la mia
forma e sostanza
è diversa dalla tua,
che sei vivo,
mentre l’iter della
mia salvazione
è ancora lungo a causa
d’un ristagno
negli interstizi fra
anima e corpo
d’un riprovevole
rigurgito di nostalgia
per il mondo che ho
dovuto lasciare
e per coloro che amo;
come vedi
ancora mi muove alle
lacrime
il ricordo dei tuoi
sforzi per svegliare
il mio corpo già morto
ed estrarne
un ultimo bagliore di
coscienza.
Lascia dunque, ti
prego, ch’io prosegua
il cammino della
Conoscenza
senza questa cara
zavorra
dei ricordi materiali,
che purtroppo
rallentano il mio
ultimo viaggio
trattenendomi legato
al vecchio mondo›.
32
Anch’io ero molto
turbato
dal ricordo
dell’ultima volta
che lo vidi col suo
corpo morto
steso sul letto; ma a
quel tempo ero certo
che l’anima non può
dipartirsi
così subitamente dal
corpo,
e allora con affetto
gli parlavo
e ancora gli parlavo,
come insegna
il Libro Tibetano dei
Morti,
ché lo spirito ancora
molti giorni
resta prigioniero
delle cellule
lente a morire, la
qual cosa è dimostrata
dalla barba e dalle
unghie dei morti
che nondimeno, per la
forza vitale
che ancora ha l’anima,
continuano a crescere;
e poi sapevo che per
molti Sapienti
l’anima anche dopo il
distacco
per molto tempo
aleggia accanto al letto
forse ancora bisognosa
di teneri,
amorosi abbracci
terreni.
Ma poiché altri grandi
Teologi
sostengono che l’anima
s’invola
appena il corpo esala
l’ultimo sospiro,
ansiosa di giungere al
più presto
alla Meta agognata, io
nel dubbio
mi volsi alla mia
Guida dicendo:
somma Maestra, se è
vero, com’è vero,
che l’anima è il
collante divino
che tiene unite le
molecole del corpo,
essa allora non è
quella monade
così tetragona
descritta dai Filosofi,
può darsi anzi che
abbandoni il morto
a poco a poco, quasi
senz’accorgersi,
a mano a mano che uno
dopo l’altro
i grossi agglomerati
di molecole,
come tu m’hai appena
insegnato,
muoiono d’inedia e si
disgregano;
se è così, la parte
già libera
non potrebbe iniziare
il suo cammino
verso il Bene tanto
agognato?
Ma l’Amata, che pur
benevolmente
mi ascoltava, rispose:
‹ciò che pensi
è eresia: l’anima è
un’essenza
indivisibile, poiché
non è altro
che l’Io stesso, e
l’Io com’è ovvio
non può certo
frazionarsi, una metà
prigioniera nella
stretta delle molecole
e un’altra libera, in
viaggio verso il Bene,
altrimenti non sarebbe
quella monade
che per definizione si
designa
essere l’Io Pensante e
Volente.
La natura dell’anima è
ovviamente
incorporea, ma finché
essa è intenta
a soccorrere anche
l’ultima molecola
del moribondo, non può
certo trovarsi
anche lungo il cammino
salvifico
del Cordone
Ombelicale, per quanto
possa essere grande il
suo anelito
all’unione perfetta
con Dio›.
33
Tutto ciò mi richiamò
alla mente
quanto fosse ancora
lontana
la mia meta, e quanto
duro il cammino
prima di potere
acquisire
l’anelata perfetta
comprensione
delle cose celesti;
confesso
ch’ebbi allora un
momento di debolezza
e mi punse il
pungiglione della Ragione;
pensai quanto fosse
più semplice
quella vecchia vita
terrestre
vissuta fra le gioie
che offre
agli onesti abitatori
della Terra,
seppure molti non
siano purtroppo
che feroci animali
sanguinari
che si fregiano di
Homines Sapientes
ma sanno soltanto
lordarla
con turpi gozzoviglie
ed assassinii
senza ambire neppure
ad un barbaglio
della Luce che
potrebbe salvarli
se guardassero almeno
una volta
in alto verso il Regno
Celeste.
Con dolcezza dunque mi
sovvenni
del vecchio sole,
delle buone stelle
che brulicano in cielo
quietamente;
ma mi sovvenni anche
di galassie
che sgomentano, di
spazi interminati
che succhiano le anime
morte
trascinandole nei loro
buchi neri;
mi sovvenni anche
della ressa
delle folli opere
umane
concepite dal Demonio
che esorta
a perseguire virtute e
conoscenza
e obbedendo a quel
consiglio bugiardo
crescono cattedrali
nel deserto,
Vitelli d’Oro venerati
dalla vacua
arrogante scienza
meccanicistica.
Io mi chiesi allora
dove mai
nel disegno senza
dubbio divino
di una pur magica Mela
ci sia posto per tutta
questa roba
terrestre e celeste,
un po’ buona
e sicuramente un po’
cattiva,
che ingombra un Creato
già vecchio
a poco a poco
sgretolato da implacabile
entropia e che infine
soprattutto
non è mai servito a
nessuno,
poiché ciò che preme
alle anime
è soltanto di essere
riaccolte
nel sicuro grembo di
Dio.
34
O forse nella sua
onnipotenza
Dio ha miniaturizzato
Se Stesso
e il suo bizzarro
Creato concentrando
tutto il volume
dell’Essere
con tutte le sue
creature
in questa microscopica
Mela:
un piccolissimo punto
nello spazio
in cui Egli ha così
fittamente
condensato la propria
Energia
finché esplodesse in
un big-bang liberatorio
sparpagliando nello
spazio brandelli
di Lui stesso, polvere
cosmica,
e detriti di stelle
cadenti.
Però subito ha rifatto
Se stesso
ancora più bello ed
immenso,
dando inizio ad un
nuovo Creato
ancora pieno di
stelle, di pianeti,
di ambigui buchi neri,
e per finire
l’incomprensibile iter
dei cicli
e ricicli, delle
nascite e morti,
una continua
resurrezione della carne
che di padre in figlio
perpetua
l’esistenza della
Materia Vivente;
ma per quale
invisibile fine
ha donato l’eterna
immortalità
a questa bruta
esorbitante Materia,
una massa vivente così
molle,
fradicia,
decomponibile, spesso
immonda, arrogante,
assassina?
35
So già che adesso, mia
sapiente Maestra,
dirai ancora che sono
in errore,
che m’ha ingannato la
Fata Morgana
dei falsi e
artificiosi concetti
di spazio e tempo,
certo privi di senso
nelle incommensurabili
profondità
del Pensiero Assoluto,
laddove
è solo Dio a girare
senza fine
su se stesso stracolmo
di Sé.
Ma la Divina Maestra,
cui tutto
dei miei pensieri era
noto, rispose
come sempre con
amabile indulgenza:
‹ciò che pensi su Dio
e l’universo
è inquinato dal mito
accumulato
nei secoli da
ignoranti panteisti,
che lo spazio
interminato dei mondi
con tutta la turpe
materia
che contiene sia lo
stesso Dio
che ci ha benignamente
creati;
secondo questa triste
schiera
di eretici che
ignorano la Logica
(e per questo
meritarono il rogo)
Dio avrebbe natura
corporea,
sarebbe un unico
organismo materiale
grande infinitamente
quanto il Cosmo,
che secondo la Logica
umana
dovrebbe quindi
contenere Dio.
Ebbene perfino alla
tua mente,
se davvero loico fussi come credi,
sarebbe chiaro questo
semplice dilemma:
o il Cosmo si è
autocreato
oppure è creatura di
Dio;
ma come tale è
giocoforza che esista
al di fuori di Lui,
esattamente
come la cosa creata
non può essere
lo stesso creatore, né
può essere
in lui contenuta;
similmente
all’embrione appena
concepito
anche il mondo nel
Ventre di Dio
è soltanto un’idea,
una potenza
che solo l’espulsione
dall’Utero
fa che diventi
mirabile
atto.
36
‹Ora ascolta e scrivi
ciò che è vero:
il mondo che hai visto
e vissuto
nel pieno della vita,
quando ancora
non era iniziato il
processo
della tua decadenza
senile
che porterà alla tua
morte corporale,
è solo un bellissimo
sogno,
una sorta di piacevole
Apparenza
iniettata dal buon Dio
nella tua mente
perché tu creatura
mortale
godendo di quest’Eden
l’onorassi
e ringraziassi per il
grande dono;
il quale, ancorché
esso esistesse
esclusivamente nella
mente,
ha dato al tuo Io
l’eccezionale
parvenza di realtà che
ha consentito
l’indubitabile
coscienza di esistere;
anche il cogito ergo sum
del gran
Filosofo
non sarebbe mai stato
concepito
senza quel confronto
col mondo
iniettato da Dio nella
sua mente.
Ora puoi facilmente
comprendere
quanto erronea sia
l’eresia
del panteismo, che
immagina Dio
essere lo stesso
Universo;
tuttavia devi anche
esser conscio
che con la morte
tutto, com’è nato,
tutto si cancella
dalla mente:
la bella Terra, di cui
serbi nostalgia
e che ha fatto
diventare
atto
la piccola potenza del tuo ego,
subito scompare con
esso,
sì che l’unica acuta
nostalgia
sarà per il ventre di
Dio
da cui sei nato ed a
cui ritornerai›.
37
Mentre la divina
Maestra
mi rendeva supino
ascoltatore
di queste a sua detta
irrefutabili
verità, mi accorsi con
stupore
d’una gran luce,
perfino il vecchio Tunnel
era molto più ampio,
le pareti
trasudavano ancora i
buoni umori
amniotici del cordone
ombelicale,
ma spandevano un nuovo
chiarore
che accertai di natura
metafisica
poiché riverberava
dall’Alto
e diffondeva ovunque
una sorta
di estatico celestiale
appagamento.
Rallegrandomi pensai
che questo fatto
indicasse un decisivo
progresso
nel mio cammino di
avvicinamento,
adesso infatti potevo
agevolmente
accogliere la Scienza
Filosofica
direttamente dagli
occhi dell’Amata
solo guardandoli, e in
tal modo suggere
i tanti lumi di
sapienza e bellezza
che ella spandeva
dall’anima.
Lei, che aveva letto i
miei pensieri,
lieta mi disse: ‹come
puoi tu stesso
constatare coi sensi
più fini,
la conoscenza del Vero
si accresce
a mano a mano che
avanza il cammino
fin quando sarai
prossimo a toccare
la grande Perfezione.
Nondimeno
non sarai ancora in
grado di accogliere
con la mente troppo
umana d’uomo vivo
l’intera Verità, ch’è
contenuta
soltanto nell’Ultima
Conoscenza›.
38
Mi turbò di questa
parola
l’arcano inquietante
significato,
chiesi allora alla
sapiente Maestra
cosa fosse quest’Ultima
Conoscenza
di cui tanto si parla
ma ancora
ella non m’aveva
spiegato:
è una formula, un
numero, un concetto
universale ancora
conoscibile
dalla nostra
sprovveduta Ragione
o può essere solo
afferrata
col furore dell’estasi
entrando
nelle sue profondità,
che io m’immagino
senza fondo? quest’Ultima
Conoscenza
è simile a un orgasmo
della mente
dove tutto della
solida realtà
che ci circonda si
offusca e perde forma
e subito sopravviene
la morte?
quale ultima
conoscenza è possibile
ad una mente già tanto
confusa
per l’incombente
presenza della Morte,
forse altri terribili
mondi
o i paurosi fantasmi
dei buchi neri
che come orchi
inghiottono in un vortice
la stessa luce e gli
oggetti celesti
che a loro
incautamente s’avvicinano?
o forse quelle oscure
profondità
nascondono verità più
terrifiche
che Dio si riserva di
svelarci
soltanto nell’estremo
momento
del trapasso allorché
la nostra mente,
ritrovata la propria
originaria
verginità
intrauterina, può accoglierla
senza che ci faccia
più paura?
39
‹Tu ti ostini ancora a
pensare
con gli stessi
inadeguati strumenti
della mente corporale
– rispose
la mia Maestra e Donna
sorridendo
pazientemente – ma non
hai da temere,
poiché non v’è
assolutamente alcuna
terrifica verità da
svelare,
l’Ultima Conoscenza
non è
ultima
secondo il fittizio
orologio
del tuo tempo mortale
ma soltanto
perché dopo non v’è
alcun’altra cosa
da conoscere né in
terra né in cielo.
Eppure so che tu credi
ingenuamente
d’avere ancora da
svelare altri mondi,
altri chimismi della
pur insondabile
materia vivente, che
sai bene
essere di origine
divina,
e ciononostante hai
voluto
consacrare la vita
avuta in dono
solo alle bugiarde
scienze empiriche
perseguendo seppure in
buona fede
l’ingannevole figlia
del diavolo
che nominate “virtute
e conoscenza”.
Sappi dunque che l’Ultima
Conoscenza,
che il tuo semplice
sentire non comprende
e forse teme come
prodromo di morte,
è invece la Pienezza
dell’Essere;
già ti ho detto che
dopo la tua morte
il mondo materiale che
finora
hai conosciuto
svanisce totalmente:
è cancellata perfino
la memoria,
resta solo quel po’ di
coscienza
che permette l’atto
volitivo
indispensabile al
piccolo salto
che ancora dovrà fare
il tuo spirito
per accogliere l’Ultima
Conoscenza,
ed ora sai che l’Ultima
Conoscenza
che tanto temi non è
altro che
Dio.
40
‹È infatti solo in Lui
– continuò
la mia celeste Sorella
e Protettrice –
che il cammino
intrapreso da te
nasce e felicemente
finisce,
laddove l’Altissima
Meta
è lo stato perfetto
dell’essere
che il Padre t’aveva
preparato,
ma la cui conoscenza
salvatrice
ti fu iniquamente
interdetta
dal taglio crudele e
sanguinario
del tuo tenero cordone
ombelicale
quando piccolo e
ignaro fosti espulso
dal tepore dell’utero
di tua madre
e la vita neonata in
cui entrasti
era tanto orribilmente
fredda
da indurre una sorta
irreversibile
di ripulsa, che ora
purtroppo
accompagna ogni essere
vivente
vegetale, animale od
umano;
per questo, fin da
quando esso nasce
non gli resta che la
grande speranza
di una Nuova Vita
oltre la morte.
Ora sai che anche la
tua anima,
se la tua volontà non
verrà meno,
con questo viaggio
saprà ritrovare
il moncone allora
perduto
del verace Cordone
Ombelicale
che conduce al ventre
di Dio;
posso dirti anzi fin
d’ora
che già molto della
bruta materia
che appesantiva la tua
vita meschina
s’è spogliato, e per
te non è lontano
il tempo della piena
Beatitudine›.
41
Se ho ben capito, mia
suprema Maestra,
col tuo dire vuoi
significare
che il raggiungimento
della Meta,
che pure assicuri
salvifica,
comporterà
immancabilmente la mia morte;
accadrà addirittura
questa cosa
ancor più dura, ch’io
perda perfino
la memoria del
passato, ovvero ciò
che fa di me ciò che
sono e sono stato,
se essa è cancellata
col mondo;
sarò quindi
irrevocabilmente
soltanto in angosciosa
compagnia
di me stesso, mentre
il premio agognato
sarà solo di avere la
mente
brutalmente allagata
da un bagliore
di natura divina
sconosciuta,
che già incute paura
immaginarla;
si tratta infatti
molto più d’un deliquio,
poiché il mio Io
estinguerà la sua esistenza
come individuo unico e
pensante
fatto d’anima, di
mente, di corpo
e di tutte le cose più
care;
nessun essere
terrestre o celeste
sarà lì ad
accompagnarmi benevolo
tenendomi per mano,
non potrò
più vedere il tuo viso
né udire
la dolcissima voce,
avere ancora
uno sguardo che mi sia
di viatico
in quell’ultimo
terribile istante,
se tutto, proprio
tutto, è cancellato.
42
Ma la buona Maestra
m’interruppe
quasi rimproverandomi:
‹credimi,
è soltanto l’ignoranza
a trattenere
ancora avvinta alle
cose mondane
la tua decrepita mente
corporale;
è vero che un giorno
fu Dio stesso
a voler benignamente
per gli uomini
quest’attraente Eden
fantasma
fatto di materia e
antimateria,
di elettroni che
diventano fotoni
e fotoni che solo in
apparenza
diventano solida
materia,
ma ricorda che tutto è
solo vuoto,
seppure di piacevoli
apparenze:
un finto firmamento di
stelle
e un finto Eden
traboccante d’attraenti
forme viventi, che
almeno converrai
vi hanno reso la vita
piacevole
ma che di fatto il
buon Dio vi ha iniettato
nella tabula rasa
della mente
appena essa è fiorita
dall’humus
dei neuroni corticali
del cervello,
devi dunque accettare
con gratitudine
che almeno là esista
il magnifico
seppure finto mondo
che amate.
Ma il tuo errore è
credere che devi
con un ultimo atto
volitivo
rinunciare a quello
che ti appare
come un mondo reale,
la qual cosa
capisco che potrebbe
anche essere
dolorosa, se perdersi
nell’oblio
non fosse invece un
fatto assolutamente
automatico e indolore,
anzi non fosse
un’estasi dolcissima
che invade
tutto l’essere con
l’onda soverchiante
di un Bene
infinitamente più grande
che assorbirà il tuo
piccolo spirito
ridestandolo alla vera
e reale
esistenza cui sei
stato destinato.
43
‹Ma se ancora un
timore ti tormenta
– continuò la celeste
Maestra –
sappi che sarà come
quando
al primissimo
principio della vita
il dolce atto della
fecondazione
diede avvio nel grembo
della mamma
al tuo minuscolo
embrione, ma Dio
non t’aveva ancora
iniettato
il programma
d’attraenti apparenze
creato su misura per
te
poi che ancora non
avevi una mente,
e allora il tuo
universo era solo
il materno liquido
amniotico
e in quel lago nuotava
beato
l’embrione del tuo
ego. Adesso sai
che almeno al
principio della vita
hai già fatto una
minima esperienza
dell’intensa
beatitudine che ti attende;
non temere dunque, poi
che tutto
avverrà come dolce
trapasso
ad un profondo sonno
senza sogni:
l’Essere Infinitamente
Buono
ti aspira nel suo
gorgo e tu sei già
col tuo piccolo essere
incentrato
nell’unico sogno
possibile
ch’è appunto l’Ultima
Conoscenza;
e sai che l’Ultima
Conoscenza è Dio.
Capire il mistero di
Dio
in fondo è semplice,
se tu non l’avvicini
con l’arrogante
ragione meccanica
ma con l’umile slancio
del cuore›.
44
Ma io, che da queste
parole
ero invece più turbato
che mai,
volli chiedere alla
Somma Maestra
ciò che fin dalla
tenera età
più d’ogni altra cosa
m’angustiava:
in che modo e sotto
quale aspetto
si mostrerebbe infine
alla mia anima
il Dio di cui con
tanta reverenza
ella parlava? Dall’età
della ragione
non ero infatti
riuscito a figurarlo
se non con l’immagine
barbuta
dei santini, che
appariva più sconcia
che truffaldina, e
certamente irriverente
verso un Dio la cui
infinitudine
non permette all’umana
ragione
d’immaginarne la forma
o la sostanza.
Di botto chiesi
allora: come appare
insomma Dio? E la
celeste Sorella
di nuovo garbatamente
redarguendomi
rispose ‹sei solo
blasfemo,
se ti ostini a volere
attribuire
con la tua cieca mente
corporale
(che Dio t’ha concesso
soltanto
per dare provvisoria
stabilità
al tuo ego neonato
ancora labile
e inconsistente)
un’immagine reale
proprio all’Ente che
per sua natura
non può averne, come
già più volte
t’ho detto e come
anche la ragione
dovrebbe darti
contezza, la tua mente
essendo fatta di rozza
materia
all’uopo assolutamente
inadeguata:
rozze cellule che
possono emettere
solo effimeri guizzi
di elettroni
e accendere solo
ingannevoli
fantasmi di pensieri,
inaffidabili
appunto perché emessi
soltanto
da un’instabile
materia-antimateria
che sfugge perfino
all’analisi
matematica, astrale e
metafisica
della vostra Meccanica
Quantistica;
rifletti invece quanto
più appropriata
è la condanna che
certe religioni
più evolute scagliano
a coloro
che osano offendere e
umiliare
il Dio Unico e Vero
dipingendolo
ridicolmente in triste
forma umana.
Per soddisfare dunque
come posso
la tua domanda sul Dio
Unico e Vero,
ecco ciò che brami
sapere
di quella ch’è ancora
per te
un’entità talmente
misteriosa:
Dio non appare in
alcun altro modo
che come un’unica,
enorme, purissima,
seppure ancora per te
indecifrabile,
infinita
concentrazione di Essere›.
45
Ma se siamo creature
di Dio
– pensai e dissi ad
alta voce impetuosamente –
e come insegna la
veridica teologia
siamo fatti a immagine e
somiglianza
della grande Sua Mente
Creatrice,
come mai la Logica
Matematica,
le cui leggi crediamo
governino
l’intero universo, non
vale
affatto per tutto il
Creato
e neppure per la mente
di Dio?
Se infatti
conoscessimo la Logica
che governa la Sua
Mente, potremmo
addirittura penetrare
il Suo Pensiero,
potremmo ad armi pari
concepire
l’Inconcepibile senza
esser divorati
dal terribile tarlo
del dubbio.
Ma la mia venerata
Maestra
questa volta
m’interruppe severa:
‹sappi che la tua
teologia
è falsa quanto gli
uomini meschini
che la inventarono:
Dio non ha affatto
una Mente fatta a
immagine e somiglianza
di quella umana, anzi
non ha affatto
alcuna mente, e quindi
alcuna Logica;
la somiglianza con le
sue creature
verte solo sulla
corporeità,
che anche Dio conosce
molto bene;
ma per il resto siete
piccoli esseri
che il dono
dell’autocoscienza
ha redento ad animali
pensanti
perché possiate con
consapevolezza
adorarlo come il Padre
dei Padri;
siete insomma una
schiera infinita
di piccoli specchi
viventi
che in guisa di umili
satelliti
lo attorniate affinché
Egli si sazi
con la luce che voi
riflettete,
senza peraltro che
possiate mai
trattenerne per voi
neanche una goccia.
È proprio questa
tragica imperfezione
che vi procura il
bisogno furioso,
che non potete
appagare sulla Terra,
di conoscere
l’Assoluta Perfezione
del Grande Essere,
essendo inadeguate
le rozze artificiose
categorie
della vostra mente
matematica,
la quale può solo
funzionare
con l’ausilio fallace
dei numeri
per la furba proprietà
che posseggono
di fare apparire reali
i fantasmi dello
spazio e del tempo›.
46
Dimmi almeno, divina
Maestra,
quali eventi
dovrebbero accadere
quando attingeremo
finalmente
questa grande Concentrazione di
Essere
di cui parli e che io
già m’illudo
d’intravedere come un
fioco lumino
certamente ancora
molto lontano;
che avverrà in quel
fatale momento
a questo nostro
minuscolo ego,
che per sentirsi
veramente esistere
deve giorno per giorno
farsi avvolgere
dall’umido calore
animale
della mamma o della
sposa, se già ora
davanti alla gelida
voragine
dell’Infinito si
ritrae inorridito?
non potrebbe infine
accadere
che giunte all’estrema
sommità
(o all’inimmaginabile
profondità)
dell’Essere, le anime
soccombano
annichilite proprio
dal bagliore
della Luce che
dovrebbe soccorrerle?
o forse a quelle anime
impaurite
non verrà mai concesso
di vedere
l’Ente Supremo nella
Sua interezza,
essendo destinate
dalla morte
a trasmigrare
fortunosamente
in nuovi individui o
animali
concepiti dal grembo
d’altre madri
e tutti destinati a
trasmigrare
senza fine, tutti
bisognosi
del latte della mamma
o della sposa
per avere contezza di
esistere?
47
‹Vedo che persisti
nell’errore
– disse accorata la
Divina Maestra –
e che sei lungi da
esser distaccato
dai terrestri bisogni
animaleschi
della parte mortale di
te;
ma ti prego, fai che
non ceda
la tua perseveranza
proprio ora
che stai per
ricongiungerti al moncone
del divino Cordone
Ombelicale
da cui fosti amputato,
e sembri giunto
a un lodevole stadio
di percorso
molto prossimo alla
sfera metafisica
ch’era meta di tutti i
tuoi pensieri.
Sei vicino infatti ad
accedere
al godimento della
piena Beatitudine
che ti è stata
certamente destinata
in seno a quel Motore
Immobile
che dà il moto a tutto
l’universo
specchiandosi nei
figli e rendendo
Atto puro ciò che prima in loro
era solo informe
Potenza.
Ti prego, devi credere
che presto
tutti questi dubbi
blasfemi
che mettono a rischio
la tua anima
subito si
scioglieranno come neve
allorché svanirà
automaticamente
ogni altro pensiero o
sentimento
che non sia di
perfetta Letizia;
essa infatti è
un’estasi dell’anima
che sublima ogni
piccola molecola
del tuo corpo
materiale finché esso
sia assorbito
dall’Essere Divino›.
48
Ma io, che ancora ero
pregno
della triste natura
mortale
e dipendevo dai
chimismi cerebrali
ancora e sempre di
quell’Homo Sapiens
che vagava con la
clava per le steppe,
dichiarai di non esser
soddisfatto
e chiesi petulante in
quale luogo
ancora ignoto dello
spazio e del tempo
di questo nostro
universo conosciuto,
o di quale altro
universo
parallelo e
sconosciuto la cui vista
sia preclusa ai
semplici mortali,
abbia sede una tale
inconcepibile
concentrazione di
Essere da indurre
ogni uomo pur senza
conoscerla
a volerla ad ogni
costo attingere.
Fu a questo punto che
la buona Sorella
– e gli occhi le
lucevan come mai
perché forse
tratteneva le lacrime –
decise ch’era giunto
il momento
di sciogliere i lacci
ad un Segreto
che fino allora a suo
saggio giudizio
non m’aveva voluto
svelare
poiché non ero pronto
ad accoglierlo
a causa del bagliore
intollerabile
che ha il Vero
Assoluto: ‹ma adesso
– ella disse – che sei
giunto ad un livello
già molto avanzato del
cammino
puoi forse sopportarne
l’impatto
almeno con
l’intuizione,
se proprio non puoi
con la ragione
dal momento che questa
non è in grado
di elaborarne la
dolorosa interezza.
49
‹Ebbene – disse – è
mio dovere rivelarti
che mai potrai
conoscere quell’Essere
che tanto ansiosamente
cerchi
d’immaginare, neppure
se riuscissi
ad acquisire tutte le
perfezioni:
il viaggio infatti per
raggiungere Dio
non ha fine, per la
semplice ragione
che Dio è proprio quel
Cordone
Ombelicale
infinito che stai
calpestando
e che in eterno dovrai
calpestare
senza mai potere
arrivare
alla Luce anelata:
sappi infatti
– e questa sarà la
verità
più dura e
incomprensibile da accogliere –
che la Grandissima
Luce di cui tanto
hai fantasticato
non esiste
né mai in alcun luogo
è esistita
né mai io posso aver
detto
che Dio sia Luce. Ma
ti sia di conforto
sapere che un dì non
lontano
l’embrione del tuo ego
sarà chiuso
di nuovo in un Ovulo
perfetto
com’era al tempo prima
della nascita,
ma ora sarà Dio a
fecondarlo
e ad assorbirlo negli
umidi recessi
del suo materno
Cordone Ombelicale
finché diventi con Lui
una sola carne;
saranno le cellule
stesse
del tuo embrione a
volersi annidare
nei tessuti del canale
uterino
formando in quelle
carni una placenta
e generando nuove vene
ed arterie
che simili a radici
succhieranno
come un feto vorace il
nutrimento
dalla mucosa del
Cordone Ombelicale,
il quale infine
avvolgerà il suo feto
in un abbraccio senza
fine; ciò significa
che Dio destina la tua
carne di figlio
a farsi carne verace
della sua carne,
che è quella d’una
Madre divorante
e per divina natura
insaziabile.
Questa dunque era l’Ultima
Conoscenza
che avevo in serbo per
te, che tu temevi
come si temono le cose
incomprensibili
ed io temevo non
avresti sopportato›.
50
Confesso che la scena
evocata
da queste inesorabili
parole
mi procurò dapprima
una sorta
di obnubilante male
interiore,
una specie di nausea
dello spirito.
Ma subito mi riebbi,
sospinto
da un terrestre tarlo
del dubbio
e da un’acuta cocente
nostalgia
per la semplice
vecchia Ragione
di ominidi armati di
clave,
la quale come occhio
di aquila
refrattario a
qualsiasivoglia anestesia
di estasi divina,
oppio dei popoli,
diuturnamente vigila
affinché
ogni pensiero nasca
dritto e sano
secondo quell’Ordine
molecolare
impresso nella Vita
primigenia
e conservato nelle
Tavole della Legge
del DNA; soltanto
questo infatti
ha il diritto d’esser
designato
come unico verace
Demiurgo,
che dopo aver plasmato
il cervello
dei vermi, dei rospi e
dei serpenti
ha creato le menti
perfette
dei nuovi ominidi
facendone vibrare
le idee frementi come
corde di violino
che alte risuonano nei
crani
e talvolta si possono
osservare
lanciarsi in raid
vertiginosi perfino
al di fuori delle
gabbie cerebrali
in cui sono state
generate
ed esplodere nei cieli
dello Spirito.
51
Arrestai pensieroso il
cammino
per immergermi negli
occhi dell’Amata
che ora apparivano
tristi
poiché aveva letto i
miei pensieri.
Addolorato allora mi
sforzai
di credere alla sua
verità
per quanto paurosa
m’apparisse
rimettendola all’esame
della Ragione;
per compiacerla
rinunciai perfino
a cercare avanti a me
il barlume
di quella Luce che ora
era scomparsa
ma che avevo ancora in
cuor mio
il desiderio
inappagato di vedere.
Eppure ancora un
istinto prepotente
irruppe in me
reclamando di smentire
il Dio della mia
Guida, che grondava
di materie viscerali,
un groviglio
di carni e arterie
appartenenti a me,
e non volevo
assolutamente credere
all’utero d’un Dio che
mi assorbiva
come orribile feto e
costringeva
a suggere eterno
nutrimento
da un’oscena placenta,
volevo
ad ogni costo
difendermi dagli assalti
di quel groviglio di
cellule più simile
al furente subbuglio
d’un tumore,
che alla mitica pace
agognata.
52
Eppure con mia grande
ambascia
mi parve (e fu
l’ultimo mio dubbio
o forse il mio ultimo
incubo)
che la sordida carne
del budello
avesse già cominciato
davvero
lentamente ma
voracemente
a divorare miei lembi
di carne
seppure non sentissi
alcun dolore
come infatti aveva
detto l’Amata;
per fortuna al mio io
recalcitrante
venne in soccorso,
nella fitta e scivolosa
oscurità in cui già
era piombato
il canale del Cordone
Ombelicale,
una debole ma vera
luminescenza
sicuramente degna di
fede
dato che riuscii ad
accertare
con scientifica
affidabile sicurezza
che non era causata da
ambigui
celesti o fantasmatici
eventi
ma si trattava d’una
muffa comunissima
di comprovata
provenienza terrestre:
milioni e milioni
fosforescenti
di noctìluche e
microscopici organismi
che s’erano come me
intrufolati
su per le pareti del
budello.
Fu così che potei
toccar con mano
l’inconfutabile natura
terrestre
del Cordone
Ombelicale: quel cunicolo,
budello, canale, o
galleria,
che non comunicava
certo
col regno di Dio né
col suo grigio
Motore Immobile, era
solo una sordida
opera plebea d’un
poveraccio
di verme terrestre, un
comune
abusivo abitatore
delle mele
che per la triste
necessità di campare
s’era impadronito
d’una mela
che pendeva tranquilla
da un albero
e l’aveva come suole
in Natura
provveduta d’un
lunghissimo cunicolo
per far crescere le
uova di famiglia,
seppure anch’esse
fossero come noi
destinate alla misera
fine
d’essere beccate da un
merlo:
certamente un altro
poveraccio
fra i milioni di padri
di famiglia
che s’arrabattano a
sbarcare il lunario.
53
Ero dunque tornato in
possesso
della Ragione
confortato dall’idea
ch’essa almeno non
inganna mai,
seppure non sempre sia
granitica
come ci si aspetta dal
Vero
unico e verace, troppi
infatti
sono i dubbi che da
sempre affollano
le complicate menti
degli uomini.
Ma vergognandomi
d’avere tradito
la tanto Amata,
riuscii a farfugliare:
oh Sorella, dolcissima
Sorella,
dolcissima Madre e
Maestra,
temo d’essere un
indegno discepolo,
un’anima infedele come
quelle
prima di me cadute per
via,
forse anch’esse
costrette come me
dalle leggi superiori
della Ragione
a mondare ogni
pensiero dubitoso
perché nessuna mendace
asserzione
ci allontani dal
sentiero del Vero.
Eppure ancora, mia
amata Maestra,
mi assillano dubbi
tormentosi
che tuttavia mi paiono
legittimi
per quanto io possa
giudicarli
secondo gli incerti
parametri
del vecchio mondo; ma
se ancora hai voglia
di rispondere a
domande blasfeme,
ecco ti chiedo: se
ognuno professa
una propria Verità pur
sapendo
ch’è il parto d’una
mente viziata
da mille trabocchetti
cerebrali,
qual è infine il
veridico Unico Vero,
la veridica Logica
Universale
che detti legge a
tutti gli intelletti
abitatori del cosmo e
perfino
a quello di Dio? non
dicesti
che fu lo stesso Dio
ad iniettare
ad animali
inconsapevoli la Ragione
perché avessero chiari
i confini
del proprio pensiero
mortale
e credessero
nell’Unico Vero
dettato dalle leggi
celesti?
o forse volle darci
apposta
una mente incapace di
forare
il muro dei segreti
ultraterreni
affinché non dovessimo
accorgerci
che l’Unica Verità è
che Dio
non è affatto la Luce
promessa
dalle Tavole della
legge teologica
ma sta aggomitolato
come un verme
in un cordone
ombelicale più simile
a un intestino, dove
senza fine
digerisce come un
ragno anime e corpi
dopo averli
impacchettati nella rete
ed anestetizzati col
veleno
di ingannevoli Fate
Morgane
o accattivanti
celestiali beatitudini?
54
È addirittura
possibile – insistetti –
che Dio abbia fatto
nella Mela
questo buco stando
acquattato
nel suo lungo cunicolo
ombelicale
col sordido aspetto di
verme
e spinga il suo
buco-inghiottitoio
a risucchiarci dalla
Terra per punirci
d’averlo scalzato dal
trono
con la cieca
onnipotente invasione
della massa di Materia
Vivente.
Ma forse è ancor più
verosimile
che le anime, sospinte
dal flusso
prepotente della Vita
e risucchiate
dal budello di quel
Buco Nero,
siano immediatamente
scaricate
nello spazio
atemporale d’un ambiguo
Universo Parallelo fra
i tanti
purtroppo da noi
inconoscibili,
e poi da lì nuovamente
risucchiate
dai budelli di altri
voracissimi
buchi neri di un
enorme, infinito,
bosco di mele, e poi
ancora date in pasto
a infiniti altri
universi paralleli
in una giostra senza
fine. Allora Dio
non sarebbe che una
serie infinita
di buchi neri e
universi paralleli
che uno dopo l’altro
ci risucchiano
e da altri budelli ci
espellono
dentro altri universi
paralleli
come sozze indigerite
deiezioni
del Grande Verme? non
più dunque
la cara e senza dubbio
antiquata
monumentale immagine
teologica
di un Motore Immobile
in trono
tutto immerso negli
affari suoi
in una rassicurante
lontananza,
ma un indefesso
mortifero Caronte
che senza sosta ci
insegue dappresso
per trasbordarci come
anime morte
da un budello a un
universo parallelo,
da un cieco Nulla a un
altro cieco Nulla?
55
Ormai ero orfano del
Padre
e della Beatitudine
promessa;
m’era stata
crudelmente tolta
e la testa ancora mi
girava
per l’orrore di quella
concrezione
di arterie, di vene,
di placente,
di cordoni ombelicali
brulicanti
di voracissime cellule
uterine,
invece della chiara e
semplice
luminosa faccia d’un
Dio
giusto amministratore
del Bene.
Ma peggiore destino
sarebbe
il trasporto senza
fine di anime
dai minacciosi ingordi
buchi neri
ad universi paralleli,
ed io invano
cercavo d’addolcire la
minaccia
con ingenue immagini
filosofiche
che alla fredda
Ragione apparissero
più accattivanti;
infatti, e malgrado
fossi consapevole che
agli uomini
non è assolutamente
concesso
di concepire
l’Ultraterreno,
ancora mi accanivo a
spendere
i miei ultimi pensieri
di morituro
arrovellandomi su
quell’ineffabile
Assente di natura
sconosciuta.
Ma infine la mia mente
ribelle
con un provvidenziale
sussulto
poté scrollarsi dalle
cupe visioni
per lasciarsi
avvolgere soltanto
da più grate e
familiari immagini
del nostro vecchio ma
solido mondo:
mi rapì il bucolico
miraggio
di un Eden dove uomini
buoni
armati soltanto di
zappe
infine trovavano nido
sulla faccia ostile
della Terra
con la Ragione guidata
soltanto
dalle care vecchie
leggi fisiologiche
di causa ed effetto
e
illuminata
da lineari processi
mentali
certo alieni da
contorte e allucinanti
metafisiche
elucubrazioni.
56
Se questo tubo senza
fine – sbottai –
non è quel cordone
ombelicale
che si diceva
sfociasse nell’altissimo
asilo d’un Motore
Immobile,
ma è pure malsana
fantasia
immaginare un
impassibile Caronte
che trasborda anime
morte
attraverso infiniti
buchi neri
e infiniti universi
paralleli,
in verità, in verità,
ti dico
o mia Amata, che il
tubo in cui finora
con tanta pena ho
strisciato non è altro
che il comunissimo
canale terrestre
creato dal continuo
pesticcìo
della folla di anime
morte
nel loro lungo viaggio
terminale
fino al ventre
accogliente dell’unica
Madre possibile: la
rassicurante,
vecchia Terra nera di
humus
e asilo generoso per
quel popolo
di vermi, insetti,
topi e infine uomini,
che in questa breve
sosta nella vita
attendono soltanto di
rivivere
di padre in figlio,
laddove col prodigio
di questa eternamente
reiterata
morte e resurrezione
della carne
l’arcana onnipotente
Intelligenza
che forse regge
l’universo tramanda
eternamente il tesoro
dello Spirito,
ch’è il vero Punto
Omega, l’ultima
gemmazione della mente
umana,
la sua
ultraumanizzazione.
O forse questa vecchia
zimarra
che una volta si
chiamava
Spirito
è stata soppiantata
dal più solido,
perché fatto di
molecole reali,
DNA?
57
‹Anima più saputa che
dubbiosa
– ella disse, e la sua
voce tremava –
sono certa che hai
onestamente
guardato in te stesso,
se nutri
tutti questi pensieri
blasfemi
sedotto dalle immagini
attraenti
che popolano il mondo
terrestre
e vuoi ignorare che
tutto è Apparenza
iniettata da Dio nella
tua mente;
io spero soltanto che
tu sappia
ch’esse hanno il
potere d’annichilire
qualunque mente, se
l’anelito dell’anima
a liberarsi dal
carcere del corpo
non è abbastanza
forte, se vacilla
a causa d’una effimera
e ingannevole
attrazione dei sensi,
e può accadere
perfino che questa si
travesta
anche con l’aspetto
fraudolento
d’una casta attrazione
spirituale;
temo infatti che più
d’ogni altra cosa
incontrata nel Cordone
Ombelicale
dove i pensieri
dovrebbero castamente
concentrarsi sulla
salvezza dello spirito,
t’abbia perduto, oh
anima infelice,
l’antica sensuale
attrazione
che provasti e forse
provi ancora
per l’apparenza di
piacente aspetto
che fu data dalla
Grazia di Dio
all’umile mia indegna
persona;
è vero che un giorno
fu Lui stesso
a congiungerci anime e
corpi
in un unico nodo, sì
che ancora
per te ne è troppo
dolce il ricordo;
ma tieni a mente che
in questo luogo sacro
io sono ormai soltanto
una fedele
intemerata Sposa del
Signore›.
58
Com’è possibile –
gridai – che il tuo Dio,
se come dici ci ha
fatti col suo amore
creature sensibili
alla Bellezza,
ci privi della cosa
più struggente,
il bell’aspetto
dell’Amata ch’io conservo
come immagine gelosa e
inalterabile
insieme alla memoria
d’una vita
trascorsa santamente
con lei,
la casa in cui crebbe
il nostro amore,
l’amato giardino dei
ciliegi,
l’amico cane, il
gatto, il canarino,
se poi, guardando in
alto nei cieli
con la speranza d’una
vita ultraterrena,
lassù non si affaccia
alcun Dio,
bensì la beffa di
stelle morenti
e orrendi Buchi Neri
che al varco
ci attendono
ricordandoci la morte.
No per Dio! tutto
questo Creato
non può cessare con la
nostra dipartita,
deve essere il mondo
reale
che so ricolmo di
bellissime forme
da amare intensamente
anche con gli occhi
e fatte per esistere
in eterno,
come vero ed eterno è
l’Amore
che dà luce alla
Materia dell’universo
ed illumina l’immagine
di quella
che per sempre,
dolcissimamente,
ebbi la ventura di
amare.
59
Con vero strazio ad un
tratto m’accorsi
che la celeste
Creatura s’era fatta
improvvisamente
pallida;
le sue dolci amorose
fattezze
erano vestite di una
gelida
da me mai veduta
bellezza,
una impenetrabile
corazza
che certo qualche Ente
invisibile
imponeva come giusta
protezione,
e fu così, che mi
colse il terribile
ultimo dubbio: che
davvero tutto ciò
fosse il duro castigo
di un’aliena,
ultraterrena
imperscrutabile Volontà
per il mio rifiuto di
apostata?
Ormai la mia Amata era
tornata
ad esser la severa
Funzionaria
addetta a guidare le
anime
al di là dei mondi
sensibili,
eppure mi parve per un
attimo
che sotto la gelida
veste
il cuore in segreto
indugiasse
sui luoghi delle
nostre memorie,
mi parve anche – che
Dio la perdoni –
che una lacrima le
fosse sfuggita
da qualche proibito
nascondiglio,
e volli credere che
ancora in uno slancio
ella avrebbe voluto
che dal cuore
prorompessero le
parole che non disse:
‹addio mio vero, mio
unico sposo›.
60
Così si perse alla mia
vista l’immagine
di Colei che mi aveva
con amore
accompagnato nel mio
viaggio sfortunato;
svaniva anche l’ultima
speranza
di essere accolto
insieme a lei
in quel luogo di
Grande Beatitudine
ch’io credevo d’avere
intravisto
e che ora sapevo non
essere
che un’erratica Fata
Morgana.
Eppure la mia mente
dubitosa
ancora oggi sospetta
che forse
sia stata una Superna
Benevolenza
a volere che i milioni
di microbi
tenacemente attaccati
alle pareti
del grasso cordone
ombelicale
emanassero la loro
fosforescenza
a rischiarare i miei
passi precipitosi
che fuggivano
dall’abbraccio mortale
del sordido ammasso
placentare
di carni, di vene, di
radici,
orrende figlie
dell’amore mostruoso
di Dio. Ora volevo
soltanto
ritrovare al più
presto il vecchio mondo,
riuscii a malapena a
scorgere
alle mie spalle quel
budello senza fine
tutto raggrinzirsi e
accartocciarsi
come un fungo
marcescente trascinato
dal destino d’un
Creato in disfacimento
che franava
rovinosamente;
ma ormai ripercorrevo
correndo
a precipizio, quasi
rotolando
per non subire lo
stesso destino,
quell’oscuro budello
che all’inizio
avevo tanto temuto ma
che adesso
era forse un Ente
amichevole
che quasi con bonaria
complicità
mi portava a rivedere
le stelle.
61
Ero ancora più che
sconvolto
per gli avvenimenti
straordinari
che avevo appena
vissuto
ma in fondo a quel
budello, accartocciato
come una finta scena
di cartone,
mi ritrovai nel dolce
abbraccio d’una notte
ch’era già quietamente
discesa
sul mondo ignaro dei
vivi;
ebbi un vero sospiro
di benessere
quando i piedi
toccarono di nuovo
l’erba fresca del mio
vecchio sentiero
e respirai il concerto
di odori
d’un bosco già
imperlato di rugiada.
Il lontano scampanio
di pecorelle
che tornavano sazie
all’ovile
infine mi fece
smemorare
delle ultime dolorose
emozioni
avvolgendomi in
un’onda di tepore
che aveva il sentore
di ovili
e di fervida vita
animale;
anche il suono lontano
di campane
che chiamavano al
vespro lo stuolo
di pensosi credenti mi
sovvenne
il calore dell’umana
famiglia;
ne udivo le voci
salmodianti
e rividi me stesso
bambino
quando in chiesa
l’organo suonava
dilatando le navate di
echi
che credevo si
alzassero a Dio
trapassando il
diaframma terreno.
Ma ora dubbioso mi
chiesi
se anche in quella
grande famiglia
ci fosse qualcuno che
un giorno
aveva creduto davvero
nella mitica Ultima Conoscenza.
62
Nei giorni che
seguirono confesso
che mi colse più volte
ancora il dubbio
che l’intelletto
pensoso degli ominidi
sia davvero fatto a
immagine e somiglianza
della Mente d’un Dio;
se così fosse,
il loro ingegno,
seppure terrestre,
avrebbe forse la
potenza del Divino
e potrebbe finalmente
realizzare
la sospirata
sopravvivenza dell’anima
al proprio miserabile
corpo
con un’ardita
creazione artificiale
che dell’atavica
molecola di DNA
conservi solo i geni
della Ragione.
Un giorno forse, con i
calcoli e i disegni
della scienza
ingegneristica ch’io stesso
potrei fornirgli,
riuscirebbero a creare
splendidi esemplari di
anime
fatte solo di onde
elettromagnetiche
con perfetti cromosomi
elettromagnetici
che sprizzino ondate
d’intelligenza
da inondare il
giardino dell’universo.
Allora assisteremmo a
un vero esodo
di purissime anime
artificiali
lontano dalla faccia
della Terra,
essendo questa
destinata un giorno
a sgretolarsi con
tutte le creature
come fa un buon
gigante d’argilla
per la maligna
degradazione entropica
e la vittoria
ineluttabile del Male.
Esse invece vivrebbero
in eterno
come vere anime
immortali
portatrici d’un Bene
elettronico
anche senza la luce di
Dio
e senza alcun supporto
di materia,
propagando negli spazi
senza fine
solo l’unica veridica
Luce
della Ragione Pura e
Assoluta.
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