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Luminoso esempio di anti-poesia è
quest'ultimo libro di Rossano Onano, poeta antilirico antidealistico e
antiromantico eppure così intrigante nella sua ironica osservazione del mondo.
Quando si legge Onano, fin dal titolo si è gettati in un paesaggio dal tono
prosastico, e anche brutalmente prosaico, catturati da un fuoco d'artificio
sconcertante di cacofonie ritmiche e sintattiche e di salti logici, ma
costellato di sprazzi lirici (sempre, subito dopo, smentiti) che sembrano
scappati senza volere dalla penna mentre è tutta intenta ad analizzare e
catalogare con perfida pesanteria le più infime e banali "fenomenologie".
Si va avanti nella lettura nonostante
gli intoppi, o forse proprio grazie alle spinte gravitazionali di questi,
eccitati dalla perversa curiosità di vedere la nuova invenzione che ci aspetta
in agguato al verso successivo, subito dopo l'ostacolo. Si avverte che le
continue sgradevolezze di varia natura e fattura che intralciano la godibilità
in senso tradizionale del testo non sono strafalcioni, ma sono anch'esse funzionali a
quell'effetto molto fascinoso di ironia che accompagna il lettore fino alla
fine; sono insomma messe lì apposta per esaltare la caustica beffarda battuta
che sta per arrivare, puntuale. Questa poesia vive perciò di un tipo di
scrittura esatto e calibrato, ogni parola, arresto, sospensione, sgambetto del
ritmo, sono accuratamente soppesati e si muovono in una generale scaltrissima
incoerenza, che poi altro non è che l'alibi che consente all'Autore di
innescare e inoculare nei buchi logici del tessuto poetico le sue "dolci
velenosissime spezie".
Questa originale, inconfondibile
peculiarità della scrittura di Onano si ritrova naturalmente anche in
quest'ultimo suo libro, ma con una evidente novità. Qua e là, specie nei
poemetti più lunghi ove il Poeta depone il suo prediletto stile epigrammatico e
i suoi pungenti aforismi per abbandonarsi al racconto d'una storia più o meno
fantastica – ma anche in brevi componimenti dall'aspetto quasi di haiku – la
scrittura cambia sensibilmente tecnica e tono, l'andatura diventa più distesa
e si sarebbe quasi tentati di chiamarla cantabile, se questo termine non fosse
quasi incompatibile con la poesia di Onano. Eppure, il verso diventa meno
accidentato (vedi la storia di Abu Arrob a p. 22) e il ritmo talvolta
sorprendentemente musicale
(la temperanza
giocherò
coi
dadi / prima
che
il gallo canti
trenta
volte / se
non si chiarirà la committenza);
si trovano componimenti, anche lunghi,
con quasi tutti i versi composti di endecasillabi (vedi la gustosa poesia sui
quarantenni, di p. 52) fino a rinvenire, stupefatti, a p. 44, addirittura
un regolarissimo sonetto. Non si tratta di novità puramente e semplicemente
formali, poiché investono, modificando in profondità, tutto il caratteristico
tessuto di cui abbiamo detto; diventa evidente che una poesia che tenda al
cantabile più non si addice, almeno nella misura caustica di prima, a uno stile
ironico intellettualistico poiché le due cose si elidono reciprocamente. Quanto
questa vena di quasicantabilità costituisca un nuovo trend, è facile prevedere
che assisteremo a un certo addolcimento, non si sa quanto opportuno e
auspicabile, della sua spigolosa ma elegante peculiarità di fine ironista.
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Recensione |
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