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Quest’ultima
silloge di Maria Luisa Daniele Toffanin sottolinea, ancora una volta, i due poli
fra cui oscilla la sua poetica: da una parte la costante tensione al comunicare
un mondo d’affetti e di ricordi familiari inseriti nel microcosmo rassicurante
della quotidianità, ricolma di suoni e di colori, dall’altra l’appassionata e
inquietante riflessione sui problemi metafisici e sociali.
Compito del poeta, suggerisce l’autrice nella nota introduttiva, è quello
di risvegliare coscienze assopite e di riportare l’attenzione generale sulle
grandi ingiustizie della vita, come quella che costringe alla sofferenza bimbi
innocenti, privi di colpa e di peccato. Per fortuna, esistono gli Angeli, di
per sé simboli polisemici e cangianti che raffigurano la libertà e la purezza
dell’arte, l’immaginario collettivo o le tensioni più nobili dello spirito
umano. Infatti, ci sono persone che credono ancora nella pietas umana,
vittoriosa su ogni malvagità ed indifferenza, andando in soccorso di chi ha
bisogno. Questa “rete di mani fiorite di rispetto per l’armoniosa | performance
delle umane creature” è più che mai necessaria ed urgente per prodigare amore,
per illuminare “in risvegli di luce | la mente-cuore del mondo”. Solo così vi
sarà “un’ipotesi di gioia che quasi brivida l’anima”.
Tre sono le parti che compongono la collezione poetica: la prima, “Il
volto dell’infanzia”, comprende dieci componimenti (“Dell’infanzia”, “Devi
chiamarlo dono”, “Così nell’umano”, “Il volto dell’infanzia”, “Colloquio”, “Nel
suo presente”, “Fra mani fiorite di rispetto”, “Il senso della gioia”, “Urge
un’etica stella”, “Infanzia-cuna”). Essa si apre proprio con un vagito che “ha
l’universa vita | racchiusa dentro”, segno di nascita, ma anche di ri-nascita
della sorpresa, dello stupore e del dolore che accompagnano l’umanità nel suo
viaggio vitale.
Un dolore che si esprime prepotente, in una sorta di motivo conduttore,
nella seconda parte “E ci sono Angeli” che denomina anche l’intera silloge
poetica. Eloquenti sono i titoli: “Nuovi erodi”, “Piangi Cielo”, “E bambini
nella guerra”, “E bambini della guerra”, “E bambini della lebbra”, “E bambini
della fame”, “E bambini di Bucarest”, “E bambini usati”, “ E meninos de rua”,
“E bambini di Anna”, “E bambini di Beslan”, “E bambini mai nati”, “E bambini
della malattia”, “E bambini offesi”, “E bambini di altre scelte d’amore”,
“Sradicare”, “E bambini dell’opulenza”, “E bambini dell’attesa”, “Fragilità”,
“Preghiera”, “Miracolo d’amore”. Sembra quasi un solo grande poema, reso
unitario dalla serie di “E” che enumera i fatti in una successione monotematica
e che dà corposità all’azione, costruendo immagini d’impatto emotivo e
sviluppando al tempo stesso una narrazione fortemente ritmica. Con la tecnica
dell’amplificatio, M.L.D.T esprime la tribalità dell’uomo, la stessa che
emerge dall’Amen di tradizione cattolica; contemporaneamente, attraverso la
forza evocativa insita nella parola, rimanda alla presenza di un problema che
supera i confini spazio-temporali, nell’intento di restituire l’antico e
salvifico valore al canto del poeta.
Infine, nella terza parte “Di luna in luna” – formata da ventritre
componimenti –, il dolore si stempera e la voce riacquista le consuete tonalità
di Maria Luisa Daniele Toffanin, che si apre alla speranza (“Può fiorire la
rosa nel deserto | se l’accende la Tua pioggia di luce”) e alla promessa di
cosmica armonia (“evoca l’ora misteri lucenti | musiche del cosmo | magici riti
di ninfe celate | in radure d’eriche inviolate). Il verso stesso si
alleggerisce, in un gioco di rinvii e di scherzose cantilene (“S’infila l’oro di
perline | petali
di margheritine | e brillanti risi –i tuoi dentini – | nel sorriso dei mattini),
sollecitati dall’ amata nipotina Giulia.
Il pregio della sua poesia risiede proprio nel continuo dondolio fra le
antinomie che contraddistinguono il travagliato percorso umano e la lodevole
caparbietà con cui la poetessa insegue il proposito di stabilire un dialogo
duraturo con se stessa, con il lettore, ma soprattutto con l’arte. Nell’arte,
infatti, giungono a più maturo compimento, acquisendo respiro universale, tutti
gli assunti della sua poesia, che estrae le componenti essenziali dalla natura,
dalla realtà quotidiana e dal passato. Da qui, palesi sono i segnali della sua
soggettività disseminati nei testi e la profonda carica affettiva di aggettivi
e di verbi che si riferiscono a oggetti e a persone collegati all’infanzia.
La vita come arduo viaggio, nel tempo e nello spazio, e il viaggio come
ritorno in cui è implicita l’esperienza e la coscienza del mutamento, sono le
metafore che predominano quest’ultima silloge. Nell’hic et nunc
dell’enunciazione, l’io lirico si ritrova ancora una volta a percorrere
problematiche più o meno complesse, senza cadere nella trappola di uno
stucchevole sentimentalismo, con una rinnovata energia che proviene da una
raggiunta maturità artistica. Non a caso,
M.L.D.T ricorre ai suoni, ai colori e
alle figurazioni per descrivere, evocare, produrre
emozioni; ciò genera sempre nuove
sensazioni, sollecita l’immaginazione ed innalza un canto alla bellezza del
gesto che si ripete
all’infinito.
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Recensione |
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