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Priapo e rose, nel recente testo di Maria Grazia Lenisa La rosa indigesta, che prende il titolo dalla poesia di p. 23. Sesso e fiore d'amore, ripartizione contenuta anche all'interno del singolo termine in quanto la parola greca che definisce il dio come fallico, cradaios, può derivare sia da crade (albero di fico) che da kradie (cuore), come ho avuto modo di analizzare nel mio saggio di storia sul folklore nolano I Gigli di Nola [Valeria Serofilli, I Gigli di Nola, Rotary Club, Nola – Pomigliano D'Arco, 1994]

Una poesia, quella della Lenisa, costantemente sul filo tra sacro e profano, per riprendere il titolo del testo di Mircea Iliade [Mircea Iliade, Sacro e profano, Boringhieri, 1973], ma che forse trova proprio in questo bilicante dualismo il suo punto di forza [Al contrario stigmatizza questo dualismo Sergio Pautasso nella sua nota al volume in quarta di copertina]

Sesso e fiore d'amore s'innescano qui in un fertile connubio poetico che estende al simbolismo floreale di manifestazione, il significato più ampio di allegoria della vita stessa, anzi della sopravvivenza, di coppa della vita, anima , cuore e trasfigurazione delle gocce di sangue di Cristo.

La rosa è vista invece come simbolo di rigenerazione dal Portal, per la parentela semantica del latino rosa con ros, la pioggia, la rugiada [Portal Fréderic, Des couleurs symboliques dans l'Antiquité le Moyen Age et les Temps Modernes, Parigi, 1837. «Il roseto», aggiunge l'autore, «è l'immagine dell'uomo rigenerato».] , mentre Dante, al centro della rosa, paragona l'amore paradisiaco [«Nel giallo della rosa sempiterna, | che si dilata ed ingrada e redole | odor di lode al sol che sempre verna | … mi trasse Beatrice … In forma dunque di candida rosa | mi si mostrava la milizia santa | che nel suo sangue Cristo fece sposa…». «Quando scendean nel fior, di banco in banco porgean della pace e dell'ardore | ch'elli acqistavan ventilando il fianco.» Dante Alighieri, La Divina Commedia, Paradiso XXX, vv. 124 – 126; XXXI, vv. 1 - 4].

E i petali della rosa della Lenisa trasudano «antropomorfismo, acuta ironia e ricchezza d'invenzione» [Dalla motivazione per l'assegnazione a M. G. Lenisa del premio “Fondazione Marino Piazzola”, presieduto da Velio Carratoni.]. Una ricchezza d'invenzione e di simboli che rimandano a certe tele del fiammingo Bosch, pittore che da sempre affascina per le centinaia di personaggi che affollano ogni suo quadro: diavoli, civette, scimmie, topi mostruosi e pesci fantastici che accanto ai grandi personaggi della storia sacra a cui sono consacrati i suoi dipinti principali, fanno pensare a un surrealista ante litteram.
E proprio l'immagine del pannello centrale del trittico del Prado Il giardino delle delizie, vera festa della sensualità, è riportata sulla copertina di uno dei testi della Lenisa, Un pianeta d'amore (Bastogi, Foggia, 1998) ma in virtù della sostanziale coerenza simbolico iconografica, sarebbe potuto comparire benissimo anche a corredo dei versi di questo libro.

Il simbolo, in Maria Grazia Lenisa, è il risultato del gioco d'amore che la scrittrice svolge sul terreno della poesia e, come per Bosch in pittura, si tratta di un simbolo ambiguo e ricco di metafore, polivalenza che del resto è peculiare dei simboli «per mettere giustamente insieme i modi contraddittori della realtà» [A. Sacchetti, Astrazione e simbolismo dell'ornamentazione in “Rivista di etnografia” vol. XVI, 1963]. Certo un mondo di simboli che rischiano di risultare indigesti, come indigesta è la vita e indigesto il poeta che con i suoi versi la riscrive… e proprio per risultare indigesta Maria Grazia Lenisa nella terza sezione del suo libro scrive “quella poesia che ha storia rinnegata” quali le Priapee (e altro).

Dei Carmina Priapea, particolari epigrammi (I sec. d. C.?) legati tra loro dalla prepotente figura di Priapo, divinità greca degli orti e della fecondità, la Lenisa se non la sacralità del canone, riprende l'irrazionalità dell'impulso sessuale, il tono scherzoso, i ritratti satirici, la tematica per lo più esplicitamente sessuale, ma al contrario di questi mai tendente alla volgarità e all'esasperazione oscena. Se la paternità dei Carmina è tuttora controversa, in quanto il genere letterario del culto fallico imponeva l'anonimato, Lenisa non ha timore di firmare le sue Priapee. La bravura dell'autrice, in questa sezione, è proprio nel descrivere le situazioni più paradossali, nel distacco rumoroso dalle regole, nella comicità degli accostamenti più stridenti (si leggano per tutte “Il lucchetto” e “La moda”).

In “Travestimento” (p. 82) si camuffa da Priapo nell'orto: «si mise in un campo… spaventapasseri | col cappello, camuffata da Priapo imbelle». Sono proprio i Carmina priapea [Carmina priapea, a cura di R. Gagliardi Savelli, Milano, 1979, I, v p. 25 «Ruber hortum custos».] summa delle credenze popolari che, seppure in forma scherzosa, danno ulteriore conferma su Priapo divinità campestre e membruto, inflessibile guardiano degli orti: «il villano m'ha messo qui a guardare | il giardino e i suoi frutti e mi ha ordinato | di far bene la guardia» (XXIV Carme). L'immagine del fallo come segnalibro, canna, “obiecto”, coda, pennello e ramo ricorre nelle numerose liriche che Lenisa dedica a Priapo. Del resto il maggio (albero o ramo d'albero), si pone come equivalente vegetale del Phallus [Per quanto concerne tale equivalenza e l'analisi dei simboli fallici, sono stati consultati i seguenti testi: Richard Payne Knight, Il culto di Priapo, Newton Compton Editori, Roma 1981; R. Guènon, Symboles fondamentaux de la science sacrée, Paris 1949 (traduzione integrale di Zamboni Adelphi, 1990); J. G. Frazer, Il ramo d'oro, Torino, Boringhieri, 1965.].

Nelle priapee Lenisa produce così effetti di varietà sia di situazioni che di forma metrica (dediche, ritratti satirici, enigmi ecc.) gestendo con gusto e intelligenza l'esperienza metricologica, evitando il rischio che il meccanismo di questa incarceri e imbottigli la poesia. E' quanto ribadisce nella sua dichiarazione di poetica (p. 90), unitamente alla fiducia nella funzione salvifica e terapeutica di una poesia che sia insieme grande, magica e creativa.

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