| |
È l’ottavo libro di
poesia dello scrittore trapanese, trapiantato a Palermo, Lucio Zinna.
Saggista, oltre che poeta, egli è anche autore di Come un sogno incredibile,
romanzo-inchiesta, che ha riscosso molto successo, di pubblico e di critica.
Abbandonare Troia potrebbe definirsi la storia di un’avventura, quella della
vita, pervasa di tenerezze creativo-esistenziali che, abbandonato il proprio
involucro protettivo («figlio fattosi presto adulto eppure rimasto indifeso»,
l’autore si definisce), si diramano arditamente verso ogni direzione, senza
nulla rifiutare, passibili di tutto, quindi. L’avventura conduce in luoghi
imprevedibili. Ma ben ferma è la mano sul timone, sia pure straziata dai crampi
e dolorante, poiché non c’è spazio né tempo per indulgere in eventuali topofobie. Facile, non è dalla terra, in vicinanza, giungono allettanti odori:
quello «grasso e violento dell’acetilene per il lume | sulla bancarella del
lungomare a rischiarare salati | semi di zucca casalinghi bonbons semi di càlia»;
«tra sbuffi di benzopirene si avverte un mansueto | odore di salsedine»; e
invitanti profumi di donna, lontani però: l’immagine di Mariastella appare
sfocata tra compagne Skeel che «ostentano varianti sui petti | acerbi
prorompenti Fruit of the Moon-Fruit of the saison» e «tessuti di Benjamin
& Robert Knight», simbolo di consumismo snaturante. Chi, cosa potrà mai dunque
rinvigorire lo spirito dell’avventura? Non certo l’inganno, poiché bisogna
abbandonare Troia «prima che entrino falsi cavalli»; né soste in luoghi magici
dove «allogarsi» con la sacra famiglia nel più remoto villaggio? Il vivere
lacerante e disarticolato, dunque, in una Palermo «tradita moribonda | fra
rifiuti è mostruosi palazzi dagli animati (dicono) pilastri»? Il viaggio è
circolare, non conosce diaspore, animato com’è dal richiamo del topos
d’origine cui conduce la memoria archetipa e il gusto della lotta
contro la banalità del quoti-diano, le due forze
invincibili dell’umana avventura. Mai vinti, tuttavia, perché «abdicare è già
cominciare a morire»; mai indifferenti, invece, tentare di «comprimere la
fretta rallentare i gesti | reinventarsi le albe e i tramonti»: questo e altro
per ristabilire preziosi equilibri. Una ironia sottile e raffinata fa da
supporto all’affabulazione, progettata ma non estranea al respiro poetico di
Zinna ed alla carica espressiva che lo scandisce. Trasgressore,
demistificatore, spesso, il linguaggio, elude preziosismi. E ammonisce. | |
 |
Recensione |
|