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Per Lunamajella
Questo libro è nato negli anni dalla frequentazione del paese dei miei suoceri
nella provincia di Chieti (Pennadomo per l'appunto). Appartenente all'area
dell'Aventino mediosangro, non è ancora sul versante della Majella ma sulla
strada che risalendo dalla Sangritana in qualche modo lo annuncia portandovi via
Palena.
Un luogo centrale degli affetti dunque ed in quanto sospeso tra una piana e una
montagna esplicativo per me allora anche della condizione umana o almeno di una
certa condizione umana. Paese molto piccolo che si va svuotando, diremmo morendo
come molti altri nella zona e nella regione e che seppure a prima vista parrebbe
forse non ricco di suggestioni in realtà lo è per natura ricchissima con il lago
di Bomba sottostante e per gli echi di una pietra in cui la stessa natura si
raccoglie- curata, custodita e coltivata- nell'intreccio faticoso e sapiente di
un lavoro e di una fede, cristiana e contadina insieme, la cui presenza nelle
generazioni ne scandisce e domina i tratti.
Un piccolo borgo che così ben attesta una zona comunque dominata dalla figura
imponente della Majella, la montagna madre per gli abruzzesi. La Majella
che io ho riportato dapprima come astro, come pianeta (nelle sue diverse
accezioni) nella visione però insieme e di "grande addormentato animale" e di
luna proprio per il suo carattere ora evocante ora muto, ora risplendente ora
che tende a celarsi restando però una presenza prossima e confidente come la
luna del titolo, o come un essere in cui trasfigurarsi e tendere come a ricerca
di protezione, una grande madre appunto Facendo
attenzione però perché in questa naturale registrazione di uomini e terre (in
cui un'altra presenza importante è quella del mare nell'altrettanto suggestiva
zona della costa dei trabocchi) la mia resta sempre la narrazione di un
forestiero, quella comunque di un acquisito- tanto più se si considera il mio
carattere di cittadino, di metropolitano addirittura essendo nato e cresciuto a
Roma.
Così ciò che credo di
aver cantato è sì la lotta al presente di una memoria che vuole ancora
affermarsi nel suo divenire ma anche il fantasma di un' evocazione terza,
altra, che tenta di risalire da tracce ed impronte forse poco visibili di
una condizione toccata dal limite, di una storia segnata tra l'altro in
passato da una forte emigrazione e dalla radicalità di una terra per sua
sopravvivenza sempre alla prova di una partecipazione oltre che individuale
soprattutto corale; di una comunità, di una identità adesso nella crepa di
una crisi visibile nell'invecchiamento della popolazione e nello
svuotamento delle case, la maggior parte dei giovani scegliendo la partenza
per la chiusura di alcune industrie. Eppure non voglio rimarcare troppo
questa dinamica perché potrebbe sviare dall'ispirazione di un luogo che se
dall'uomo parte e interroga pure resta fortemente come segno di una
presenza, di una sacralità che va a trascenderci all'interno di un mistero
più alto. Ecco ciò che resta e ciò che è a dispetto di noi, e nei suoi
riflessi in noi, mi ha spinto ed interessato di più, soprattutto perché da
qui- dall'ancestralità per certi versi di una relazione più vicina alla
terra- mi è sembrato più incisivo ripartire nell'ascolto di ciò che stiamo
smettendo di guardare andando ad allargando la risonanza dunque ad una
realtà più vasta ed universale. Innanzi tutto la vita come compimento
appunto all'interno di un mistero che affonda nell'abitazione della terra-
con tutto ciò che implica e significa nell'espressione comunitaria delle
relazioni- e la morte stessa di contro come suo naturale scioglimento e
insieme come altrettanto nuovo compimento. Senza dimenticare il senso di
fatica, di solitudine ed anche di rancore e di incomprensione che tutto ciò
può comportare. Nella narrazione di questo legame, ciò che più ha risuonato
in me, nel senso di lotta che comporta, è allora quella base di devozione
che muove l'uomo, ogni uomo alla luce di un amore necessario che qui, in
questa terra
che come i suoi abitanti adombra e si adombra, evoca e sfugge,
trova forse metafora
nel testo cinque de "La Penna" in cui il filo d'erba esposto alla pioggia e
al sole si fa significazione
di tanta fatica e tanto
confidare nel riflesso dei suoi paesi.
Infine siccome,
sappiamo, le ispirazioni non vengono mai sole ma partecipano anch'esse di
immagini, ritorni, considerazioni di uomini che ci hanno preceduto e/o con
noi procedono, mi hanno accompagnato facendomi dapprima come da apripista,
da guide e poi se vogliamo da fratelli più esperti in questo passaggio di
mondi,
figure
di autori e di poeti nella cui lingua questa zona, questa parte d'Abruzzo mi
si è offerto in tutto il suo prepotente richiamo. Nomi importanti (che ho
avuto modo precedentemente di affrontare anche criticamente nel breve saggio
La terra che snida ai perdoni) a noi ora lontani, come Dommarco, ad
esempio, o più vicini come Rosato, come lo stesso Moretti ma anche come
Marciani che anzi voglio da qui ringraziare per aver sottolineato il mio
aver assunto questa zona a paradigma di "valori nobili" (come-
riporto- la fedeltà alle proprie origini, il coraggio nell'affrontare le
avversità, il valore della testimonianza, la salita intesa come elevazione)
e ancora e forse soprattutto come il caro D'Arcangelo, poeta che per
consonanza di pietas sento assai simile e le cui versioni di alcuni testi mi
onorano. Il tutto a dire un gioco di suggestioni e di evocazioni non a
evidenziare un modello, nel mio caso tra l'altro impossibile non essendo
della regione e scrivendo in lingua, ma un intreccio di nodi, di
congiunzioni, a rivelare di una civiltà la sapienza e la passione di un
mondo che proprio all'interno del suo racconto sa sospendere e rimandare la
sua morte - tra smarrimenti e ritrovamenti di centralità, tra abbandoni e
riferimenti di memoria, ogni giorno rinascendo intatto. Una lezione dunque
che ha saputo ben mostrare e in parte sciogliermi motivi e dinamiche di un
canto vivo sempre nella sua reciprocità con la terra e a cui, per i suoi
insegnamenti, sarò sempre grato.
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