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Un verso lungo, dal ritmo narrativo e incalzante. tuttavia
monotono, affamato di particolari, spesso dedito all'elencazione di oggetti e
situazioni, però statici, senza raccordo di tipo logico e contenutistico. È
l'impianto formale e semantico che fa da base alla poesia di Rossano Onano, una
poesia originale fin dal titolo, Il nano di Velàzquez, ispirato ad un quadro
del grande artista spagnolo. Ulna poesia concentrata sulla realtà, anche quella
figurativa e immobile di un quadro, una realtà tuttavia sempre colta da Onano
attraverso uno sguardo lucido, spesso ironico e sarcastico fino al limite del
cinismo. E la realtà viene da Onano quasi sempre risolta in eventi, fatti, atti,
raccontati con uno stile narrativo particolare, sintatticamente affidato alla
paratassi, senza cioè che vi sia una gerarchizzazione tra gli eventi stessi o
collegamenti di subordinazione sintattica e dunque logica.
Tutto ciò porta Onano a rinunciare a vagliare cause ed
effetti che non interessano né impressionano la sua poesia, la quale, al
contrario, risulta concentrata esclusivamente su azioni e figure considerate in
se stesse come eterni presenti. A conferma di ciò si impone un elemento formale tipico della raccolta: la
continua alternanza tra poesie lunghe — quasi poemetti nella loro dimensione
narrativa — e liriche brevi: distici o terzine. Una giustapposizione che sembra
voler mimare la varietà del reale, il suo casuale accostamento di cose ed eventi
che si estendono nello spazio e nel tempo con dimensioni incredibilmente
differenti ed opposte.
Verso queste diversità assemblate ed elencate il poeta, tuttavia, mantiene
una distanza omogenea. Emblematica da questo punto di vista è una poesia che
mette in scena un viaggio in treno, sul quale si alternano passeggeri e atti
verso cui il poeta non vuole o non riesce a mostrare la ben che minima
immedesimazione.
Ciò che infatti emerge, alla fine, da questi continui tuffi nella varietà del
reale è un senso generale di estraneità, un'assenza, non si sa neanche di che
cosa, un malessere che pervade ogni verso e che Onano cerca di mascherare con
un'astuta ma disarmata ironia. Una poesia in particolare dà il giusto senso di
questa pacata sofferenza e sopportazione di una realtà che non preoccupa perché
incomprensibile, ma che piuttosto spaventa perché esistente, perché, dopotutto,
perennemente esistente: «Noi diversamente siamo dai pentecostali, qui ed ora,
dal ginnasta che verrà nella gloria per giudicare i vivi | e i morti, nel
fragore sistino della luce, || noi siamo diversamente, una specie | di
resistenza coatta, non è dato sapere | verso chi, verso che cosa, soprattutto
l'assenza | esangue della speranza, non si pretende, della paura».
Quale sia questa resistenza coatta, come possa affermarsi in mezzo al marasma
continuo, non è dato saperlo. Viene in mente forse che di fronte all'esautorarsi
del verbo religioso, stigmatizzato dalla distanza presa nei confronti del
discorso escatologico (ironicamente rappresentato dalla riduzione del Cristo ad
un ginnico atleta), l'unica possibilità resta quella della poesia. della parola
con cui non a caso Ornano si affretta a riempire le sue pagine, quasi in un
ultimo. forse vano tentativo di offì'ire un'alternativa alla disperante realtà.
Ed è qui, in questa vocazione parolaia. che il poeta recupera una strana
verginità, riuscendo ad imprimere ai suoi versi il ritmo dell'antica epica. Ma
questa epica contemporanea in sé non mostra più i vecchi eroi omerici o
virgiliani, bensì le forme schizofreniche della nostra globalizzata attualità.
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Recensione |
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