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Tra un pensiero e l'altro
Il pensiero come qualità tutta umana, come ciò che fa la
differenza tra l’uomo e la materia, ma il pensiero anche come peso, fardello,
ciò che allontana dalla vita. Si avverte questa contraddizione tra bellezza e
miseria della condizione pensante nel libro di poesie di Edith Dzieduszycka,
intitolato appunto Tra un pensiero e l’altro. Bellezza nella folgorante
capacità delle idee di illuminare il mondo, di accenderlo e accendere le vite
che in esso conduciamo. Miseria perché il rovello continuo sulla realtà, la
produzione inarrestabile di immagini e idee, finisce per non spiegare niente,
per alimentare il dubbio, l’incertezza di sapere e non sapere, scendere o
salire, come nei seguenti versi: “Salgo scendo della vita i gradini, mai infatti
ho saputo in quale direzione seguirne il percorso. Quella strada seguire
dunque?” Ed è proprio l’incertezza del percorso esistenziale a fare da stimolo
alla poesia di Edith Dzieduszycka, la cui forza mentale e intellettuale cerca
disperatamente di trovare nel marasma quotidiano una via, un’indicazione, senza
mai riuscirci, consapevole che riuscirci vorrebbe dire la fine. “Se per caso ci
fosse una retta via… sarebbe molto semplice, sarebbe troppo bello, sarebbe una
noia.” Anche se poi si scopre che la meta, o meglio il tragitto, la luce che
segna il percorso, in fondo ognuno l’ha dentro di sé, è il suo vero io, che
apertamente in una poesia l’autrice dice di cercare, il vero io che costituisce
la verità, quella interiore e soggettiva opposta alla oggettività trascendente
che finisce per ingabbiare e distruggere l’io autentico.
Al posto delle certezze di chi è troppo convinto di aver
ragione, e su quel mondo oggettivo si muove a suo agio in modo arrogante, la
poetessa preferisce il dubbio, l’insicurezza, che vuol dire anche ricerca,
percorso, miglioramento. Dunque l’esperienza dell’esserci come esperienza di un
indagare senza fine, anche se la risposta è più agognata che ottenuta: “Ci sarà
qualche limite decente?” si chiede in uno dei brani la poetessa. Ma le domande
che nutrono le poesie riguardano non la realtà oggettiva, piuttosto la realtà
interna alla mente, il nucleo centrale del pensiero, l’anima che lo forma, ed è
questa l’inchiesta più segreta della poetessa, il suo indagare testardo sui
labirinti interiori. Siamo di fronte al disperato tentativo di trovare un ordine
all’esistenza, di poter individuare un faro, una guida che possa condurre
attraverso il caos della vita, e di trovarlo nel pensiero o fra i pensieri, i
quali però, come confessa la poetessa, finiscono per risolversi a loro volta in
caos.
Il caos, tuttavia, è dovuto all’autoinganno che il pensiero
compie su sé stesso, come riconosce la stessa autrice in un passo, rivelando tra
l’altro l’obbiettivo del suo poetare, che si dimostra come un indagare le
origini del pensiero per indagare la formazione della poesia, quel nascere della
poesia come diceva Heidegger dal co-appartenersi originario di canto e pensiero.
Ma la risposta è in fondo nel titolo, Tra un pensiero e l’altro, la
poetessa si interroga su cosa possa separare un pensiero da un altro, e dunque
un istante dal successivo “suo fratello” come lo chiama, la verità è che tra un
istante e l’altro non c’è niente, perché non ci sono istanti, c’è solo una
durata che scorre, così come il pensiero non è fatto di idee separate, ma solo
di uno scorrere continuo di idee che coincide dunque con l’essere nel suo
fluire.
Così pensare e poetare per l’autrice sono la stessa cosa,
sono stati all’unisono, e mirano con inquietudine e ansia, perfino con una
specie di angoscia, a chiedersi continuamente ragione dei limiti della vita,
“Vorrei tanto sapere come si fa a chiudere il varco attraverso il quale quatta
inavveduta fugge la sostanza seme del nostro essere” scrive in una delle poesie
finali. Trattenere lo scorrere eterno che costituisce il tutto, trattenerlo tra
un pensiero e l’altro, trattenerlo come si vorrebbe trattenere i pensieri,
fermarli al vuoto che li separa, e in quel vuoto cercare la risposta. Ma così
non è, e allora accade il contrario, come attesta la poesia finale, la coscienza
si annulla nella poesia, con essa “scivola nell’assenza”.
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Recensione |
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