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Abbandonare Troia

La memoria può essere il ricordo di un singolo evento, magari, singolare per l’importanza che gli attribuisce l’«io». Ma se la memoria è un concatenarsi di eventi, anche se non cronologici, ma legati a una successione temporale psicologica, percorriamo il territorio del racconto.

E' storia di un uomo e, ancora, storia, aggrappandosi alle asperità del percorso e agli echi degli incontri: dai tasselli salvati dall’usura si può immaginare la figura del mosaico. A prima lettura la concatenazione dei singoli componimenti poetici è la preziosità che offre Abbandonare Troia, anche se «Il cavaliere della Mancia lasciava decidere Ronzinante» e «... dopo il tramonto ...» «Si sgranocchiavano serate blu e nostalgie campestri». «Abbandonare Troia» si legge e si articola come un poema in schegge, essendo i vari componimenti legati dai fili di un discorso che si dipana nella memoria e nel quotidiano come poli di un unico tempo ch’è il vissuto: «Quando Vittorio allude Mariastella | ha un riso di cristallo un riso come un volo. Fa tappa | alla vetrina dei FAVOLOSI SALDI VANITÀ ma l’occhio | cerca nuovi arrivi». «Lascio le sudaticce carte e ti coltivo ...»; «(già parlarsi con gli occhi era mezza avventura)»; «Ebbi permesso di venirti a trovare ...».

Appena il nostro cavaliere molla «le briglie», non percorre territori esotici, ma si aggira per le coste e le terre di un Arcipelago Continente, in un tempo in cui una virtuosa e antica povertà riempie dei suoi fascini un’infanzia e, nel contempo, lascia posto a una società che cerca la ricchezza nel consumismo.

«Abbandonare Troia» offre diverse chiavi di lettura, ma l’avventura poetica di Lucio Zinna va focalizzata nel passaggio storico della trasformazione sociale che sradica l’uomo dal tessuto nutritivo della sua cultura e lo rende alienato: c’è il malessere di vivere di un singolo uomo che si rispecchia in un contesto alienato e alienante. Ma in questo meccanismo L. Z. inserisce una filosofia tipicamente meridionale: poiché non si può trovare la pace in un contesto alienato, bisogna trovare, prima, la pace in se stessi e, poi, ritornare. Questo mi pare sia il significato che emerge dai risultati di lettura: «Parziale misura d’un tempo | non migliore di questo che ci sgrana e non contempla | soste o in moneta le volge». «Così trascorre inutilmente agosto. | Sarà passata tra le nove e le dieci la cometa di Halley ...». «Abbandonano gli uccelli l’anticrittogamica campagna», «Poco a poco non scomparite anche voi». «Ti siedo accanto nella 126 personal | e ti divergo mentre borbotti contro la palermitana | stradale indisciplina». «J’ai vu | glisser dalla porta girevole del Grand Hotel | des Palmes ...».

Il mosaico del discorso è diviso in brevi sillogi che si sviluppano come i capitoli di un racconto. La silloge «lettere metriche», a prima lettura, può sembrare un’eccezione all’architettura del discorso, ma trattasi, appunto, di lettere in cui prevale l’ironia del caso e i lapsus psicologici che nascono dalle parole e dalle situazioni. In L. Z. l’ironia è un tramite per l’approdo alla realtà: «(fosse l’infanzia a reggere per una volta le stanche sorti del mondo)».

Il dado è tratto. L. Z. affida al circuito underground un volume che si realizza maturamente nella forma e nel contenuto. C’è un problema di comunicazione e di orientamento telecomandato dei lettori. Ho la piccola speranza che ci sia, ancora, qualche lettore dalle antenne buone.

Recensione
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