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Appunti di mare

Appunti di mare è il titolo dell’ultimo libro di Maria Luisa Daniele Toffanin, nel quale sono riunite due differenti sillogi: A Tindari apparsa nel 2000, una raccolta lirica sulla terra di Sicilia e l’altra Da traghetto a traghetto per non morire, composta nello stesso periodo e a lungo rimasta inedita. E’ stata pubblicata infatti soltanto nel 2011, in appendice a Pensieri Nomadi, importante repertorio antologico e critico dedicato all’insieme dell’Opera dell’Autrice.

Le sillogi sono state riunite in un unico testo perché legate da un unico percorso: un viaggio in Sicilia, a Tindari il primo, e il secondo a Lampedusa.

Nella prima raccolta ritroviamo lo stile della poetessa di cui è stato già parlato: l’emozione di fronte alla bellezza del creato che genera pensiero, riflessione e, ancora di più, stupore metafisico. Le immagini sono sospese, fuori dal tempo, rivelazioni ultraterrene e forme di un Oltre dove si intravede l’Eterno (pag. 24). L’attimo della visione è immobile, un istante di pura poesia nel quale il verso è solo strumento della rivelazione stessa (pag. 15).

Tuttavia mi preme affermare che l’Autrice rimane un essere umano aderente alla terra e al suo contenuto di bellezza e amore terreni: una gioia vitale alla quale aderisce e sempre avverte quando la luce e il buio e altri elementi della natura, prima trasfigurati, ritornano reali.

Per essere ancora di più in piena armonia con essi, ma consapevole del proprio destino umano, l’Autrice si interroga se esistono ancora i Miti, se sopravvivono in questi luoghi alla Storia e se esiste ancora il Fato che tutto distrugge (pag. 13). Dal profondo delle liriche, all’interno della Poesia, compaiono ancora nuove visioni e rivelazioni e riaffiorano dal passato anche i Miti (pag. 25). In questi versi le immagini raggiungono una purezza classica che si fonde con la profondità del pensiero-rivelazione in un istante di piena armonia con il Creato (pag. 23).

Il secondo viaggio Da traghetto a traghetto, è molto più complesso e articolato. In questa seconda parte del libro non appaiono solo liriche, ma anche brevi prose, prosa lirica che commenta e cerca di approfondirne i contenuti. Direi che si tratta di un completamento dei versi, forse necessario per l’Autrice che sente la necessità di esprimere e comunicare ancora di più il suo mondo interiore. Infatti queste pagine non appesantiscono il testo, ma anzi aggiungono maggiore spessore e respiro poetico.

Da traghetto a traghetto racchiude i giorni intercorsi fra i due percorsi, quello dell’arrivo e poi quello del ritorno da Lampedusa. La parola traghetto diventa metafora dello staccarsi dalla terra- ferma, cioè da un mondo reale per inoltrarsi in quella sfera metafisica che in queste liriche arriva al culmine in un “crescendo” mistico che va verso una visione cosmica del creato (pag. 37).

Sembra strano che questa silloge, culmine della poetica della Toffanin, e acme del suo pensiero filosofico, sia stata scritta dieci anni fa circa e rimasta inedita. Il tempo trascorso sul traghetto è un passaggio fra il reale e dimensioni differenti.

Durante il percorso il tempo è “sospeso”, non ci sono più punti di riferimento e il traghetto sembra procedere nell’infinito dove il cielo si salda con l’acqua. In questo istante metafisico si sfiora l’eterno e si penetra totalmente la sfera spirituale. La traversata avviene infatti di notte, ma non è senza luce perché la volta terrestre accompagna sempre il percorso. Allora il viaggio notturno diventa percorso interiore, una riflessione accorata ma non angosciosa sul mistero che ci circonda, sul Creato che ci abbraccia e ci avvolge di bellezza, sulla brevità del nostro destino e, per contrasto, sulla vastità del cosmo in cui ci inoltriamo.

Le liriche si snodano in questo notturno procedere cercando di trovare significati e risposte all’apparente caducità che ci circonda. Ma il senso di questo procedere si trova nella pienezza luminosa del notturno nel quale il Creato si conferma certezza divina.

L’immersione metafisica della navigazione notturna finisce ed ecco che appare la luce del giorno sulla terraferma (pag. 40). L’arrivo è gioioso. L’approdo sull’isola è anche stupore nel vedere e scoprire la sua vita operosa e serena un “incantesimo di mare” che lega gli abitanti con amore a questa aspra terra.

Nell’isola il tempo si rallenta, il tempo “galleggia” e la terra addolcisce i suoi ritmi, immersa nella totale luce del sole. L’immobilità dell’isola la fa sembrare appena uscita dal caos della creazione in uno stupore originario, ai primordi del genere umano. L’Autrice scrive che la terra emersa dallo zoccolo africano, gemma intima stretta insieme fra mare e cielo, è percorsa da un sentimento di “panica purezza” e “cromatica armonia”.

E’ sempre questo il fascino delle isole, questa sempre vergine e selvaggia oasi rappresa nei suoi confini: “smeraldo vegetativo un tempo, ora roccia rosata, ambrata nella sua solare nudità” (pag. 42). Così ci appare Lampedusa, arsa e accogliente, dura e fertile con i suoi “arpeggi di verde che il vento disegna” (pag. 44).

Il cinguettio degli uccelli è un coro di voci infinite, un colloquio senza fine con l’immenso, la terra e il mare sfiorano il cielo, la bellezza della natura si sublima con lo spirituale e l’orizzonte è confine con la sfera metafisica (pag. 44). La contemplazione diventa meditazione e conoscenza in questo procedere tra approdi e attracchi, l’alternarsi di arrivi e partenze sul molo.

Ma questo incanto vergine, questa specie di paradiso terrestre, viene spezzato dalla consapevolezza che esiste un’altra Lampedusa, un’isola stravolta da un dramma atroce, una terra dove sono sbarcarti “Caronti e Caini”, una terra che era felice e colma di speranza diventata cimitero di poveri disperati, un dramma che proprio in questi giorni è diventato una pietra tombale pesantissima sui nostri cuori (pag. 48).

Questa enorme tragedia è vissuta proprio oggi come un massacro e un lutto recente e immane. E’ quindi con sofferenza che leggiamo in queste liriche la serenità accogliente e serena di Lampedusa e dei suoi abitanti, quella di una volta, e proprio oggi sconvolta da una vera e propria strage (pag. 43).

Per gli uomini dell’isola la vita continua nella pesca quotidiana per la sopravvivenza nel mare, che è la Casa dilatata nell’immenso tempo, un presente infinito. E la loro Barca è il guscio nel “sentiero del vento” (pag. 53). Il Molo e il Porto sono uno spazio di incontri, ci dice l’Autrice, e l’incontro è sempre una sorpresa: ricchezza interiore di ogni uomo che attraverso la sua parola diventa esperienza e saggezza per l’altro. In questo tempo fermo e più dilatato nei ritmi l’incontro con gente semplice e il confronto con il loro modo di essere ci comunicano pace interiore e un ritmo di vita più lento.

Nella sezione Quesiti di mare l’acqua e l’aria hanno un fascino particolare nel loro ignoto formarsi e riformarsi con fantasia ed energia che sembrano colorare di sé il mistero delle cose. Così l’anima e il pensiero sull’isola non possono fare altro che interrogarsi lasciando emergere domande che riguardano l’essenza stessa del nostro esistere e che avranno “risposte di luce”, grazie alla Poesia che è “minuta crisalide” e semi-interiore, rifugio che alimenta “nel silenzio e mistero delle cose” germogli di sentimento e consapevolezza (pag. 62).

Il Poeta con una bussola interiore puntata su orizzonti sconfinati “può procedere nell’avventura della vita su rotte di amore” e così riscoprire il valore profondo di ogni singolo istante per assaporarne la pienezza. La Poesia ha il compito di indagare questo mistero.

L’Epilogo e cioè il percorso di ritorno sul traghetto ha la luce del vespro, un’ora dilatata di infiniti contatti ravvicinati tra l’anima e la natura: l’ora del vento, l’ora del richiamo di gabbiani, l’ora di rare essenze e rari eventi, l’ora che odori e sapori svaporano sul mare.

“Era l’ora del crepuscolo oro / acceso da un’ala tardiva / risposta di vita” (pag. 74). La dimensione della sera ancora una volta si fonde con quella del Creato. Così il viaggio si chiude con un canto perenne alla vita, ai valori eterni che non cambiano e non passano ma rimangono immutati per sempre.

E finisco con le parole dell’Autrice: “C’è un’attesa di speranza di vita che non muore, ma continua a vibrare luminosa, con una panica forza d’amore, nostro conforto, premura divina, fino ai bagliori di una nuova alba. E tutto così ha un senso, una risposta ricomposta in un progetto di luce infinito che coinvolge il Creato oltre il visibile”.

Anche il viaggio dell’Autrice finisce: tensione e ricerca della sua origine attraverso la parola, “mentre Lampedusa lontana ormai sgradina a balze di rocce precipitando in abissi di azzurri cristalli” (pag. 82).

La continuità fra questa raccolta e le altre della Toffanin, non è soltanto ispirata all’amore per la propria terra, la sua civiltà, i suoi abitanti, ma soprattutto dalla visione spirituale e chiara della vita, con il desiderio di coglierne il segreto mistero, ciò che è sacro e invisibile.

Recensione
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