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I colori del buio
Reca una prefazione precisa e
autorevole, la nuova raccolta poetica del prolificissimo Emanuele Giudice,
a firma dell'amico Pasquale Matrone, vicedirettore della nostra rivista. Il
quale ben coglie la natura non solo del presente libro, ma di tutto il
lavoro di Giudice, volto a esplorare e scandagliare la realtà anche nei
suoi anfratti più cupi, con impegno febbrile, perche (come dice una
citazione, di autore anonimo, posta in exergo) "il buio non distrugge ciò
che nasconde". Compito del poeta, dello scrittore, dell'intellettuale e
dunque immergersi in questa oscurità senza rifuggirne, perché in essa vi sono
colori, sfumature, esperienze celate ma non annichilite.
Laddove il suo
talento è scriverne, continuerà a farlo, nonostante i raggiunti ottant'anni e
moltissimi libri già pubblicati. "Cantore di necessità e non di statuto,
studioso mai pago delle sue conoscenze": così lo definisce Matrone,
cogliendo nel segno (tutta la sua prefazione, ampia e articolata, e
precisissima e magistrale). Giudice muove senza sosta alla ricerca di Dio,
nonostante sia un Dio che si esprime pressoché solo con il silenzio: quel
Dio che solo può dare senso al mondo, sensato anche oltre e nonostante le
risposte taciute, e conservare o restituire sacralità a quella parola che il
poeta si ostina a inseguire, allo scopo di riempire appunto quel silenzio
per quanto e lecito alla sua umanità peritura. I versi sono ora meditabondi
e raccolti, ora declamatori come orazioni o monologhi teatrali, e in questa duttilità (o duplice misura) si riscontra un'ulteriore caratteristica di
Giudice: uomo che ora invita alla riflessione pacata, ora alla ribellione
delle coscienze, ama in un caso e nell'altro affrontare di petto la realtà.
Il libro si apre con un testo che narra la vicenda e la figura di Ninetta
Burgio, donna e madre oppostasi alla mafia. Segue la poesia che intitola la
raccolta, quasi un preludio programmatico, e quindi un altro piccolo
monologo ritratto dedicato a Melissa Bassi, vittima sedicenne della malvagità umana. Le poesie successive, una ventina di assai varia ampiezza
(da brevi a molto lunghe, estese anche su quattro o cinque pagine),
esprimono in continui approfondimenti e variazioni la ricerca di cui si è
detto: ricerca di senso attraverso le parole, ma anche del senso stesso
delle parole, indagine sulla realtà per scoprirne gli anfratti,
interrogazione del dubbio e dell'inquietudine, "voce che convoca il mistero"
tra "litanie | che celebrano il morire | e la voglia tenace di risorgere".
Argomentazioni
Giudice infatti punta ben più sul ragionamento che
sull'intuizione ora scandite come proclami, ora finemente cesellate in
immagini liriche e creative, con personalissimo estro e massima liberty
espressiva. Il confronto è qui dapprima con il cosmo, quindi con se stesso o
con l'altro se stesso, in "uno squarcio inspiegabile d'azzurro" che prelude
al brano a nostro giudizio più alto di tutto il libro: un monologo, di
enorme spessore anche teologico, in cui il poeta s'immedesima in Giobbe
adirato con Dio, un piccolo capolavoro da cui è inutile citare, poiché va
letto e assaporato integralmente. Segue, idealmente concatenato, un testo di
pari altezza, dove l'attenzione è rivolta a Dio come Parola-Verbo. Altre
poesie sulla condizione umana, universale e propria, guidano verso la
conclusione del libro, dedicata alla Bellezza: "Non sei qualcosa, | sei
il
tutto. || Il tutto che si posa sul dovunque. || || impronta e purissimo
pensiero | che rendono parola la natura | nell'armonia che genera l'eccelso
e lo coltiva || || senso che svela e traduce | ciò che non può essere
scrutato || || Anima del creato, | singolare declinato al plurale e
all'infinito | abbracci il cosmo e lo redimi || || l'insaziato brivido | che
possiede e travolge | al suo farsi anima e carne | e voglia di afferrare il
tutto". Un libro di altezza invero assai rara,"questo di Emanuele Giudice,
da meditare intensamente. Perché quando il poeta ha terminato la sua opera,
entra in gioco il lettore: "Tacere è dare senso all'ascolto".
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Recensione |
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