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Il sandalo di Nefertari

Protagonista assoluto nella poesia italiana degli ultimi trent'anni, Rossano Onano approda – con questa sua ultima opera – ad una delle collane di poesia più interessanti tra quelle apparse nel nostro paese in questi ultimi anni, già segnata dall'apprezzamento di critici e lettori.

Una brevissima nota iniziale spiega come il titolo alluda a qualcosa di disperso, mancante, dimezzato (al Museo Egizio di Torino è conservato un sandalo della regina Nefertari: uno solo, non la coppia, e il riferimento egizio – oltre che nella traversata del deserto – trama il libro in singoli vocaboli, il vitello grasso, l'aspide, la sfinge). Tale il pretesto per quello che, come in tutti i libri di Onano, è una sorta di teatro dell'essere, indagine di scavo e ri-definizione che procede per suggestioni, aggiunte, allegorie, sottrazioni, scarti, secondo un processo certo non ignaro della sua formazione, e professione, medico-psichiatrica. Ad una enigmatica, ma non troppo, poesia iniziale di “ambientazione” (“Mi dai notizia della migrazione, della fuga / nella terra odorosa di licheni, dove stentano gli alberi. / si aggirano solo lenti animali da tana. / A quelle bianche aurore ti distendi / consapevole che il sonno sarà lungo, senza abbagli”) seguono testi che parlano di debiti da contabilizzare, di combattimenti aperti o strategici, di partenze e allontanamenti, di passi d'esilio e in generale di guerre, talvolta esplicitamente militari e talaltre, più spesso in verità, “stagionali”, combattute negli scenari quotidiani.

C'è un imperio di attraversamento, una “promessa di deserto” da affrontare con i mezzi che si hanno a disposizione. Evidente, in numerosi testi, la dinamica del conflitto tra uomo e donna, anzi tra maschio e femmina, in modo articolato e parodiato, tra tattiche abitudini e tradimenti, insomma anch'esso una belligeranza. Altre figure attraversano la scena: il pifferaio di Hamelin, Vlad l'impalatore, Papa Giulio II, Laura di cui si innamora Petrarca, Erik il Rosso che scopre e battezza la Groenlandia, ciascuno a proprio modo definendo e “mappando” un territorio.

Perché “la parola è alta la parola è forte la parola è una bella cosa / però ci abbisogna un luogo donde pronunciarla” e ancora non basta, servono pure mercanzia e investiture e milizie, altrimenti la parola è vana. L'esigenza stanziale si scontra con l'aspirazione, o la necessità, di una “fuga” / nostra da noi, dalla nostra irrequietudine”, un evitare se stessi o l'incontro con l'altro laddove l'altro sia reale e non camuffato, come avviene ai protagonisti della poesia “paginebianche.it”. Registro di dislocazioni e assenze, dunque, gioco di scacchi come nel “Settimo sigillo” bergmaniano (citato esplicitamente), insensato ballo degli scheletri con gli uomini, oppure partita di calcio, in una delle poesie di più immediata decifrazione: la perfetta disposizione della squadra “fino a quando un rimpallo un tiro casuale violento / ha deciso la partita / come appunto avviene nella vita”.

Una poesia matrioska, allora, la quale “contiene / colei che contiene la contenente”, così come la morula “è carne / della tua carne e di tutte le carni dell'uomo”. Un libro, questo di Onano, che si muove tra obblighi, scelte e potere del caso, nel quale “non tutte le alleanze sono facilmente comprensibili” e si fa parte di una “vincibile armata”, milizia che rispetta le regole d'ingaggio pur in realtà ignorandole. Si vorrebbe sperare in qualcosa di ludico, come negli intervalli-intermezzi costituiti da filastrocche, ma il discorso sembra invece terribilmente serio, destinato a condurre fino allo “strano silenzio dell'incognito”: quel silenzio che ci trova soli di fronte ad uno specchio (“ok, rispondo all'altro da me / che mi rassicura”) e avvolge le domande notturne sull'oltre e sull'altrove (“mi chiedevo dove fosse mia madre, dove mio padre”), quel silenzio che è sì pace, ma non contiene né offre alcuna risposta.

Recensione
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