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Da questo mare
Aprire il libro di
Stefanoni e leggere questa silloge è come entrare in un luogo consacrato e
iniziare un itinerario di preghiera che potrà consegnare la precarietà del
nostro stato e della nostra condizione a Dio, per essere affrancata . E’ questo
che ha fatto l’autore, ha meditato, riflettuto, ma soprattutto pregato,
affidando al divino la sua umanità per ritrovarla vivificata e più autentica,
perché riscoperta nella sua dimensione di sofferenza, che discende direttamente
dalla croce del Cristo.
Singolare il metodo
adottato in questo viaggio ( dato che il percorso compiuto altro non è che un
viaggio) che si articola in tre sequenze, o potremmo dire sezioni, se le
riferiamo alla struttura stessa della silloge. La prima, intitolata L’amore
che ti manca, è una lunga e dolorosa contemplazione delle Crocifissioni
realizzate dal grande artista Giacomo Manzù, di fronte alle quali il poeta si
pone in religioso silenzio , per condividere l’atroce sofferenza del Cristo che
testimonia la totale mancanza di amore che ha condotto a quell’oltraggio. Il
Cristo è sulla croce perché gli uomini gli hanno negato il loro amore, paga ed
espia ingiustamente la colpa umana del disamore e la tragedia si compie intera
perché quando manca l’amore, nella storia prende il sopravvento il male. Il
poeta condivide con lo scultore tutto quel dolore, lo avverte pienamente
presente nell’uomo contemporaneo, lo proietta immediatamente nei volti degli
extracomunitari e di quei disperati che cercano di approdare in una nuova terra,
la nostra, nel tentativo di scampare alla violenza della guerra, alla fame, alla
povertà. La croce sta lì ad attendere gli uomini, ma essi, non illuminati dalla
fede, se ne distaccano e cadono nell’indifferenza, per questo il poeta dichiara
ORA E’ A NOI CADERE O CAPIRE /
sotto la ragione e l’usura / dove la vita se non
affermata si estingue.
Ma abbiamo accennato
prima alla singolarità dell’operazione poetica che Stefanoni compie, infatti,
dopo la contemplazione delle Crocifissioni di Manzù, nella seconda sezione
intitolata 8, o della città pregando con l’angelo, egli ripete le
stazioni della via crucis, seguendo le fermate della linea tramviaria numero 8
di Roma, in una sorta di nuova e quotidiana via crucis degli uomini, che devono
spostarsi per lavoro e per le necessità della vita da un punto all’altro della
città. Roma è il vasto e caotico scenario di un paradossale calvario di cui il
poeta ripercorre le tappe, incontrando e rivivendo alcune reali tragedie
accadute in vari luoghi toccati dall’8, come per esempio i luoghi della Shoah,
nel ghetto, come Piazza delle cinque scole, o quelli dove visse Pasolini, a
Monteverde nuovo, mentre compaiono figure come Elio Fiore, che sono state
testimoni di bene e di moralità o altre meno note come l’amico libraio Massimo
Arrivabene, o Marco Guzzi, entrambi destinatari di dediche , che comunque
richiamano un’eticità mai tradita. Il percorso si snoda, per Viale Trastevere,
per la circonvallazione ostiense, per Piazza Venezia, per la via delle navicelle
e altre ancora, sempre cogliendo aspetti, particolari, immagini e segni che
attestano una vita vissuta da esseri fragili quali gli uomini sono, in una Roma
bella e corrotta, spesso indifferente, ma che pulsa di dolore che a volte noi
non vediamo e che invece la parola poetica restituisce alla pietà. S’innalza
allora la preghiera:padre che vieni dal cielo / padre che vieni dal mare…..
Il petto del poeta si
infiamma, arde di commozione mentre su ponte Garibaldi dice agli altri ed a se
stesso Loda Dio – prima di lodare la luna, / prima di tornare a casa. E’
poesia densa di pathos, di fervore mistico, di desiderio di Dio.
E’ una moderna via
crucis, che muove dalla morte di un ragazzo, in particolare e si allarga agli
infiniti altri infelici che hanno avuto la medesima sorte. Questa parte finale
dell’opera è intessuta di echi poetici cari all’autore, perché appartenenti a
poeti da lui amati, come Ungaretti, Dante, Sereni e specialmente Davide Maria
Turoldo. IL tema comune è il dolore, un dolore acuto, profondo che si traduce in
pietas e in bisogno assoluto di preghiera nel saldo a giornata il motivo
/ per
cui noi da qui non riusciamo / ma dobbiamo, se ancora rimane, pregare.
I due versi finali che chiudono sia la sezione, sia la silloge sono la conferma
del progetto poetico di preghiera che è un progetto di vita; E A TE GIUNGA IL
SUO GRIDO / nell’eco che attende risposta.
La citazione è di
Eliot, tratta da Mercoledì delle ceneri ed è il vero saldo a fine lavoro,
un’invocazione biblica, colma di attesa, ma anche di fiducia in una risposta che
non può essere rifiutata e che non tarderà a venire.
L’intera opera è sostenuta da una lingua colta, in cui trasalgono citazioni che
derivano dal patrimonio culturale di Stefanoni e che appartengono intimamente al
suo dettato interiore, ma la caratteristica più cospicua e interessante dello
stile di queste poesie è l’atteggiamento di umiltà e di contemplazione di fronte
al divino che ricorda la condizione spirituale di certe liriche di Tagore, in
particolare Ghitangioli (Canti di offerta), ove il grande poeta indiano
è in ginocchio davanti alla rivelazione di Dio nella natura e nell’uomo che
soffre.
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Recensione |
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