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Sebastiano Schiavon, un personaggio particolare

da: La montagna che vive in pianura
di Sergio Varini
Bozzetto Edizioni, 2008

Mi sembra significativo chiudere questo capitolo sulla Saccisica presentando un personaggio particolare – Sebastiano Schiavon – che, frequentemente, usava i termini “pastore” e “pastorale”, ma con il primo, si riferiva al Papa, al Vescovo, al parroco e con il secondo, indicava l’azione pastorale della Chiesa.

Perché citare, allora, questo personaggio, nato a Ponte San Nicolò nel 1883 e morto a Padova nel 1922 la cui vita è raccontata da Massimo Toffanin in “Sebastiano Schiavon: lo Strapazzasiori”, che apparentemente non appartiene al mondo dei migranti ed ai pastori delle vacche?

La risposta può avere diverse motivazioni: la breve esistenza dello Schiavon, che tra l’altro era anche stato eletto deputato al Parlamento italiano, si svolge contemporaneamente alle migrazioni montane, raccontate nei capitoli precedenti. Anche lui conosce tutto il territorio frequentato dai pastori delle vacche, dall’Altopiano alla pianura veneta fino alla gronda lagunare veneziana. Tutto il dinamismo profuso dallo Schiavon è sconosciuto al grande pubblico, come lo sono le gesta compiute dai pastori dalle vacche. Dunque i due soggetti, Schiavon da una parte ed il migrante-pastore dall’altra, sono coevi e profondi conoscitori del medesimo territorio. A leggere la biografia del primo non ci sono episodi di esperienze condivise con la vita del secondo, ma alla fine si può dire che, l’uno è la mente e l’altro il braccio.

Schiavon è un laico di grande cultura, è un cattolico che svolge un’attività politico-sindacale incredibile, da vero pioniere ed in tutta la diocesi padovana che, notoriamente, va dall’Altopiano, alla laguna veneziana. Costituisce, in pratica, i primi uffici di collocamento dove “domanda ed offerta di lavoro” s’incontrano; dirige i primi scioperi sindacali; c’è tutta una sua azione a favore delle classi più deboli come i bovai, i fittavoli ed i mezzadri per i quali attiva le “Leghe Bianche” (in contrapposizione a quelle “Rosse” di ispirazione socialista) per il riscatto della gente dei campi; si batte perché nelle campagne ci siano contratti di conduzione diversi da quelli che costringono i rurali a vivere in tuguri, afflitti da malattie e disponendo, per mangiare, solamente del mais da polenta mal conservato.

Nei capitoli precedenti si è già appreso come i pastori delle vacche sfruttassero la conoscenza tecnica che voleva il letame essere considerato il “burro nero” per la terra. Così, anche se non c’è prova che lo Schiavon ed il mondo del migrante e pastore delle vacche si conoscessero, l’azione del primo viene applicata, quanto più possibile, da chi dalla montagna emigra stabilmente in pianura. Meglio evitare i contratti d’affitto dove il canone si paga in natura, perché al contadino resterebbe solo la polenta!... In pianura, dove i montanari ed i pastori delle vacche trovano, frequentemente, residenza fissa, vengono preferiti contratti d’affitto monetizzati se non, addirittura, si fa l’acquisto della terra, perché il canone d’affitto è operosissimo, al punto che, con circa otto annualità d’affitto, la terra è bella che acquistata!

C’è, pertanto, un pastore delle vacche che, soprattutto in Saccisica vede le tristi condizioni della gente dei campi e che nella media pianura, dove lui si fermerà, coglie al volo i cambiamenti che lo Schiavon propone per il mondo agricolo: affitti, possibilmente, con vincoli meno pesanti; affitto non più in natura, ma monetizzato; la piccola proprietà in mano ai contadini, piuttosto che in mano ai grandi proprietari!

Ma… il passaggio che permette di capire come lo Schiavon conoscesse profondamente la gente e la storia dell’Altopiano dei Sette Comune è quando in Parlamento, nel 1915, prende la parola in difesa del profugato: “… Si tratta di italiani, i quali sono stati spesso, magari in buona fede, calunniati; sono stati, e sono anche ora, ritenuti ingombranti, quasi delle spie…

Parole pesantissime, espressioni oggi incomprensibili, quelle dell’onorevole Schiavon, se non si spiega la situazione storico-sociale della gente di montagna, ed in particolare quella creatasi, proprio, per i profughi altopianesi.

In pianura il pastore del gregge era, ed è considerato, già di per sé un personaggio misterioso che non si sa dove va e da dove viene; il pastore delle vacche, allora e come hanno raccontato i testimoni-informatori che abbiamo conosciuto nei primi capitoli, era considerato, addirittura, uno zingaro perché era del tutto anormale vedere una mandria bovina portata a girovagare, in transumanza, nella bassa pianura e nella gronda lagunare.

A questi frequentatori della pianura, per gli eventi bellici del primo conflitto mondiale, ora si aggiungono, a migliaia, tutti i civili altopianesi per il profugato bellico: sono donne, vecchi e bambini (gli uomini validi sono tutti al fronte!).

Qui, in pianura, tutti questi profughi, rispetto ai locali, mostrano di conoscere palmo a palmo il teatro di guerra sia sul fronte italiano, sia su quello austriaco.

Tra gli anziani profughi è tutto un elogiare le terre e le montagne dell’impero austriaco che loro conoscono per essere frontalieri e per la secolare frequentazione per essere stati, colà, lavoratori migranti e stagionali e per una meno confessabile attività di contrabbando!

Quello che sorprende ed allarma i locali di pianura è scoprire che questi anziani, talora, usano delle frasi o parole incomprensibili la cui fonetica richiama la lingua tedesca “è il cimbro, l’antico idioma altopianese”.

La gente di pianura ha i propri cari al fronte e suppone d’avere, come ospiti in mezzo e tra loro, delle “spie” che si esprimono in tedesco, o comunque con un linguaggio in codice: partono denuncie e segnalazioni ai carabinieri ed alle autorità civili con sospetti e delegazioni nei confronti di questi profughi!

Avvisaglie del clima che si sarebbe creato per la popolazione altopianese si poteva intuire già nel 1914, quando l’Italia, all’inizio delle ostilità tra gli Imperi Centrali e l’Intesa, aveva dichiarato la propria neutralità, ma… il clero altopianese è già sospettato di essere austriacante ed i civili stessi, all’inizio del conflitto mondiale, sono accusati di attività spionistica a favore degli austriaci. È sufficiente essere a far legna in posti isolati, a cercar funghi nel bosco, usare l’idioma locale “il cimbro” oppure essere in chiesa a pregare a lume di candela per entrare nella lista dei sospettati.

Tutto questo viene raccontato da Pierantonio Gios in un saggio inserito sulla “Storia dell’Altopiano dei Sette Comuni”.

E ritornando all’onorevole Schiavon, nel suo discorso in Parlamento, così egli continua, in difesa dei profughi e della gente altopianese: “… mentre tutti noi sappiamo che gli abitanti dei sette comuni dell’Altipiano vicentino come quelli dei paesi contermini sono precisamente quegli alpini, quegli artiglieri, quelle guardie di finanza, quelle fanterie, che proprio recentemente hanno impedito l’offensiva della nemica Austria; sono precisamente quelli hanno conquistato le posizioni e le batterie di artiglieria, che io qui non posso per evidenti ragioni militari indicare, ma che molti conoscono, e che quindi, anche per questo, meritano non disprezzo e calunnia, ma approvazione e plauso da ognuno”.

È uno Schiavon, dunque, che conosce la storia della fedeltà degli altopianesi, prima per la Repubblica di San Marco ed, ora, per l’Italia!

Sconosciute, comunque, oggi sono le attività svolte dallo Schiavon in tutta la diocesi padovana: dall’Altopiano, alla media pianura padovano-vicentina alla pianura padovano-veneziana, come lo sono quelle dei migranti altopianesi e della pedemontana che, anche con il loro fattivo contributo ed esempio, hanno dato lustro allo sviluppo agricolo nelle terre di pianura dove si sono insediati.

C’è da augurarsi che la storia scopra e valorizzi la figura di Sebastiano Schiavon e gli riconosca i giusti meriti quali spettano ad un pioniere di quel sindacalismo cattolico che, nel rispetto delle classi sociali, voleva e perseguiva una vera giustizia sociale e che alla gente, qui immigrata per la crisi della pastorizia e la povertà dell’originario suolo natio, sia riconosciuto il merito e l’onore per il contributo all’avvio di un progresso economico-sociale i cui frutti sono rimasti alle presenti generazioni.

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