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Dolci velenosissime spezie

I luoghi dell'incontro,
Il percorso editoriale della Forum/Quinta Generazione
Tipografia faentina, 1998

Ironia post-moderna per antonomasia potrebbe dirsi quella di Rossano Onano, che nei due volumi L'incombenza individuale (1987) e Dolci velenosissime spezie (1989), esplica una poetica fondata sulla consapevolezza dell'inappartenenza all'essere universale per continuare comunque a resistere, seppure nei frammenti che non denotano tanto una ricerca, quanto un tentativo di addizione, un punto su cui far leva e ripartire.

 

A dichiararsi nei testi è quindi il soggetto, l'io del poeta che, ampliandosi spesso in un sottinteso noi umanistico – reperibile nel fare poematico che caratterizza le composizioni, atonali su versi che guidano la misura ad un confine che spazia sempre altrove, verso il desiderio di testimonianze etiche e interiori, oltre la storia e la cronaca – che ritrova la contraddittoria strada per ripresentarsi in scena, dopo aver denudato l'essenza umana di ogni inutile apparenza, presentandola quindi nella sua condizione di dolore e di morte, sacralizzata nella disperazione di un'impossibile alternativa (“Mio Dio, perdono, ci eravamo lasciati / sopraffare dalla logorrea, ci eravamo / sbagliati. L'uomo è fatto a tua immagine / e somiglianza, possiamo essere ammazzati” - L'incombenza individuale, p. 15). In questa lucida consapevolezza, quasi angelica per l'uomo secondo la definizione di Jaspers che Onano cita (p. 26) e quindi riporta ai termini terreni del rifiuto (“Io sono un angelo paradossale / distratto dall'umano ma trafitto / sopra la croce di una cattedrale” - p. 11), non c'è più la passione romantica, ma dell'amore come offerta sicura dell'io è rimasta traccia insostituibile (“Una certa sperimentazione è deleteria, nella poesia / come in amore ... dovremo accettare il tavolo / verde, evitare gli occhi del croupier, abbinare / il numero a qualche persona, ente, sagoma, io”, ed anche, con rappresentazione metaforica che si concretizza in ironia leggera, “Se soltanto avessimo un'arma atta, una lancia, e non oramai queste / corna retrattili, molli, uno schermo di lumaca con voragine / cui potresti attingere se tu volessi, amore che non ti pieghi e non / ti spezzi, mio amore trascendente che non mente (che non rischia niente) / stella polare dura, amore di forbice e gomitolo (paura?)” - Dolci velenosissime spezie, pp. 68 e 74).

Nemmeno si ritrova la consolazione del quotidiano alla maniera crepuscolare, intimistica e disperante, mentre l'irresoluzione avanguardistica è divenuta personale misura di poesia e di narrazione. Il canto comunque non si addice all'uomo post-moderno, che va incontro al deserto della quotidianità, all'essere per avere e possedere, ed al poeta, aedo di questo poema dell'insulso, spetta l'unica “parte, dare forma al Silenzio nostra antica / irrevocata vocazione” (L'incombenza individuale, p. 51). Così i testi si compongono in un assemblage che riporta le forme di molti importanti autori del Novecento, assimilati come in trasfusione ematica per dar corpo originale alla sola nota recitante in questi versi, l'ironia. Non è questa enfatica, né ricerca i nascondigli della litote, ma s'offre chiaramente con l'arte del paradosso, del gioco della simulazione del concetto, che giunge a sorprendere nelle estemporanee conclusioni, a scandalizzare quindi, pacatamente, per via di ragione, l'allegria della tragedia umana. Essa è tangibile in ogni settore della cultura, nel contraddittorio porsi di fronte all'uomo ed alla ricerca di verità della scienza e della filosofia, che comunque Onano conduce a conclusioni interiori, sfidando gli altri a vedere la differenza che passa tra realtà e ragione, pensiero ed immaginazione (“Una, non avuta, non vista, ma neppure / arrancata dai precordi, ossessiva ma tenera / congiunzione ideica con l'ideante, perfetto / quanto incontaminabile, attenta la coscienza / poi nasconde il braccio, irride l'esigenza / della proiezione (forse beve ambrosia, è ambrosio / dipendente) una, dicevamo, congiunzione ideica / con l'ideante a contesi morsi, a disputati / brandelli: il quale non ci sta, scappa” - Dolci velenosissime spezie, p. 62).

Da questa prospettiva intima tutto diventa creato dal poeta, la surrealtà della descrizione, l'icasticità spesso contraddittoria dell'ironia, che si pone quindi in questo universo necessariamente d'artificio quale unica chance moralmente intesa per riaccostarsi all'uomo, per comprendere infine l'amore come desiderio di essere, come nuovo esprit che si pone – a fine Novecento – accanto sia alla finesse della lirica, volutamente discorsiva, poematica ed anche diaristica quale testimonianza d'inchiesta quotidiana, che alla geometrie, rigorosa tensione intellettuale che tiene sempre aperta la possibilità di ritrovamento lirico e morale in “questa poetica delle macerie nata nel cuore di un umanesimo disilluso” (Luciano Anceschi, Che cosa è la poesia, Zanichelli, 1986, p. 177).

Recensione
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