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La presenza poetica di Lucio Zinna, in versi
e in prosa, è di quelle che non si smentiscono. Ed è presenza armoniosamente,
plenariamente circolare, nel senso che, se da un lato l’ampia e cadenzata
prosodia del poeta in versi evita di proposito qualsiasi volo pindarico o
pindareggiante per attenersi rigorosamente alla misura del quotidiano nello
sforzo ascetico e meritorio di inverare i valori dell’anima sul ritmo avaro e
disincantato dell’esperienza comune, d’altro lato la tessitura sapiente del
poeta in prosa crea senza fatica suggestioni di sogno, mescolando con gusto
sicuro lacrime e sorrisi, ironia e pathos, confessioni e denunce, e sollevando
gradualmente il discorso verso quelle rarefatte atmosfere liriche dove restano
custodite da sempre e per sempre la promessa e la premessa del canto.
Da qui, in questi suoi due libri più
recenti (Abbandonare Troia, Forum/Quinta generazione, Forlì 1986; id.
Il ponte dell’ammiraglio e altre
narrazioni,
Thule, Palermo, 1986), l’incisiva maestria di
una scrittura che giunge ai suoi vertici, per quel che riguarda la poesia in
versi di «Abbandonare Troia», coi sessantacinque versi (due in più della Quarta
egloga virgiliana) per il treno della Maiella, e, per quel che riguarda la
poesia in prosa de «Il ponte dell’ammiraglio», con «Io e Francesco», splendida
professione e confessione, di “laicità” francescana da parte di un poeta che non
ha bisogno del saio per sentirsi vicino all’alter Christus di Assisi.
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Recensione |
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