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L'occhio dei poeti

L’occhio dei poeti di Patrizia Fazzi è l’itinerario di una vita personale e collettiva (fenomeno simile a quello che viene operato nella Ginestra “leopardiana) attuato tra cielo e terra, spirito e materia mediante una scrittura snella, musicale, trasparente, che somiglia alla storia di tanti che sentono gli umori esistenziali come lei, ma non sanno esprimerli. Nascono così versi indimenticabili come ci scivola addosso la vita/ è un guanto che sfiora la pelle (“Un’onda nel buio” ), stanco il grigio dei capelli, per uno “Ad sconosciuto troppo solo” e, nella poesia “Lucciole”: Erano magia di luce nella sera/ nei cigli di campagna, dietro casa... per le annunciatrici allegre della notte, memoria e rimpianto della prima età.

E’ un’ora – canta Patrizia – che non c’è in “L’ora assopita”. Come si fa a non ammirare, stupiti, questa immagine che tutti noi, da bambini, abbiamo guardato attoniti mentre si addormentavano sole e nuvole nella campagna? In quel cielo dove, di maggio, si spalancano i giorni insieme alle rondini “impazzite di volo” in cerca disperatamente di un nido per i loro nati. Lo stesso lirismo e la stessa libertà di parola la troviamo nelle descrizioni di monumenti immortali in “Paradigma di kosmos” :

questo smerlo di ordini pacato,
        paradigma di ‘kosmos’
                che nel cielo si slancia
con le sue linee nette e dolci
con i colori naturali della pietra
plasmata in decori unici e infiniti...

per la Pieve di Santa Maria Assunta di Arezzo, stupenda, che proietta la sua consistenza verso la rocca, attraverso uno spazio dove si raffigura la meraviglia di un’ora che se ne va presto ma lascia l’incanto della bellezza , bagnando il “guscio di memorie”:

pietra sospesa nell’aria
a fermare l’incanto di un giorno
che sfuma e ci lascia soltanto
      il soffio della bellezza
                                 nell’arte
( “Mia pieve stupenda”).

Altro verso memorabile: Si chiude l’ombrello del giorno (“I cancelli della notte”). L’ombrello del giorno! Può venire in mente a tutti un’immagine simile?

Solo ai poeti è dato di inventare parole che restituiscono il senso e il peso delle cose e degli eventi. Solo i poeti possono ascoltare la voce di ciò che accade intorno a loro e renderlo eterno. La Fazzi, insieme ad altri fortunati, ci riesce...

Facciamo un altro esempio, la neve. Non solo i bambini, anche i grandi, di fronte alla neve inventano canti e danze con immaginari dame e cavalieri, soprattutto walzer, perché la neve cade prima lenta, poi velocissima e imbianca case, strade, viali e cose rendendo tutto uguale in fraternità solenne. Per chi ha un giardino, poi, non basterebbero migliaia e migliaia di anni per dire il minuscolo secondo di eternità che ha compiuto questo miracolo, con la certezza che la candida coltre non danneggia, anzi protegge alberi, foglie e fiori per farli comparire di nuovo più splendenti e colorati di prima. Sentiamo cosa dice la Fazzi in “La prima notte di neve”:

La notte – stamani – ha portato
                rami disegnati di neve
                                         linee infinite
                        in un cielo di perla:
un bianco
               silenzioso
                             presepe
maestoso candore
                            di fiocchi leggeri,
eppure rallentano il fiato
fanno il passo
                     più attento
riportano il cuore e la mente
                    a cercare vie
            diverse
dallo shopping convulso e addobbato...

per chi vuole lavarsi le scorie dei troppi lustrini,
             nutrirsi di neve
                                   come ostie d’amore.

E allora la nostra poetessa capirà – come recita la poesia “Il mondo negli occhi”, che chiosa la raccolta - che non c’è più nessun mondo da guardare, sarà tutto come un diario chiuso senza parole, dove fioriscono gemme di strade melodie / da suonare con l’organetto nelle strade e che bisogna trasformarsi in strilloni, poveri in cerca d’elemosina, accartocciati con il piattino di latta in mano a tendere poesie in cambio di sorrisi frettolosi e di qualche monetina, circondati dal baccano della folla indifferente nel mercato.

La vedo, la mia poetessa scalza, rimasta vedova senza sua colpa, cantare il suo ultimo canto, “La grazia di un sorriso”:

Affiderò i miei sogni
                                alla pioggia
nascosti nel verde autunnale
o in una timida gemma,
li cullerò nella sabbia del tempo,
forti come conchiglie.

Pettinerò appena gli scomposti pensieri,

sacerdotessa sarò
                   del tempio sommesso
                                                   del cuore.

20 settembre 2012

Recensione
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