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Il mio pensiero poetante

Il pensiero della morte, ovvero l'enigma che tormenta ogni essere vivente, è un trattato che si riscontra nell'opera di Veniero Scarselli. La pubblicazione è del 2011, voluta dall'autore in occasione del suo ottantesimo anno.

Certo è un'opera possente, profonda, che scandaglia veramente i precordi e lascia fondi di meditazione ed anche di timore, dato che al valico degli anni, prima o poi, è chiamato ciascuno di noi. La morte è l'eterno dubbio, è il male ultimo, è il transito verso il nulla: e l'Ente che si vuole che ci preceda rimane sempre un emblema da interpretare e senza nessun riscontro. Cosi, il decadimento dell'uomo incomincia fin dalla nascita, e via via, sempre con alterne vicende, verso la fine di quanto precedentemente esperito. La morte, per quanto poco, rimane l'incubo di ogni nostra giornata: incomincia con il sorgere del sole e si stempera con il tramonto della luce.

E’ patente che la morte rimane una fissazione più che altro nella mente dell'anziano, non certo nella mente del giovane, che non ci fa proprio caso di quanto gli accadrà strada facendo. Si può dire, allora, che Veniero Scarselli è proprio un cinico che teme la morte e che forse si vergogna di alimentare solo tematiche di consunzione, edotto che sul suo capo gli pende inesorabile la spada di Damocle. Ed ecco, che ad un certo punto del libro, egli scrive quanto segue: Che sarà di questi nostri corpi / quando non saranno più pianti, / che sarà di quelle bianche ossa / senza nome frugate e scomposte / dal raspare randagio dei cani / nel silenzio delle notti eterne / echeggianti di latrati ringhiosi, / e poi disperse, calcinate dal sole/e dai venti furiosi delle pietraie, / prima di essere per sempre ricoperte / dalla polvere dei deserti e dei millenni?

Scarselli interroga dunque se stesso, tanto che le sue espressioni ci fanno rabbrividire, con un andare nel verso a rammemorare il Foscolo nei Sepolcri. Nell'avvicendarsi delle tematiche il nostro autore cita spesso il trapasso di sua madre nella veglia straziante e solitaria, in cui ii figlio vorrebbe penetrare con gli strumenti empirici della ragione nel tremendo segreto della morte, per cui si risente anche il pessimismo leopardiano che condanna la carne di tutti gli organismi, sapendo che il peccato e il dolore fanno parte del plasma vivente. Nella successione dei problemi cruciali e di riflessione, l'autore evoca l'incerta esistenza degli esseri e le inventive di reggere le sorti progressive, per cui anche l'Amore è una suprema indifferenza meccanicistica insita dalla notte dei tempi. E poiché l'orbe terrarum è fatta di materia da inondare, atomi e molecole (vedi il De rerum di Lucrezio), un'anima cosciente avverte tutto il trambusto della vivenza, peso ciclopico da sopportare, anche se un presunto Dio sembra benevolo nei nostri confronti. Ma il dubbio rimane, già che le speranze terrene sono poca cosa di fronte al terribile Vero. E’ interessante notare come Scarselli, nella sua opera, continui a sondare i territori del cosmo e come si possano spiegare le misteriose ragioni della morte e del suo eterno sonno, quando nella quiete delle notti gli accade di porgere pin ascolto alle voci inascoltate del suo Io: il suo Io che lo ha costretto a vivere fin da ragazzo una vita solitaria e appartata.

Ancor oggi egli si chiede quale fosse la causa primaria e quale fosse poi la paura che aveva nei confronti dei suo compagni, da preferire cosi una vita da eremita: l'eremita che si chiede del perché delle cose e delle loro estinzioni. Di quanto esposto, e per non dilungarmi oltre il limite del consentito, questo poema di Scarselli, traboccante di ansiose domande sulla ragione del cosiddetto "MISTERO", merita gli elogi ed i giudizi positivi dei letterati più illustri della nostra Letteratura.

Recensione
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