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Altri versi sparsi (1963-2000)
L’olio su tela del pittore olandese
Vincent Van Gogh, dal titolo Esterno di caffè, in Place du Forum ad Arles
del 1888, quindi due anni prima della sua tragica morte, rappresenta una scelta
bizzarra e sperimentale dell’artista in quanto all’epoca si amava dipingere
all’aperto nelle ore in cui c’era il sole, mentre lui era affascinato dai giochi
della luce nella notturnità così, in questo modo, riusciva a vagare di più con
la fantasia e col mistero del verosimile. Questo preambolo è a motivo del fatto
che sulla copertina di questo florilegio poetico dell’autore della provincia di
Siracusa, Pietro Nigro, appare la riproduzione artistica del quadro sunnominato
in un unico tono, sul marroncino chiaro. La notte, dunque, è in questo caso da
paragonarsi ad un cassetto aperto dentro cui il poeta ha conservato le sue
liriche, precisamente dal 1963 all’anno 2000.
Leggendo i titoli delle poesie si ritrova
un comune denominatore: ancora una volta la profondità del buio inghiotte tutto.
Il dolore appartiene alla notte; la Memoria del tempo appartiene alla
notte; Al chiaro di luna è della notte; E poi mi smarrirò
all’improvviso ha qualcosa di oscuro fino a
«Parlami,
notte, del tuo irrisolto mistero / svelami il corso dei tuoi sentieri occulti /
e possa alfine vedere la tua sembianza / le tue forme immortali / aprirsi i
tenebrosi varchi / verso l’eterna armonia / respiro di un dopo / che concederà
ai miei occhi / una luce che mi guidi / nel mio percorso estremo. / Il tuo
silenzio mi sia guida / verso la porta di un tempo / dove statici dimoreranno /
il mio pensiero e le passioni umane.»
(pag.30).
La notte possiede un recesso dove vanno
ad annidarsi i pensieri più solinghi, i subconsci dei poeti, delle persone più
sensibili che in quelle determinate ore si mettono a riflettere sul senso di
ogni cosa. Di notte, seduti ai quei piccoli tavolini rotondi bianchi dipinti da
Van Gogh, si potevano trovare gente disperata che affogava i propri guai
nell’alcool; persone sole, gente di malaffare, comunque si mettevano lì a
riflettere anche senza riflettere realmente, con gli occhi bassi, l’umore a
terra, l’entusiasmo inesistente; eppure l’artista olandese ha visto in essi del
protagonismo assoluto: maschere senza tempo in attesa del risveglio dell’anima
che alla fine non avveniva mai, non è mai avvenuto perché ci vuole ben altro per
questo. Van Gogh per loro ha immaginato un ‘sole’ notturno, ovvero una luce al
di là del significato stesso del termine, capace di irraggiare le coscienze più
ottenebrate. Van Gogh ha voluto dare un’immagine più che solare ad una
situazione angosciata dalla fatica quotidiana del vivere.
«(…)
Gustare l’universo, nutrirmici, senza le usuali pietanze / d’uso smodato;
gustare le impercettibili sensazioni / che emana l’esistenza, le parole espresse
e taciute / nelle infinite lingue della coscienza. /
È un volo
nel turbine, nelle profondità della mente, / cosmo che non disperde le memorie
del prima e del poi / suprema voce che sorvola i tempi di un’eterna espansione /
espressione di una volontà che implica il ricongiungimento / d’irruenti
fantasie, sin dalla sorgente immagini sfuggenti / che scorrono come fatui
affluenti di un cosmico fiume.»
(pag.27). Cosa suggerisce ancora l’ambiente incomprensibile fatto solo di
stelle, luna (quando c’è) e luci artificiali?
È
difficile spiegare l’astruso di quelle ore in cui il sole è nell’altro emisfero
e allora per molti, i più devoti, è l’ora dell’intima Preghiera che, in
fin dei conti, è una richiesta di chiarezza sotto tanti aspetti. Poi, dalla
preghiera è facile arrivare alla Maturità conquistata ogni giorno
attraverso le esperienze di ogni genere.
«Stanche reiterazioni / una mente
estranea / alle parole / rivoli di sapere / senza senno. / Sul vecchio banco del
Plinio / adagio l’impotente rancore / intanto che s’insinua / lo sguardo
agonizzante / tra il verde fremente / di là dalla finestra / a ricercar la vita.»
(pag.14).
L’autore siciliano, comunque sia, non si
abbandona alla tristezza collegata in qualche modo all’oscurità. Certo, i suoi
versi non dimostrano esuberanza estrema ma lui è alla ricerca di una lampada,
provvisoria o duratura, che possa far riverberare la sua immagine di uomo
innamorato quasi a dismisura del suo alter ego ideale.
«(…) Se
Narciso è il mondo / Narciso morrà del suo vano specchiarsi / in un “io”
deviante / senza coscienza della gioia incompresa / che genera il dolore /
d’avere ignorato / cosmiche ombre, come sogni / che s’infrangono su statici
risvegli. / Ma il loro esile ricordo / risuscita speranze / che una vita pietosa
/ prodighi la sua luce / ad una mente che ha squarciato orizzonti / immaginando
terre supreme / spogliatasi dal corpo / a magnificare un dio.»
(pag.28).
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Recensione |
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