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I Preludi vol 7 - Poesie dell'adolescenzaDal preannuncio di un qualcosa da realizzare alla prova tangibile di sette volumetti costituenti la serie letteraria de I Preludi, incrementata negli anni dal docente d’inglese, poeta, critico letterario e d’arte, saggista notigiano, Pietro Nigro. All’inizio, del gennaio 2005, il primo volumetto presentava stesure d’indaganti sfoghi adolescenziali datati tra il 1956 e il 1958, con la seconda parte destinata alle poesie composte più o meno in quegli anni e l’autore li aveva recuperati per diffonderli forse già con l’intento di proseguire col volumetto successivo, come per rendere manifesta la parabola sua di crescita nell’ambito contestuale di persona umana e letteraria.
S’è creata volutamente una sorta di prolungato racconto personale a tappe sia in prosa, sia in poesia, sia col linguaggio teatrale, filosofico, intimistico utile per sé stesso e per i lettori di questa collana davvero accattivante, perché il professore ha saputo decidere bene l’alternanza, la variabilità dei generi affinché non ci fosse il rischio di scadere nella monotonia, anzi! Per l’immagine di copertina è stata ribadita per tutti i volumetti la foto mezzobusto in bianco-nero del ragazzo, Pietro Nigro, al tempo in cui ha cominciato a “preludiare” ponendosi domande d’alto spessore esistenziale a cui forse nessuno è in grado a tutt’oggi di rispondere, e a scrivere liriche su L’ignoto, la Mestizia umana, il Triste pensiero, il Viale notturno, Notte, Futilità, L’Ave Maria, Egual destino, etc. Tranne nel volume quinto (l’unico della serie ad essere stato reso edito da “Il Convivio Editore, 2017) dove è stata preferita un’altra immagine di copertina, ossia la figura intera del giovane Nigro nell’agosto 1960, qualche anno prima del conseguimento della laurea in Lingue straniere presso l’Università di Catania e, infatti, nel libro c’è una corposa scelta epistolare, con tanto di date precise nelle lettere vergate dall’autore e spedite ai suoi familiari quando era all’università, e durante i suoi primi viaggi in Francia e in Svizzera. Ora, in questo settimo volume ci si aspetterebbe di leggere il dopo dell’avvenuta crescita interiore o, comunque, la fase discendente della personale evoluzione, invece, è perdurata la traccia di quel fuoco iniziale che ha reso “ardenti” le poesie nigriane dell’età di mezzo tra la fanciullezza e l’essere adulti, continuando nella maturità consolidata, talché «[…] non v’è dubbio che la sua poetica racchiude in sé una evidente esplosione creativa che fa di Nigro un poeta molto interessante. Infatti, un poeta è tale quando con la sua opera riesce a creare una trasmissione tra i suoi moti sentimentali e i momenti affettivi che nascono nello stato d’animo del lettore. » (Dalla Prefazione di Pasquale Francischetti, pag.4). Trattasi, stavolta, di una selezione di quasi una ventina di poesie cariche d’emozioni antitetiche, nel senso che accanto alla Suprema gioia per il Creatore Supremo, Dio, e per gli smisurati doni della natura di cui ci ha circondato, c’è L’angoscia della vita derivante da dilacerazioni dell’animo di fronte alle cose che li generano. « Quando d’angoscia saturo io sto/ colei che l’uomo non fa bruto/ a me in aiuto vola/ e lenisce il mio cuor,/ ma un solo istante/ che tosto torna il mio affanno,/ più lacerante./ “Tutto questo perché?”/ domando all’aria/ che conosce le mie pene./ “Umano è ciò” sembra sussurrarmi/ in un leggero alito di vento./ “Ma non disperare/ che benevolo il tempo/ ti recherà la primavera/ e il canto degli uccelli/ e l’odor delle aiuole/ e dell’arpa il melodioso suono/ che tutti i cuori incanta/ e la tanta desiata gioia/ e ricompensato verrà alfine/ il tuo tormento./ Anche se dopo la vita. » (Pag.16). Sono di nuovo liriche provenienti dai sogni e dai tormenti del giovanissimo Nigro, le cui vibrazioni non si sono estinte nonostante i molti decenni trascorsi dalla loro messa in versi e ciò vuol dire che, nel riproporle, Pietro Nigro ha conservato l’animo suo come quando era teen-ager, bisognoso di penetrare anzitempo l’insondabile e il trascendente innanzitutto. Era un ragazzo principalmente innamorato dell’Arte, musica teatro poesia e quant’altro generasse bellezza, che nel comporre versi pregava, a modo suo pregava anche soltanto contemplando le meraviglie naturali della sua terra siciliana, perché nel guardarle apprezzava la presenza dell’Infinito seppure nel perimetro possibile del suo sguardo. « Odoranti campi di zagara/ dimora d’agognata pace/ che tiepide fragranze/ spargete tutt’intorno,/ a voi grati saranno i miei occhi/ che il bianco dei fiori/ esalta tra le verdi foglie./ Giardini che ornate/ le campagne del Sud/ e che Goethe esaltò con le parole/ ‘ Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni? ‘/ ogni giorno vi guardo/ e riempite di esultanza/ il mio cuore che di bellezza vive. » (Pag.11). |
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