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Metafisica del tempo e dell’amore

Personalmente mi sentirei di definire questa successiva antologia poetica del professore, saggista, scrittore, critico d’arte e letterario, Pietro Nigro, un inaspettato ma graditissimo dono-ragguaglio sulla sua voluminosa produzione in versi, con tutti i possibili (ed anche impossibili) ragionamenti che un autore possa aver effettuato circa la riconferma, con la riproposta in chiave aggiornata, di numerose delle importanti ‘tessere’ musive del suo canto aulico!

Stiamo parlando di una rivalutazione della matrice fondamentale nell’arte versificatoria dell’autore natio nel territorio siracusano, Pietro Nigro, affinché nulla vada perduto, non scada nell’oblio quella radice cosiddetta metafisica da cui si sono diramate nel corso dei decenni memorabili sillogi quali Astronavi dell’anima, Attese, La porta del tempo e l’infinito, Canti d’amore, Miraggi, I Preludi I° volume, Alfa e Omega, etc.

La metafisica di Pietro Nigro origina da profonde sue constatazioni filosofiche, in cui ha cercato volutamente di porsi domande aderenti all’impensabile, ai concetti anche impenetrabili del divino per raggiungere orizzonti patagonici, inesplorabili, fin da quando era adolescente e, da qui, poi ha trasvolato i cieli limpidi della poesia per incontrare i suoi aneliti preferiti. Lui, a tutti gli effetti, può essere definito il novello ‘De Chirico’ alla ricerca del classicismo assoluto, della mitologia depurata di qualsiasi imitazione, degli ambienti urbani svuotati del superfluo e del chiasso, delle aperture ad altre dimensioni oltre quella umana, del tempo relativo che non è quello che effettivamente procede in maniera inesorabile.

«[…] L’universo che canta Nigro è il cosmo in trasformazione, per cui passato e futuro s’agganciano alla perenne incandescenza del presente, cioè dell’io che si effonde su tutte le cose. A prendere analiticamente i suoi enunciati di tipo metafisico lo potresti dire un teosofo alla Steiner o alla Onofri (che era infatti poeta, e di possente struttura) o un panteista animistico alla Boehme, alla Swedenborg, alla Hölderlin (altro poeta, che lasciò scritto: ‘Io non ho mai capito il linguaggio degli uomini; sono cresciuto fra le braccia degli Dei’). Ma se da tali collocazioni speculative, che pur hanno qualche ragion d’essere, ritorniamo alla verifica nei testi del poeta siciliano, ci accorgiamo che in essi c’è sempre qualcosa di meno o di più di una filosofia.» (Alle pagg.71-72).

Allo stesso modo dell’artista di Vólos, Giorgio De Chirico appunto, Pietro Nigro ha ‘ricostruito’ scenograficamente gli ambienti del suo amatissimo passato, dopo averli nettati della polvere che si era accumulata sui paesaggi della giovinezza, sugli affetti che ora non ci sono più perché sono venute a mancare le persone destinatarie di quelle amorevolezze importanti, sui bellissimi ritratti di fattezze femminili votate all’eternità perché realizzati con le parole e, quindi, coi versi intinti d’incorruttibilità.

«Al tuo viso io domando il sorriso, / alle tua labbra il bacio , / alla tua voce il canto,/ che parli d’amore. / Un sogno iridato al tuo braccio / e sul sentiero che conduce alla pace / volano le nostre anime. / Laggiù non voglio guardare, / guardare non voglio nel mondo, / ma lassù più in alto di noi / lassù la luce del sole. / La tua chioma ardente io sfioro / con leggera carezza / e le mie labbra desianti / alle tua labbra bevono un bacio / che mi porterà dove germoglia / l’eterna essenza dell’anima. » (A pag.31).

Ricordiamo che il pittore Giorgio De Chirico fu un grande amico di Paul Valéry, personaggio letterario francese di spicco preso in esame dallo stesso Nigro per il suo lavoro finale all’Università di Catania, dove si laureò nel giugno del 1962 in Lingue e letterature straniere, presentando appunto la tesi ampliamente comprendente sia la produzione letteraria del Valéry, sia l’esposizione del movimento simbolista cui egli fece parte nella Francia a cavallo tra la fine dell’Ottocento e il secolo industriale del Novecento.

Dai quadri dechirichiani emergono elementi reiteranti come l’uomo-automa in versione manichino, la minuzia dei particolari tratti dal fascinoso passato greco, l’architettura pervasa di ombre e suggestioni rivolte alla mestizia, il mare popolato dagli eroi antichi, la lotta estrema dei gladiatori, i simboli inchiodati alla parete del pensiero umano. Anche, soprattutto Pietro Nigro ha fatto suoi questi costituenti metafisici per traslarli nella sua arte poetica, insieme ai componenti tratti dal suo ambiente siciliano, dal suo animo di uomo che non si è fatto annichilire dai gravosi quesiti esistenziali.

«Laggiù tenebrosa apparenza / buia immagine che emerge / dai grigi eterni, / fertile magma che sa farsi / materia incandescente e fredda, / astro di fuoco immisurabile luce / o invisibile nella sua insaziata gravità / che assorbe il tutto da cui s’origina/ per poi farsi embrione / e lentamente evolversi in vita / coscienza dei millenni, / voce che s’interroga nel suo vagare eterno / verso un percorso che al termine del vortice / eternerà la mente. » (A pag.67).

Recensione
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